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Poesie di Ugo Foscolo

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In morte del fratello Giovanni

Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo
di gente in gente, me vedrai seduto
su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
il fior de' tuoi gentil anni caduto.

La Madre or sol suo dì tardo traendo
parla di me col tuo cenere muto,
ma io deluse a voi le palme tendo
e sol da lunge i miei tetti saluto.

Sento gli avversi numi, e le secrete
cure che al viver tuo furon tempesta,
e prego anch'io nel tuo porto quiete.

Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, almen le ossa rendete
allora al petto della madre mesta.

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All'amata

Meritamente, però'ch'io potei
Abbandonarti, or grido alle frementi
Onde che batton l'alpi, e i pianti miei
Sperdono sordi del Tirreno i venti.

Sperai, poiché mi han tratto uomini e Dei
In lungo esilio fra spergiure genti
Dal'bel paese ove or meni sì rei,
Me sospirando, I tuoi giorni fiorenti,

Sperai che il tempo, e i duri casi, e queste
Rupi ch'io varco anelando, e le eterne
Ov'io qual fiera. dormo atre foreste,

Sarien ristoro al mio cor sanguinente;
Ahi, vóta speme! Amor fra l'ombre inferne
Seguirammi immortale, onnipotente.

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Dei Sepolcri

Ne da te, dolce amico, udrò più il verso
E la mesta armonia che lo governa,
Nne più nel cor mi parlera lo spirito
Delle tue vergini Muse e dell'amore,
Unico spirito a mia vita raminga,
Qual fia ristoro a di perduti un sasso
Che distingua le mie dalle infinite
Ossa che in terra e in mar semina morte
Vero e ben, Pindemonte! Anche la Speme
Ultima Dea, fugge i sepolcri; involve
Tutte cose l'obblio nella sua notte;
E una forza operosa le affatica
Di moto in moto; e l'uommo e le sue tombe
E l'estreme sembianze e le reliquie
Dalla terra e del ciel traveste il tempo

   1 commenti     di: Ugo Foscolo


Alla sera

Forse perche' della fatal quiete
tu sei l'immago, a me si cara vieni,
o Sera! E quando ti corteggian liete
le nubi estive e i zeffiri sereni,
e quando dal nevoso aere inquiete
tenebre e lunghe all'universo meni,
sempre scendi invocata, e le secrete
vie del mio cor soavemente tieni.
Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme
delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre guardo la tua pace, dorme
quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.

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A Zacinto

Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell'onde
del greco mar da cui vergine nacque

Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l'inclito verso di colui che l'acque

cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.

Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.

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