username: password: dati dimenticati?   |   crea nuovo account

Poesie di Giorgio Bàrberi Squarotti

Ti piace Giorgio Bàrberi Squarotti?  


Le carrube

a Monchiero, neu tempi in cui filavano
Domenica, Annunziata, Caterina
e le altre donne del pellegrinaggio
a Vicoforte e al bosco del Calvario,
c'erano i grandi cavalli frisoni,
grigi, solenni, pazientemente
rassegnati. Trascinavano carri
rotondi fino al Tanaro, che riempivano
i sabbiatori della sabbia bianca
del fiume, e nella polvere di strade
faticose lenti si allontanavano
verso chi sa quali colline, dove
certo gli architetti di Dio e del re
innalzavano regge e cattedrali.
Nell'attesa del carico, i padroni
davano loro le carrube, quali
quete illusioni di piacere. Erano
lunghissimi baccelli, dal colore
bruno bruciato, come in qualche incendio
in lontane estati, nel Sud perduto;
e lentamente i cavalli, scuotendo
le orecchie appena, quando più fastidio
davano loro vento, mosche e polvere,
masticavano, tenendo fra i denti
il dono, perché più a lungo durasse.
Si fermò a guardare Vittorina
la prima volta, a maggio, che, in segreto,
andò a fare il bagno nella conca
chiara in mezzo ai salici, sicura
da vortici e da anfratti scivolosi
e irti. Vide appesa a un ramo di pioppo
una borsa di cuoio, che era piena
di quei frutti mai visti. Ne prese uno,
lo pulì col lembo della camicia
che aveva ancora in mano, incuriosita,
lo morse, masticò la buccia spessa
e i semi piatti, e subito sentì
uno strano languore per la troppa
dolcezza, e avvertì sciogliersi le membra,
e un piacere misterioso, mai prima
provato, che le penetrava i sensi
fino quasi al deliquio: e il cavallo,
davanti la osservava, sempre più
triste, e sembrava fosse divenuto
ancor più gigantesco, il monumento
della vita che dura, mentre sensi e anima
non sono altro che brividi che passano
(la ragazza, vergognosa, si mosse,
fuggì via).



Remoto

Meditabonda e nervosa, stringendo
le labbra scarlatte e scuotendo le chiome
luminose, la donna, in piedi, nella
lieve aurora aspettava: nero l'abito
sontuoso, ampio, ma nude le mammelle
piccole e tonde, che leggere un poco
si agitavano nell'ansia del cuore.
Più in là c'era la pianura e, forse,
la cima di una torre, e, solitario,
un colle di tenebrosi cipressi,
e l'ondeggiare altrove di un canale
che porta al più remoto lago. Quella
è la sua meta? Laggiù è la quiete,
dove deporrà sopra il prato tenero
il vestito, come un'ombra perduta
per sempre, ci sarà soltanto luce
e il suo candido corpo si potrà
confondere, disteso, con le enormi
rose ugualmente chiare e, trasparente,
una nuvola breve che sta, immobile,
sull'orlo della sua vita.



La voce, in corso Francia

Nel mattino d'ottobre, silenzioso,
in mezzo ai platani frondosi ancora
di corso Francia sorse d'improvviso
e serpeggiò lunghissima e leggera
di foglia in foglia una voce: interrotta
ora e flebile, ora il gemito dolce
d'amore, ora disfrenato e fervido
il racconto del viaggio sul fiume
torbido e ondoso, fra cannucce e salici
e asfodeli funebri e luminosi
e il rapido strisciare di una serpe
e fragoroso il sorgere delle ali
di uno smergo furioso, e, infine, l'antro
al margine delle acque, di dorato
tufo, caldo, dove paziente aspetta
l'apparizione del suo dio segreto
e distratto, che la deflorò rapido
nell'aprile di gigli e rose un anno
prima o un'altra primavera ancora
più antica: e si perde e poi ritorna
più forte ed insistente, infine solo
sillabe rotte, mentre irrompe il traffico
d'auto e ragazzi e il vento che violento
addensa nubi dolorose e acceca
ogni parola.