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aveva la faccia rossa di polvere

Un sogno “Aveva la faccia rossa di polvere”

Mattina. È quell’ora stupenda e straziante, poco prima dell’alba, magari d’inverno. Tutto si inonda di una luce assurda, celeste e funerea, che non si capisce da dove possa venire. È un infernale miracolo che si ripete ancora, e io ci sono. ancora. Coglioni o voi che amate la notte.
Sto andando a scuola in motorino, il mio, passando per il ponte nuovo.
A un certo punto penso che cazzo mi frega tolgo il casco. Freddo in testa, ho i capelli corti.
All’ altezza dello svincolo del sasso una macchina ferma, blu credo, forse una vecchia golf, come quella del gatto, mi lampeggia: quattro lampi “ no gli sbirri no proprio stamattina” .
Mi fermo sulla sinistra, son sempre lì (io. Non gli sbirri), all’ incrocio. Nel prendere il casco vedo senza stupore Anita, e un altro amico, forse il giulio forse sammi forse il prinz forse nessuno, lei che mi chiede un passaggio senza dirmi dove portarla. Già scordo il pericolo e acconsento, ma nel fare mi squilla il cellulare; suoneria banale, al limite (estremo) dello squallore, probabilmente quella che c’era da quando l’avevo comprato. M’apparto.
Cellulare mai visto, tantomeno avuto, e sullo schermo a sinistra, in basso, stava scritto Rocco e appena sotto un pulsante, per rispondere e sulla destra c’era scritto Siffredi e sotto un altro tasto. La cosa mi pare strana, ma non l’insolita conoscenza, ma che ad un unica chiamata si potesse rispondere a due diverse persone, che poi erano una. Meglio rispondere all’uno o meglio all’altro meglio Rocco che mi ispirava maggior dimestichezza, più confidenza insomma.
Lo scopro mio amico o almeno abituale conoscenza, strano (e purtroppo non ricordo dettagliatamente cosa ci si dice); mi propone un lavoro che mi pare buono: poca malizia, non si pensi ciò che vien da pensare. Dice che mi richiamerà.
Ora sono a scuola, quale non saprei, ma la sento solita, mia, sì, potrebbe darsi anche il vecchio liceo, allora odiato e oggi rimpianto, tanto evidente nell’ostinazione nel negarlo, oggi come ieri.
Non so neppure come ci sono arrivato qui e manco me lo chiedo; è notte, una notte dal cielo di uno strano aranciato. C’è una festa, dai toni sommessi ma mi piace e poi non conosco nessuno, forse è per questo che mi piace, allora mi metto a girare: ci sono bicchieri vuoti in terra e partite di calcio, di bocce e un recinto da cui viene un forte fragore e un gran polverone, polvere rossa, terra rossa, tipo campi da tennis ah ecco perché il cielo.
Che cazzo è ? Una banda di uomini, elegantissimi nello sporco e nel sudore, poi m’accorgo che sono due squadre che impugnano strane mazze con cui colpiscono con signorile violenza una pallina bianca. CRICKET, dio bono i sogni.
Di nuovo il telefono, bene, questo è rocco rispondo senza guardare ed è una donna, la sua segretaria o altro chissenefrega, ma di nuovo il ricordo della chiamata è impenetrabile, nulla ricordo. Parliamo e ad un punto sento che le parole oltre che dal telefono vengono anche da altrove, più forte e men forte, ci capisco poco, all’inizio penso ad un eco, un’interferenza ma poi capisco che lei è lì vicino ed è lì, sotto uno di quei castelli di ferro per bambini, ce n’è uno anche nel parco di fossombrone, blu.

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