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Poesie di Vincenzo Cardarelli

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Ritratto

Esiste una bocca scolpita,
un volto d'angiolo chiaro e ambiguo,
una opulenta creatura pallida
dai denti di perla,
dal passo spedito,
esiste il suo sorriso,
aereo, dubbio, lampante,
come un indicibile evento di luce.



Adolescente

Su te, vergine adolescente,
sta come un'ombra sacra.
Nulla è più misterioso
e adorabile e proprio
della tua carne spogliata.
Ma ti recludi nell'attenta veste
e abiti lontano
con la tua grazia
dove non sai chi ti raggiungerà.
Certo non io. Se ti veggo passare
a tanta regale distanza,
con la chioma sciolta
e tutta la persona astata,
la vertigine mi si porta via.
Sei l'imporosa e liscia creatura
cui preme nel suo respiro
l'oscuro gaudio della carne che appena
sopporta la sua pienezza.
Nel sangue, che ha diffusioni
di fiamma sulla tua faccia,
il cosmo fa le sue risa
come nell'occhio nero della rondine.
La tua pupilla è bruciata
dal sole che dentro vi sta.
La tua bocca è serrata.
Non sanno le mani tue bianche
il sudore umiliante dei contatti.
E penso come il tuo corpo
difficoltoso e vago
fa disperare l'amore
nel cuor dell'uomo!

Pure qualcuno ti disfiorerà,
bocca di sorgiva.
Qualcuno che non lo saprà,
un pescatore di spugne,
avrà questa perla rara.
Gli sarà grazia e fortuna
il non averti cercata
e non sapere chi sei
e non poterti godere
con la sottile coscienza
che offende il geloso Iddio.
Oh sì, l'animale sarà
abbastanza ignaro
per non morire prima di toccarti.
E tutto è così.
Tu anche non sai chi sei.
E prendere ti lascerai,
ma per vedere come il gioco è fatto,
per ridere un poco insieme.
Come fiamma si perde nella luce,
al tocco della realtà
i misteri che tu prometti
si disciolgono in nulla.
Inconsumata passerà
tanta gioia!
Tu ti darai, tu ti perderai,
per il capriccio che non indovina
mai, col primo che ti piacerà.
Ama il tempo lo scherzo
che lo seconda,
non il cauto volere che indugia.
Così la fanciullezza
fa ruzzolare il mondo
e il saggio non è che un fanciullo
che si duole di essere cresciuto.



Autunno

Autunno. Già lo sentimmo venire
nel vento d'agosto,
nelle pioggie di settembre
torrenziali e piangenti
e un brivido percorse la terra
che ora, nuda e triste,
accoglie un sole smarrito.
Ora che passa e declina,
in quest'autunno che incede
con lentezza indicibile,
il miglior tempo della nostra vita
e lungamente ci dice addio.



Incontro in circolare

Alta, bruna, fiancuta,
sotto un soprabito disadorno,
la bella ragazza confusa
nella misera folla
d'una vettura circolare interna,
pareva sorda a ogni affanno.
Ferma sul corridoio, un po' appartata,
le sue gambe di statua
sostenevano gli urti
come solido ponte un fiume in piena.
Non gloria in lei spirava,
non frenesia di vita o giovinezza,
ma una decisa e forte indifferenza
luceva nei suoi occhi assorti e aguzzi.
Era di quelle
romane bellezze
che son rare anche a Roma,
dove mai non s'incontrano
senza un muto stupore.
Era un grande segreto
della vita di Roma
che m'appariva in luogo men propizio,
nella forma più degna.
Donde veniva, ove andava
la bella romana chiomata
di lucidi e ricci capelli?
Quale mestiere o cura attribuirle?
Spostandosi verso l'uscio
trovò qualcuno con cui discorrere
famigliarmente.
E mi volgeva le spalle
alte com'ali tese.
Al Colosseo discese leggermente,
scomparendo ai miei occhi, oimé, per sempre.



Autunno veneziano

L'alito freddo e umido m'assale
di Venezia autunnale,
Adesso che l'estate,
sudaticcia e sciroccosa,
d'incanto se n'è andata,
una rigida luna settembrina
risplende, piena di funesti presagi,
sulla città d'acque e di pietre
che rivela il suo volto di medusa
contagiosa e malefica.
Morto è il silenzio dei canali fetidi,
sotto la luna acquosa,
in ciascuno dei quali
par che dorma il cadavere d'Ofelia:
tombe sparse di fiori
marci e d'altre immondizie vegetali,
dove passa sciacquando
il fantasma del gondoliere.
O notti veneziane,
senza canto di galli,
senza voci di fontane,
tetre notti lagunari
cui nessun tenero bisbiglio anima,
case torve, gelose,
a picco sui canali,
dormenti senza respiro,
io v'ho sul cuore adesso più che mai.
Qui non i venti impetuosi e funebri
del settembre montanino,
non odor di vendemmia, non lavacri
di piogge lacrimose,
non fragore di foglie che cadono.
Un ciuffo d'erba che ingiallisce e muore
su un davanzale
è tutto l'autunno veneziano.

Così a Venezia le stagioni delirano.

Pei suoi campi di marmo e i suoi canali
non son che luci smarrite,
luci che sognano la buona terra
odorosa e fruttifera.
Solo il naufragio invernale conviene
a questa città che non vive,
che non fiorisce,
se non quale una nave in fondo al mare.





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