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Poesie di Vladimir Majakovskij

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Marina da guerra in amore

Van sui mari scherzando in crociera
il torpediniero e torpediniera.

E come la vespa s'attacca col miele,
così la torpediniera fedele.

E per il torpediniero, infinita
è la felicità della vita.

Ma li scoprì con gli occhiali sul naso
un riflettore pedante, per caso.

Una sirena fece la spia,
denunziandone a tutti la scia.

Ma il torpediniero ormai stanco,
poverino, fu colto nel fianco.

Sull'oceano ora va la preghiera
della vedova torpediniera.

Dava forse agli uomini noia
quella loro semplice gioia?



il poeta

Glorificatemi!
I grandi io non li tratto da pari a pari.
Sopra tutto ciò è stato fatto
io piazzo un nihil.
Non voglio mai
leggere niente.
Libri?
ma che libri!
Una volta pensavo
che i libri si facessero così:
arriva il poeta,
dischiude come niente fosse i labbri,
e subito prende a cantare il sempliciotto ispirato -
ma prego!
E invece risulta
che prima di mettersi a cantare,
si cmmina a lungo, straincallendosi per il tramenìo,
e adagio sguazza nella melma del cuore
la stupida tringa dell'immagginazione.
Mentre si tiene a bollore, strimpellando rime,
una broda di amori e d'usignoli,
la strada si contorce senza lingua:
non ha con che dar gridi e conversare
torri babilonesi di città
noi torniamo a innalzare insuperbiti,
e Dio
le città in campi arati
dirocca
rimescolando il verbo.



Ascoltate!

Ascoltate!
Se accendono le stelle,
vuol dire che qualcuno ne ha bisogno?
Vuol dire che qualcuno vuole che esse siano?
Vuol dire che qualcuno chiama perle questi piccoli sputi?
E tutto trafelato,
fra le burrasche di polvere meridiana,
si precipita verso Dio,
teme d'essere in ritardo,
piange.
Gli bacia la mano nodosa,
supplica
che ci sia assolutamente una stella,
giura
che non può sopportare questa tortura senza stelle!
E poi cammina inquieto,
fingendosi calmo.
Dice ad un altro:
"Ora va meglio, è vero?
Non hai più paura?
Sì!?"
Ascoltate!
Se accendono le stelle,
vuol dire che qualcuno ne ha bisogno?
Vuol dire che è indispensabile
che ogni sera
al di sopra dei tetti
risplenda almeno una stella?



Invece di una lettera

Il fumo del tabacco ha roso l'aria.
La stanza
è un capitolo dell'inferno di Kruchenych.
Ricordi?
Accanto a questa finestra
per la prima volta
accarezzai freneticamente le tue mani.
Oggi, ecco, sei seduta,
il cuore rivestito di ferro.
Ancora un giorno,
e mi scaccerai,
forse maledicendomi.
Nella buia anticamera, la mano, rotta dal tremito,
a lungo non saprà infilarsi nella manica.
Poi uscirò di corsa,
e lancerò il mio corpo per la strada.
Fuggito da tutti,
folle diventerò,
consunto dalla disperazione.
Ma non è necessario tutto questo;
cara,
dolce,
diciamoci adesso addio.
Il mio amore,
peso così schiacciante ancora,
ti grava sopra
lo stesso,
dovunque tu fugga.
Lasciami sfogare in un ultimo grido
l'amarezza degli offesi lamenti.
Se lo sfiancano di lavoro, un bue,
se ne va
ad adagiarsi sulle fredde acque.
Ma, al di fuori del tuo amore,
per me
non c'è mare,
e dal tuo amore neanche col pianto puoi impetrare tregua.
Se l'elefante sfinito cerca pace,
si stende regalmente sulla sabbia arroventata.
Ma, al di fuori del tuo amore,
per me
non c'è sole,
e io non so neppure dove sei e con chi.
Se così tua avessi ridotto un poeta,
lui
avrebbe lasciato la sua amata per la gloria e il denaro
ma per me
non un solo
suono è di festa
oltre a quello del tuo amato nome.
Non mi butterò nella tromba delle scale,
non ingoierò veleno,
non saprò premere il grilletto contro la tempia.
Su di me,
al di fuori del tuo sguardo,
non ha potere la lama di nessun coltello.
Domani dimenticherai
che ti ho incoronato,
che l'anima in fiore ho incenerito con l'amore,
e lo scatenato carnevale dei giorni irrequieti
socompiglierà le pagine dei miei libri
Potranno mai le foglie secche delle mie parole
trattenerti un momento
per aspirare avidamente?
Ma lascia almeno
ch'io lastrichi con un'ultima tenerezza
il tuo passo che s'allontana.



Dietro una donna

Spostato su col gomito un lievito di nebbia,
Colava biacca da una fiasca nera
E a briglia sciolta nel cielo
Canuto e greve caracollava fra le nuvole.
Nel fuso rame di case stagnate
A stento si contengono i trèmiti delle vie,
Stuzzicati da un rosso mantello di lussuria,
I fumi diramavano le corna dentro il cielo.
Cosce-vulcani sotto il ghiaccio delle vesti,
Messi di seni mature già per il raccolto.
Dai marciapiedi con ammicchi malandrini
Frecce spuntate insorsero gelose.
Stormo che a un colpo di tacco

Si levi a volo nel cielo
Preghiere di altezze presero al laccio Iddio:
Con sorrisi da topi lo spennarono
E beffarde lo trassero per la fessura d'una soglia.
L'Oriente in un vicolo le scorse,
Più in alto risospinse la smorfia del cielo
E il sole dalla nera borsa strappato fuori
Pestò con cattiveria le costole del tetto.





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Vladimir Majakovskij e' stato un poeta e drammaturgo sovietico, cantore della rivoluzione d'Ottobre e maggior interprete del nuovo corso intrapreso dalla cultura russa post-rivoluzionaria. Nel 1911 si iscrisse all'Accademia di Pittura, Scultura e Architettura di Mosca dove incontrò David Burljuk, che, entusiasmatosi per i suoi versi, gli propose 50 copechi al giorno per scrivere. Majakovskij aderì al cubofuturismo russo, firmando nel 1914 insieme ad altri artisti (Burljuk, Kamenskij, Kručёnych, Chlebnikov) il manifesto "Schiaffo al gusto del pubblico".

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