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Poesie di Vladimir Majakovskij

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Pagine: 1234tutte

Inno al giudice

I galeotti vogano per il Mar Rosso
spingendo a fatica la galera;
il rugghio copre lo stridio dei ceppi
strillano, Perù la loro patria.

I Peruviani ricordano il Perù
un paradiso, c'erano uccelli, danze
donne e su ghirlande di fiori d'arancio
crescevano al cielo i baobab
.
Banane, ananassi! Un mucchio di gioie!
Vino in vasellame conservato...
Ma ecco, chissà perché e da dove
i giudici giunsero in Perù!

E disposero un cerchio di commi
per ingabbiare uccelli e Peruviane.
Gli occhi del giudice sono barattoli di latta
che scintillano in un mondezzaio.

Capitò un pavone blu-ranciato
sotto il suo occhio severo come il digiuno,
e scolorì sull'istante la magnifica
coda di pavone!

In Perù volavano per la prateria
certi uccellini detti colibrì;
il giudice ne prese uno e il pelame e le piume
rase al povero colibrì.

Adesso, nemmeno in una sola valle
vi sono vulcani fumanti.
Il giudice ha scritto su ogni valle:
"Valle per non fumatori".

In Perù persino i miei versi
sono proibiti, su minaccia di torture.
Il giudice ha stabilito che "quelli in vendita
sono bevanda alcolica".

L'Equatore freme al tintinnio dei ceppi.
Il Perù è vuoto di uccelli e di uomini...
Vi abitano soltanto i giudici depressi,
rannicchiati con astio sotto i codici.

Eppure, sapete, fa pena il Peruviano.
Senza ragione gli han dato la galera.
I giudici disturbano gli uccelli e le danze,
e me e voi e il Perù.



Il flauto di vertebre

Prologo

a voi tutte,
che piacete o siete piaciute,
che conservate icone nell'antro dell'anima,
come coppa di vino in un brindisi,
levo il cranio ricolmo di canti.

Sempre più spesso mi chiedo
se non sia meglio metter il punto
d'un proiettile alla mia sorte.
Oggi darò,
in ogni caso,
un concerto d'addio.

Memoria!
Raduna nella sala del cervello
le schiere inesaurivbili delle amate.
Da un occhio all'altro effindi il sorriso. D'antiche nozze travesti la notte.
Di corpo in corpo effondete la gioia.
Che nessuno dimentichi una simile notte.
Oggi io suonerò il flauto
sulla mia colonna vertebrale.

I

Miglia di strade i miei passi calpestano.
Dove andrò a nascondere il mio inferno?
Da quale Hoffmann celeste
sei stata concepita, maledetta?

Sono anguste le strade per una tempesta di gioia.
Gente adorna la festa senza posa attingeva.
Penso.
I pensieri, grumi di sangue,
imfermi e rappresi strisciano via dal cranio.

Io,
taumaturgo di ogni tripudio,
non ho con chi andare alla festa.
Cadrò di schianto, supino,
sfracellandomi il capo dulle pietre del Nevskij!
Ho bestemmiato.
Ho urlato che Dio non esiste,
e lui ha tratto dal fondo dell'inferno
una donna che farebbe tremare una montagna
e mi ha comandato:
amala!

Dio è soddisfatto.
Nell'erta sotto il cielo
un uomo tormentato s'è inselvatichito e spanto.
Dio si stropiccia le mani.
Dio pensa:
aspetta, Vladimir!
L'ha escogitato lui, lui,
per non farmi scoprire il tuo mistero,
di darti un marito vero
e di porre sul pianoforte note umane.
Se furtivo m'accostassi alla soglia della tua alcova, per far la croce sulla nostra coperte,
lo so,
si sentirebbe puzzo di lana bruciata
e fumo sulfureo si leverebbe dalla carne del diavolo.

Ma invece fino all'alba
l'orrore che tu fossi condotta ad amare
m'ha sconvolto,
e le mie grida
ho sfaccettato in versi,
gioielliere già in preda alla follia.
Giocare a carte!
Sciaquare
nel vino la rauca gola del cuore!

Non ho bisogn

[continua a leggere...]



Non ho bisogno di te

Tanto lo so
tra breve creperò
se davvero tu esisti
o dio
o mio dio
se fossi tu a tessere il tappeto stellato
se questo tormento ogni giorno moltiplicato
è per me un tuo esperimento
indossa la toga curiale.
La mia visita attendi
sarò puntuale
non tarderò ventiquattr'ore.
Ascoltami
altissimo inquisitore!



Il poeta è un operaio

Gridano al poeta:
"Davanti a un tornio ti vorremmo vedere!
Cosa sono i versi? Parole inutili!
Certo che per lavorare fai il sordo".
A noi, forse, il lavoro
più d'ogni altra occupazione sta a cuore.
Sono anch'io una fabbrica.
E se mi mancano le ciminiere,
forse, senza di esse,
ci vuole ancor più coraggio.
Lo so: voi non amate le frasi oziose.
Quando tagliate del legno, è per farne dei ciocchi.
E noi, non siamo forse degli ebanisti?
Il legno delle teste dure noi intagliamo.
Certo, la pesca è cosa rispettabile.
Tirare le reti, e nelle reti storioni, forse!
Ma il lavoro del poeta non è da meno:
è pesca d'uomini, non di pesci.
Fatica enorme è bruciare agli altiforni,
temprare i metalli sibilanti.
Ma chi oserà chiamarci pigri?
Noi limiamo i cervelli
con la nostra lingua affilata.
Chi è superiore: il poeta o il tecnico
che porta gli uomini a vantaggi pratici?
Sono uguali. I cuori sono anche motori.
L'anima è un'abile forza motrice.
Siamo uguali. Compagni d'una massa operaia.
Proletari di corpo e di spirito.
Soltanto uniti abbelliremo l'universo,
l'avvieremo a tempo di marcia.
Contro la marea di parole innalziamo una diga.
All'opera! Al lavoro nuovo e vivo!
E gli oziosi oratori, al mulino! Ai mugnai!
Che l'acqua dei loro discorsi
faccia girare le macine.



All'amato me stesso

Quattro. Pesanti come un colpo.

"A Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio".

Ma uno come me dove potrà ficcarsi?

Dove mi si è apprestata una tana?

S'io fossi piccolo come il grande oceano,
mi leverei sulla punta dei piedi delle onde con l'alta marea,
accarezzando la luna.

Dove trovare un'amata uguale a me?
Angusto sarebbe il cielo per contenerla!

O s'io fossi povero come un miliardario.. Che cos'è il denaro per l'anima?
Un ladro insaziabile s'annida in essa:
all'orda sfrenata di tutti i miei desideri
non basta l'oro di tutte le Californie!

S'io fossi balbuziente come Dante o Petrarca...
Accendere l'anima per una sola, ordinarle coi versi...
Struggersi in cenere.
E le parole e il mio amore sarebbero un arco di trionfo:
pomposamente senza lasciar traccia vi passerebbero sotto
le amanti di tutti i secoli.

O s'io fossi silenzioso, umil tuono... Gemerei stringendo
con un brivido l'intrepido eremo della terra...
Seguiterò a squarciagola con la mia voce immensa.

Le comete torceranno le braccia fiammeggianti,
gettandosi a capofitto dalla malinconia.

Coi raggi degli occhi rosicchierei le notti
s'io fossi appannato come il sole...

Che bisogno ho io d'abbeverare col mio splendore
il grembo dimagrato della terra?

Passerò trascinando il mio enorme amore
in quale notte delirante e malaticcia?

Da quali Golia fui concepito
così grande,
e così inutile?





Pagine: 1234tutte

Vladimir Majakovskij e' stato un poeta e drammaturgo sovietico, cantore della rivoluzione d'Ottobre e maggior interprete del nuovo corso intrapreso dalla cultura russa post-rivoluzionaria. Nel 1911 si iscrisse all'Accademia di Pittura, Scultura e Architettura di Mosca dove incontrò David Burljuk, che, entusiasmatosi per i suoi versi, gli propose 50 copechi al giorno per scrivere. Majakovskij aderì al cubofuturismo russo, firmando nel 1914 insieme ad altri artisti (Burljuk, Kamenskij, Kručёnych, Chlebnikov) il manifesto "Schiaffo al gusto del pubblico".

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