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Poesie di Pier Paolo Pasolini

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Alla mia nazione

Non popolo arabo, non popolo balcanico, non popolo antico
ma nazione vivente, ma nazione europea:
e cosa sei? Terra di infanti, affamati, corrotti,
governanti impiegati di agrari, prefetti codini,
avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi,
funzionari liberali carogne come gli zii bigotti,
una caserma, un seminario, una spiaggia libera, un casino!
Milioni di piccoli borghesi come milioni di porci
pascolano sospingendosi sotto gli illesi palazzotti,
tra case coloniali scrostate ormai come chiese.
Proprio perché tu sei esistita, ora non esisti,
proprio perché fosti cosciente, sei incosciente.
E solo perché sei cattolica, non puoi pensare
che il tuo male è tutto male: colpa di ogni male.

Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo.



Pioggia sui confini

Giovinetto, piove il Cielo
sui focolari del tuo paese,
sul tuo viso di rosa e miele
nuvoloso nasce il mese.

Il sole scuro di fumo,
sotto i rami del gelseto,
ti brucia e sui confini,
tu solo, canti i morti.

Giovinetto, ride il Cielo
sui balconi del tuo paese,
sul tuo viso di sangue e fiele,
rasserenato muore il mese.



Suite Furlana

Un fanciullo si guarda nello specchio,
il suo occhio gli ride nero.
Non contento guarda nel rovescio
per vedere se è un corpo quella Forma.

Ma vede solo il muro liscio
o la tela di un ragno maligno.
Scuro torna a guardare nello specchio
la sua Forma, un barlume nel vetro.

Io fanciullo, guardo nello Specchio,
e il ricordo mi ride leggero,
il ricordo della mia vita viva
come erba in una nera riva.

Ma non contento guardo nel rovescio
per vedere se è qualcosa a dolermi.
Un barlume, è un barlume,
solo il bianco di un barlume...

Lì dietro il vetro, si infiamma
in mezzo a una morta campagna,
in un paese di luce, una campana
nel cuore vicina, nel tempo lontana.

Luce è la mia vita, e suonano
a festa per me nel cielo nudo,
luce è mia madre fanciulla e suona
a festa sulla sua chiara culla.

Dietro lo Specchio, mia madre fanciulla
gioca nel viottolo asciutto.
Odora gli occhi della Madonna
tra i fichi e le querce fresche di resina.

Con la collana di coralli
corre via contenta per le prodaie,
in un barlume di vita del mille
novecento e due, in un sospiro...



Figlio

Figlio, la gioventù ti vive in fondo al cuore
rossa e sola, come il sole che muore.

Figlio, in fondo al cuore ti vive un po' d'amore
rosso e abbandonato, come il sole che muore.

Figlio, in fondo al cuore, Roma ti vive sola
rossa e senza amore come il sole che muore.

Figlio, se tu dormi quel po' di rosso muore
e quando ti risvegli non vedi più il sole.

Figlio, anche il perdono di Dio è un po' di sole
che ti fa trasparente e rosso e presto muore.

Figlio! biondino al sole di San Pietro che muore
di gioventù e abbandono nella tua morte mora!



Il canto popolare

Improvviso il mille novecento
cinquanta due passa sull'Italia:
solo il popolo ne ha un sentimento
vero: mai tolto al tempo, non l'abbaglia
la modernità, benché sempre il più
moderno sia esso, il popolo, spanto
in borghi, in rioni, con gioventù
sempre nuove - nuove al vecchio canto -
a ripetere ingenuo quello che fu.

Scotta il primo sole dolce dell'anno
sopra i portici delle cittadine
di provincia, sui paesi che sanno
ancora di nevi, sulle appenniniche
greggi: nelle vetrine dei capoluoghi
i nuovi colori delle tele, i nuovi
vestiti come in limpidi roghi
dicono quanto oggi si rinnovi
il mondo, che diverse gioie sfoghi...

Ah, noi che viviamo in una sola
generazione ogni generazione
vissuta qui, in queste terre ora
umiliate, non abbiamo nozione
vera di chi è partecipe alla storia
solo per orale, magica esperienza;
e vive puro, non oltre la memoria
della generazione in cui presenza
della vita è la sua vita perentoria.

Nella vita che è vita perché assunta
nella nostra ragione e costruita
per il nostro passaggio - e ora giunta
a essere altra, oltre il nostro accanito
difenderla - aspetta - cantando supino,
accampato nei nostri quartieri
a lui sconosciuti, e pronto fino
dalle più fresche e inanimate ère -
il popolo: muta in lui l'uomo il destino.

E se ci rivolgiamo a quel passato
ch'è nostro privilegio, altre fiumane
di popolo ecco cantare: recuperato
è il nostro moto fin dalle cristiane
origini, ma resta indietro, immobile,
quel canto. Si ripete uguale.
Nelle sere non più torce ma globi
di luce, e la periferia non pare
altra, non altri i ragazzi nuovi...

Tra gli orti cupi, al pigro solicello
Adalbertos komis kurtis!, i ragazzini
d'Ivrea gridano, e pei valloncelli
di Toscana, con strilli di rondinini:
Hor atorno fratt Helya! La santa
violenza sui rozzi cuori il clero
calca, rozzo, e li asserva a un'infanzia
feroce nel feudo provinciale l'Impero
da Iddio imposto: e il popolo canta.

Un grande

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