Ti jos, Dili, ta li cassis
a plòuf. I cians si scunìssin
pal plan verdùt.
Ti jos, tai nustris cuàrps,
la fres-cia rosada
dal timp pirdùt.
DILIO. Vedi, Dilio, sulle acacie piove. I cani si sfiatano per il piano verdino.
Vedi, fanciullo, sui nostri corpi la fresca riguada del tempo perduto.
La primavera dorme lieve,
sul prato trasparente,
fra il vuoto dell'erba
e il tepore del vento.
Nell'acqua del suo seno
guardo il mio viso selvaggio
di ragazzo specchiato su viole
morte da mille annate.
Ma dorme... Il suo veleno
è il tiepido respiro
dell'orizzonte chiuso
nel celeste del suo giro.
Lo scandalo del contraddirmi, dell'essere
con te e contro te; con te nel cuore,
in luce, contro te nelle buie viscere;
del mio paterno stato traditore
- nel pensiero, in un'ombra di azione -
mi so ad esso attaccato nel calore
degli istinti, dell'estetica passione;
attratto da una vita proletaria
a te anteriore, è per me religione
la sua allegria, non la millenaria
sua lotta: la sua natura, non la sua
coscienza; è la forza originaria
dell'uomo, che nell'atto s'è perduta,
a darle l'ebbrezza della nostalgia,
una luce poetica: ed altro più.
io non so dirne, che non sia
giusto ma non sincero, astratto
amore, non accorante simpatia...
Come i poveri povero, mi attacco
come loro a umilianti speranze,
come loro per vivere mi batto
ogni giorno. Ma nella desolante
mia condizione di diseredato,
io possiedo: ed è il più esaltante
dei possessi borghesi, lo stato
più assoluto. Ma come io possiedo la storia,
essa mi possiede; ne sono illuminato:
ma a che serve la luce?
L'intelligenza non avrà mai peso, mai
nel giudizio di questa pubblica opinione.
Neppure sul sangue dei lager, tu otterrai
da uno dei milioni d'anime della nostra nazione,
un giudizio netto, interamente indignato:
irreale è ogni idea, irreale ogni passione,
di questo popolo ormai dissociato
da secoli, la cui soave saggezza
gli serve a vivere, non l'ha mai liberato.
Mostrare la mia faccia, la mia magrezza -
alzare la mia sola puerile voce -
non ha più senso: la viltà avvezza
a vedere morire nel modo più atroce
gli altri, nella più strana indifferenza.
Io muoio, ed anche questo mi nuoce.
La siala a clama l'unvièr
-quant ch'a cianta la siala
dut tal mont a è clar e fer.
Lajù il sèil l'è dut serèn
-s'i ti vens cajù se ciàtitu?
Ploja, nul, un plant d'infier.
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