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Poesie di Armando Tagliavento

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La mora

La sera ritorna:
la mora s'adorna
dinanzi allo specchio
civetta, s'abbella,
s'acconcia, fa il broncio
col suo profilo
di gatta marongia.
Volubile sì, ma bella,
ancheggia, si pavoneggia
con la gonnella a quadretti
nei suoi fianchi stretti.
Va dritta spedita
verso il Ca' Granda
e porta scarpette
di Standa.



Ombra

La bionda dai lunghi capelli
il volto dolcificato
e gli occhi verde bottiglia
mi guarda seduto nel tram.
Poi scende dal predellino
ed entra nel lungo metrò.


La bramo di spalle:
è bella, corposa
alla sbarra la mano si posa.


A Lambrate s'accosta alla porta,
mi rinota da sotto i ray-ban.
Pare una vecchia mia sposa
Invece tra la folla mi muore.
Vedo soltanto le sue caviglie
andare nel confuso tra tran.



La morte

Accendo una sigaretta.
Non finisco di tirarla
che finisce.
Passa una donna appena nata,
ripassa morta.
La giornata incupisce
prima che il gallo canti.
Comincio a scrivere tragico
una lettera:
l'inchiostro muore, si scompone.
Si coagula il mio cuore
di malanno.
Non batte più.
La notte è venuta.


Mi levo al mattino.
Aguzzo la vista e la matita.
La mina è scoppiata
e la morte mi ride
disperata.



La bici

La mia bici azzurra
legata al palo
col lucchetto ammaccato
è d'acciaio.


Tu poggi le tette gonfie di caldo
alla ringhiera
della Milano affumata
sotto un cielo pirata.
Per denti hai una grata
di grissini al miele.


Se ti bacio sottobanco
vedo la bici
legata al paolo
ancora nuova di zecca