Ti amerei nel vento
Sotto il cielo terso in primavera
Tra la dolcezza delle rose...
Ti amerei nel canto degli uccelli
All'ombra della vegetazione
Sulle pietra calda e nuda
Sotto il solo bruciante,
Nella frescura dell'erba
E con il canto degli insetti..
Ti amerei il giorno e la notte,
Nella calma e nella tempesta
Sotto le stelle che brillano
Sotto la rugiada della notte
E la mattina all'alba
Con il sorriso e con le lacrima,
Ti amerei con tutte le mie forze...
E come una dama morente che pallida
e smunta ravvolta in un velo
diafano esce vacillando
dalla sua camera, ed è insensato
incerto vaneggiare della mente
smarrita che la guida, la luna
sorse nel tenebroso oriente, una massa
deforme che sbiancheggia.
Tu Stella dimmi, che ali di luce
ti sospingono rapida a un volo di fiamma,
dentro quale caverna della notte
si chiuderanno ora le tue piume?
E tu Luna che vai, pallida e grigia
pellegrina del Cielo, per vie senza riparo,
in quali abissi del giorno e della notte
stai ora ricercando il tuo riposo?
Vento ormai stanco, che passi vagabondo
come l'ospite esule del mondo,
possiedi ancora un tuo nido segreto
in vetta a un albero, in mezzo alle onde?
Nel primo dolce sonno della notte
mi risveglio dai sogni in cui tu appari,
quando sospira lievemente il vento
e splendono le stelle luminose:
mi risveglio dai sogni in cui tu appari,
e uno spirito allora mi ha condotto,
chissà come, vicino alla finestra
della tua camera, o dolcezza mia!
Le arie vagabonde illanguidiscono
lungo il ruscello oscuro e silenzioso,
i profumi del Champak svaniscono
come dolci pensieri in un sogno;
muore il lamento dell'usignolo sul cuore
della diletta, proprio come me
destinato a morire sul tuo,
o tu che sei la mia amata!
Oh, ti prego, sollevami dall'erba!
Muoio e mi sento debole e languido!
Oh, che il tuo amore piova in mille baci
sulle mie labbra e sulle smorte palpebre.
Ahimè, le guance sono fredde e pallide,
ed il mio cuore batte impetuoso e forte!
Oh, stringilo al tuo cuore nuovamente,
dove alla fine si dovrà spezzare!
Bella, radiosa amica!
vieni con me,
ai boschi e alla campagna!
Cara, dolce visione che consoli
i miei dolori, e splendi più del giorno
venuto così chiaro a salutare
l'Anno rigido ancora, ma già desto
nella sua culla fra i canneti e i rovi.
L'ora più fresca della Primavera
se ne va passeggiando per l'inverno:
vede le piante senza foglie, nude
le rive e brulle; una serena pace
avvolge la mattina che è spuntata
proprio nel cuore del febbraio; scende
dal cielo una felicità d'azzurro,
bacia la fronte gelida alla terra,
e sparge sopra al mare silenzioso
il suo sorriso, scioglie le correnti
dalla morsa del ghiaccio, risvegliando
musica alle fontane, e il suo respiro
sui monti irrigiditi a noi ridona
un mondo su cui tu, cara, sorridi.
Luce del giorno, amica raggiante!
svegliati! sorgi! e vieni via!
Vieni ai boschi selvaggi, alle pianure
laggiù dove la pioggia dell'inverno
riflette immagini: i frondosi tetti
di prosciugate foglie grigio verde
che i Pini intrecciano in ghirlande; e quelle
pietre rotonde che tu mai baciasti,
Sole! vieni alle dune delle spiagge,
dove nascono timide violette.
Ora che l'ultimo di molti giorni,
come te risplendenti e generosi,
l'amato giorno e l'ultimo, si è spento,
vieni, Memoria! e scrivi la sua lode:
fa' il tuo lavoro usato, e così traccia
l'epigrafe alla gloria ormai fuggita:
mutato è il volto della Terra, un solco
severo increspa lo sguardo del Cielo.
Vagammo per la Foresta di Pini
che intorno cinge la schiuma del mare;
lievissimo era il vento nel suo nido
chiusa nella sua casa la tempesta.
Mormoravano le onde addormentate,
le nuvole eran corse via a giocare
e sopra ai boschi, e fino nel profondo
posava quieto il sorriso del Cielo.
Sembrava, quello, quasi fosse un giorno
mandato da lontano, da oltre i cieli,
che sulla terra e al di sopra del sole
spandeva una luce di Paradiso.
Sostammo in mezzo ai Pini solitari
giganti del deserto, torturati
dalle tempe