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Poesie di Giacomo Zanella

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Sopra una conchiglia fossile

Sul chiuso quaderno
di vati famosi,
dal musco materno
lontana riposi,
riposi marmorea
dell'onde già figlia,
ritorta conchiglia.
Occulta nel fondo
d'un antro marino,
del giovane mondo
vedesti il mattino;
vagavi co' nautili,
co' murici a schiera,
e l'uomo non era.
Per quanta vicenda
di lente stagioni,
arcana leggenda
d'immani tenzoni
impresse volubile
nel niveo tuo dorso
de' secoli il corso!
Noi siamo di ieri:
de l'Indo pur ora
su i taciti imperi
splendeva l'aurora;
pur ora del Tevere
a' lidi tendea
la vela di Enea.
È fresca la polve
Che il fasto caduto
de' Cesari involve.
Si crede canuto,
appena a l'Artefice
uscito di mano,
il genere umano!
Tu, prima che desta
a l'aure feconde,
Italia la testa
levasse da l'onde,
tu, suora de' polipi,
de' rosei coralli
pascevi le valli.
Riflesso nel seno
de' ceruli piani,
ardeva il baleno
di cento vulcani:
le dighe squarciavano
di pelaghi ignoti
rubesti tremoti.
Ne l'imo de' laghi
le palme sepolte,
nel sasso de' draghi
le spire rinvolte,
e l'orme ne parlano
de' profughi cigni
su gli ardui macigni.
Pur baldo di speme
l'uom, ultimo giunto,
le ceneri preme
d'un mondo defunto:
incalza di secoli
non anco maturi
i fulgidi augùri.
Su i tumuli il piede,
ne' cieli lo sguardo,
a l'ombra procede
di santo stendardo;
per golfi reconditi,
per vergini lande
ardente si spande.
T'avanza, t'avanza,
divino straniero;
conosci la stanza
che i fati ti diêro:
se schiavi, se lagrime
ancora rinserra,
è giovin la terra.
Eccelsa, segreta
nel buio de gli anni,
Dio pose la mèta
de' nobili affanni:
con brando e con fiaccola
su l'erta fatale
ascendi, mortale!
Poi, quando disceso
Su i mari redenti,
lo Spirito atteso
ripurghi le genti,
e splenda de' liberi
un solo vessillo
sul mondo tranquillo:
compiute le sorti,
allora de' cieli
ne' lucidi porti
la terra si celi:
attenda su l'àncora
il cenno divino
per nuovo cammino.

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Passero

A mezzo solco il vecchierel gia' stanco
l'aratro sospendeva mentre l'aurora
alle montagne imporporava il fianco:
levato ei s'era ch'era notte ancora.
Una riversa zolla era il suo banco;
e presso lui la giovinetta nuora
attentamente avea disteso il bianco
tovagliolin che di bucato odora.
Sussurravano i pioppi: in ciel rotata
la lodoletta coll'allegro canto
l'umile imbandigion facea più grata.
Il sol nasceva. Assisa sovra il corno
del bue sdraiato una passera intanto
salutava tranquilla il novo giorno.

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Alloro-Vite

Odio l'allor, che quando alla foresta
le nuovissime fronde invola il verno,
ravviluppato nell'intatta vesta
verdeggia eterno,
pompa de' colli; ma la sua verzura
gioia non reca all'augellin digiuno;
che' la splendida bacca invan matura
non coglie alcuno.
Te, poverella vite, amo, che quando
fiedon le nevi i prossimi arboscelli,
tenera l'altrui duol commiserando
sciogli i capelli.
Tu piangi, derelitta, a capo chino
sulla ventosa balza. In chiuso loco
gaio frattanto il vecchierel vicino
si asside al foco.
Tien colmo un nappo: il tuo licor gli cade
nel'ondeggiar del cubito sul mento;
poscia floridi paschi ed auree biade
sogna contento.

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