Notti penose della lunga insonnia
che anelavano all'alba e la temevano,
giorni che vanamente ripetevano
gli ieri, uguali. Oggi li benedico.
Potevo mai presentire in quegli anni
di deserto d'amore che le atroci
favole della febbre e le feroci
aurore fossero solo i gradini
incerti, le vaganti gallerie
per i quali sarei giunto alla pura
vetta azzurra che nell'azzurro dura
della sera d'un giorno dei miei giorni?
Nella mia è la tua mano, Elsa. Guardiamo
lenta nell'aria la neve e la amiamo.
Cambridge, 1967 tratto da raccolta prosa poesia
E la città, adesso, è come una mappa
delle mie umiliazioni e fallimenti;
da quella porta ho visto i tramonti
e davanti a quel marmo ho aspettato invano.
Qui l'incerto ieri e l'oggi diverso
mi hanno offerto i comuni casi
di ogni sorte umana; qui i miei passi
ordiscono il loro incalcolabile labirinto.
Qui la sera cenerognola aspetta
il frutto che le deve il mattino;
qui la mia ombra nella non meno vana
ombra finale si perderà, leggera.
Non ci unisce l'amore ma lo spavento;
sarà per questo che l'amo tanto.
Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire.
Chi è contento che sulla terra esista la musica.
Chi scopre con piacere un'etimologia.
Due impiegati che in un caffè del Sur giocano in silenzio agli scacchi.
Il ceramista che premedita un colore ed una forma.
Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace.
Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto.
Chi accarezza un animale addormentato.
Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.
Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson.
Chi preferisce che abbiano ragionegli altri.
Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.
Dov'è la memoria dei giorni
che furon tuoi sulla terra e intrecciarono
gioia e dolore e furono per te l'universo?
Il fiume numerabile degli anni
li ha dispersi; sei una parola in un indice.
Dettero ad altri gloria senza fine gli dei,
iscrizioni ed eserghi, monumenti e diligenti storici;
di te sappiamo solo, oscuro amico,
che una sera udisti l'usignuolo.
Tra gli asfodeli dell'ombra, l'ombra tua vana
penserà che gli dei son stati avari.
Ma i giorni sono una rete di comuni miserie,
e c'è sorte migliore della cenere
di cui è fatto l'oblio?
Su altri gettarono gli dei
l'inesorabile luce della gloria, che guarda nell'intimo ed
enumera ogni crepa,
della gloria, che finisce col far avvizzire la rosa che venera;
con te, fratello, furono pietosi.
Nell'estasi d'una sera che non sarà mai notte,
tu odi la voce dell'usignuolo di Teocrito.
Sempre è commovente il tramonto
per indigente o sgargiante che sia,
ma più commovente ancora
è quel brillìo disperato e finale
che arrugginisce la pianura
quando il sole ultimo si è sprofondato.
Ci duole sostenere quella luce tesa e diversa,
quella allucinazione che impone allo spazio
l'unanime paura dell'ombra
e che cessa di colpo
quando notiamo la sua falsità,
come cessano i sogni
quando sappiamo di sognare.
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