Forse la giovinezza è solo questo
perenne amare i sensi e non pentirsi
Mi adagio nel mattino
di primavera. Sento
nascere in me scomposte
aurore. Io non so più
se muoio o se rinasco.
Mi nasconda la notte e il dolce vento.
Da casa mia cacciato e a te venuto
mio romantico antico fiume lento.
Guardo il cielo e le nuvole e le luci
degli uomini laggiù così lontani
sempre da me. Ed io non so chi voglio
amare ormai se non il mio dolore.
La luna si nasconde e poi riappare
lenta vicenda inutilmente mossa
sovra il mio capo stanco di guardare.
Le nere scale della mia taverna
tu discendi tutto intriso di vento.
I bei capelli caduti tu hai
sugli occhi vivi in un mio firmamento remoto.
Nella famosa taverna
ora è l'odore del porto e del vento.
Libero vento che modella i corpi
e muove il passato ai bianchi marinai.
Era l'alba sui colli, e gli animali
ridavano alla terra i calmi occhi.
Io tornavo alla casa di mia madre.
Il treno dondolava i miei sbadigli
acerbi. E il primo vento era sull'erbe.
Altissimo e confuso, il paradiso
della mia vita non aveva ancora
volto. Ma l'ospite alla terra, nuovo,
già chiedeva l'amore, inginocchiato.
Cadeva la preghiera nella chiusa
casa entro odore di libri di scuola.
Navigavano al vespero felici
gridi di ucceli nel mio cielo d'ansia.