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Poesie di Giorgio Caproni

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Sono donne che sanno

Sono donne che sanno
così bene il mare

che all'arietta che fanno
a te accanto al passare

senti sulla tua pelle
fresco aprirsi di vele

e alle labbra d'arselle
deliziose querele.

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A mio figlio Attilio Mauro che ha il nome di mio padre

Portami con te lontano
... lontano...
nel tuo futuro.

Diventa mio padre, portami
per la mano
dov'è diretto sicuro
il tuo passo d'Irlanda
l'arpa del tuo profilo
biondo. alto
già più di me che inclino
già verso l'erba.
Serba
di me questo ricordo vano
che scrivo mentre la mano
mi trema.
Rema
con me negli occhi allargo
del tuo futuro, mentre odo
(non odio) abbrunato il sordo
battito del tamburo
che rulla - come il mio cuore: in nome
di nulla - la Dedizione.

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Show

Guardateli bene in faccia.
Guardateli.

Alla televisione,

magari, in luogo
di guardar la partita.
Son loro, i "governanti".
Le nostre "guide".
I "tutori"
- eletti - della nostra vita.

Guardateli.

Ripugnanti.

Sordidi fautori
dell'"ordine", il limo
del loro animo tinge
di pus la sicumera
dei lineamenti

Sono
(ben messi!) i nostri
illibati Ministri.
Sono i Senatori.
I sinistri
- i provvidi! - Sindacalisti.

"Lottano" per il bene
del paese.
Contro i Terroristi
e la Mafia.

Loro,
che dentro son più tristi
dei più tristi eversori.
Arrampichini.
Arrivisti.

In nome del Popolo (Avanti!
Sempre Avanti!), in perfetta
Unità arraffano
capitali - si fabbricano
ville.

Investono
all'estero, mentre "auspicano"
(Dio, quanto "auspicano")
pace e giustizia.

Loro,
i veri seviziatori
della Giustizia in nome
(sempre, sempre in nome!)
del Dollaro e dell'Oro.

Guardateli, i grandi attori:
i guitti.

Degni
- tutti - dei loro elettori.
-
Proteggono i Valori
(in Borsa!) e le Istituzioni...

Ma cosa si nasconde
dietro le invereconde
Maschere?
Il Male
che dicono di combattere?...

Toglieteceli davanti.
Per sempre.

Tutti quanti.

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Il carro di vetro

Il sole della mattina,
in me, che acuta spina.
Al carro tutto di vetro
perché anch'io andavo dietro?

Portavano via Annina
(nel sole) quella mattina.
Erano quattro cavalli
(neri) senza sonagli.

Annina con me a Palermo
di notte era morta, e d'inverno.
Fuori c'era il temporale.
Poi cominciò ad albeggiare.

Dalla caserma vicina
allora, anche quella mattina,
perché si mise a suonare
la sveglia militare?

Era la prima mattina
del suo non potersi destare.

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Maggio

Al bel tempo di maggio le serate
si fanno lunghe; e all'odore del fieno
che la strada, dal fondo, scalda in pieno
lume di luna, le allegre cantate
dall'osterie lontane, e le risate
dei giovani in amore, ad un sereno
spazio aprono porte e petto. Ameno
mese di maggio! E come alle folate
calde dall'erba risollevi i prati
ilari di chiarore, alle briose
tue arie, sopra i volti illuminati
a nuovo, una speranza di grandiose
notti più umane scalda i delicati
occhi, ed il sangue, alle giovani spose.

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