Il gigantesco rovere abbattuto
l'intero inverno giacque sulla zolla,
mostrando, in cerchi, nelle sue midolla
i centonovant'anni che ha vissuto.
Ma poi che Primavera ogni corolla
dischiuse con le mani di velluto,
dai monchi nodi qua e là rampolla
e sogna ancora d'essere fronzuto.
Rampolla e sogna - immemore di scuri -
l'eterna volta cerula e serena
e gli ospiti canori e i frutti e l'ire
aquilonari e i secoli futuri...
Non so perché mi faccia tanta pena
quel moribondo che non vuol morire!
La pecorina di gesso,
sulla collina in cartone,
chiede umilmente permesso
ai Magi in adorazione.
Splende come acquamarina
il lago, freddo e un po' tetro,
chiuso fra la borraccina,
verde illusione di vetro.
Lungi nel tempo, e vicino
nel sogno (pianto e mistero)
c'è accanto a Gesù Bambino,
un bue giallo, un ciuco nero.
Penso e ripenso:-Che mai pensa l'oca
gracidante alla riva del canale?
Pare felice! Al vespero invernale
protende il collo, giubilando roca.
Salta starnazza si rituffa gioca:
né certo sogna d'essere mortale
né certo sogna il prossimo Natale
né l'armi corruscanti della cuoca.
-O pàpera, mia candida sorella,
tu insegni che la Morte non esiste:
solo si muore da che s'è pensato.
Ma tu non pensi. La tua sorte è bella!
Ché l'esser cucinato non è triste,
triste è il pensare d'esser cucinato.
Son nato ieri che mi sbigottisce
il carabo fuggente, e mi trastullo
della cetonia risopita sullo
stame, dell'erba, delle pietre lisce?
E quel velario azzurro tutto a strisce,
si chiama «cielo»? E «monti» questo brullo?
Oggi il mio cuore è quello d'un fanciullo,
se pur la tempia già s'impoverisce.
Non la voce così dell'Infinito,
né mai così la verità del Tutto
sentii levando verso i cieli puri
la maschera del volto sbigottito:
«Nulla s'acquista e nulla va distrutto:
o eternità dei secoli futuri! ».
Chi pur ieri cantava, tutto spocchia,
e saltellava, caro a Tita, è morto.
Tita singhiozza forte in mezzo all'orto
e gli risponde il grillo e la ranocchia.
La nonna s'alza e lascia la conocchia
per consolare il nipotino smorto:
invano! Tita, che non sa conforto,
guarda la salma sulle sue ginocchia.
Poi, con le mani, nella zolla rossa
scava il sepolcro piccolo, tra un nimbo
d'asfodeli di menta e lupinella.
Ben io vorrei sentire sulla fossa
della mia pace il pianto di quel bimbo.
Piccolo morto, la tua morte è bella!