Io canto la canzon di primavera,
andando come libera gitana,
in patria terra ed in terra lontana,
con ciuffi d'erba ne la treccia nera.
E con un ramo di mandorlo in fiore
a le finestre batto e dico: Aprite,
Cristo è risorto e germinan le vite
nove e ritorna con l'ApriI l'amore!
Amatevi fra voi, pei dolci e belli
sogni ch'oggi fioriscon su la terra,
uomini della penna e de la guerra
uomini de le vanghe e dei martelli.
Schiudete i cuori: in essi erompa intera
di questo dì l'eterna giovinezza;
io passo e canto che vita è bellezza,
passa e canta con me la primavera.
Lieta, giuliva, soffusa di un soffio vagamente agreste e paesano si presenta la poesia.
È un invito alla bonta, alla fratellanza, un canto di Resurrezione per gli uomini, in armonia con la rinascita della natura
Quando ti avrò raggiunto sulla sponda del fiume di luce
e tu mi chiederai che ho fatto tant'anni senza di te,
io ti risponderò: "Ho continuato il colloquio".
Tu riderai per dolcezza tutto il riso de' tuoi bianchi denti,
e cingerai le mie spalle col tuo gesto securo di despota.
E lungo i prati di viole che fioriscono solo pei morti
continueremo il colloquio.
Se de la patria il giovanile e fresco
disio sale al mio cor come un incenso,
tutta bianca nel sole io ti ripenso,
piazza di San Francesco.
Cresce fra le tue pietre, o solitaria,
tranquilla l'erba come in cimitero.
- Sole e silenzio. _ Un passo - un tremar nero
d'ali fendenti l'aria.
Ed eran quel silenzio e quella pace
che in te bevevo a sorsi larghi e puri;
e il bacio amavo su' tuoi vecchi muri
de l'edera tenace.
L'antico tempio, presso l'ospedale,
svolgea sue linee semplici e divine.
Per due bifore in alto, snelle e fine,
rideva il ciel d'opale.
L'antico tempio avea canti e colori
d'una soavita' che ancor mi trema
dentro. - O speranze, o poesia suprema
degli anni miei migliori!...
Gravi note de l'organo, salenti
agli archi de le volte longobarde,
su l'alte mura tremolar di tarde
stelle e fluir di venti!...
Come un suggello mistico al pensiero
da voi mi venne - e forse ho sempre
amate per voi le grigie case abbandonate
ove dorme il mistero,
i muschi densi a pie' de l'erme, i quieti
cortili pieni di sole e di verde,
i portici dei chiostri ove si perde
l'anima dei poeti;
i tristi luoghi ruinanti in pace
ove sol parla il soffio de le cose,
dei sogni morti e del morte rose,
e tutto il resto tace.
Giorno per giorno, anno per anno, il tempo
nostro cammina! L'ora ch'è sì lenta
al desiderio, tu la tocchi infine
con le tue mani; e quasi a te non credi,
tanta è la gioia: l'ora che giammai
affrontare vorresti, a cauto passo
ti s'accosta e t'afferra - e nulla al mondo
da lei ti salva. Non è sorta l'alba
che piombata è la notte; e già la notte
cede al sol che ritorna, e via ne porta
la ruota insonne. Ma non v'è momento
che non gravi su noi con la potenza
dei secoli; e la vita ha in ogni battito
la tremenda misura dell'eterno.
Quando tu venisti, una notte, verso il suo letto, al buio,
e le dicesti, piano, già sopra di lei: Non ti vedo, non ti sento.
E la ghermisti con artiglio d'aquila, e tutta la costringesti nella tua forza
riplasmandola in te con tal furore ch'ella perdette il senso d'esistere.
E uno solo in due bocche fu il rantolo e misto fu il sangue e fu il ritmo perfetto,
e dal balcone aperto la notte guardava con l'occhio d'una sola stella
rossastra,
e il sonno che seguì parve la morte, e immoti come cadaveri
la tristezza dell'ombra vi vegliò sino all'alba.