I giorni appesi alle unghie,
tra le dita divaricate a grata
dinanzi alle pupille,
gocciolano sull'impiantito
caotici, ingannevoli e inutili
come asfittiche larve oceaniche.
Il tempo vocifera ingarbugliato
di flussi umani in cui gli elettrodi
sono la nascita e la morte
e gli elettroni hanno occhi e lingua
per guardare e parlare, ma non possono ascoltare.
Sono stanco di questi giorni, di questo tempo.
Basta solo una punta di coraggio
per andare in un luogo piú distante
di Betelgeuse o di Aldebaran, cioé dentro di me
e perdere l'orientamento come sussurra il vento del nord.
Provo a immaginare.
La mia polpa rossa, bianca, gialla,
come i colori dell'aurora, si lubrifica di sensazioni.
Il mio cranio schedato e imbottito
si scoperchia mentre il cervello
si spalma fosforescente sull'autostrada
con tutte la sua ingombrante ragionevolezza.
Mi piace fantasticare.
Mi sciolgo, m'infiltro tra le pieghe della coscienza
oltre i limiti dell'insoddisfazione umana,
come un iceberg surriscaldato,
finalmente irreale, leggero come l'assenza,
saturo di assoluta divina consapevolezza
in un brivido sconfinato e assurdo
come un germe embrionario
in uno spazio senza gabbie e senza minuti.
Il mio sangue ebbro sorride a queste fantasticherie.
Mi piace ascoltare il vento del nord.
È bello immaginare.