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La sibilla

Della sibilla nell’oscuro antro
pervenne un tempo una ragazza,
carina si, ma con qualcosa dentro
che il sen l’opprimeva, come corazza.

La vecchia sedea su annoso scranno,
antica nel suo nobile sembiante;
le spalle coperte da nero panno,
la mirava con sguardo penetrante.

Dolcemente, in quella grotta tetra
la strega l’esil braccio le toccò,
poi, mostrandole la nuda pietra,
con garbo, a sedersi l’invitò.

“Ben strano-disse poi con voce roca-
è che donzella soave e si avvenente
pervenga in quest’atroce speco
ad ascoltar la misera veggente.
Cosa ti turba, dolce ragazzina,
e come può aiutarti l’indovina?”

“Pena feral m’opprime il cuore
-mestamente rispose la brunetta-
che mi rende la vita incolore
e il respiro mi serra in una stretta.
Tante volte ho chiesto di morire
affinchè l’abietto dolor cessasse,
ma il mio vil destin è patire,
chè lo spegnermi non m’è concesso”

Ciò disse, triste e addolorata,
mentre la maga fissa la scrutava,
scuotendo la sua testa imbiancata
al par di chi qualcosa già captava.

“A te stessa hai chiesto la ragione
di cotal accorato turbamento
-fece la vecchia con preparazione-
ne senti tu alcun presentimento?”

“No, alma sibilla, niente conosco
-gemè la giovin con rassegnazione-
ogni giorno in tal dolor mi pasco
ed in me non ho più penetrazione.
Quassù fiduciosa son venuta
per riceverne qualche talismano,
una pozion, una bevanda che tramuta
questo patir in dolor più umano”

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