prendo l'auto in direzione San Filippo e
osservo le nuvole disegnare volti bizzarri.
il fantasma dell'Amore è migrato
in territori più resistenti di un femore di ferro.
tutto è slabbrato,
adesso.
la sensibilità fuggita via
come una pendola malevola,
il desiderio morto.
duemilasedici anni dalla dipartita del signore
e non c'è più musica per le nostre orecchie,
solo una strada tangenziale che si rovescia al sole
come un ubriacone
(chilometri di polvere e asfalto appiccicoso
lineari senza un perché).
mi fermo in una piazzola di sosta
accendendomi una sigaretta e buttando giù
gin da 6 euro.
qualcosa più grande di un miracolo
passeggia ingigantito nei freddi corridoi del mio cervello:
sono le parole,
è il suono,
quella specie di vaga melodia che fece
ammattire Hemingway più di sessant'anni fa.
penso ancora a Meursault e a Roquentin,
alla pulizia delle strade e al sole d'Agosto;
alla fisiognomica, alla poesia crepuscolare,
alle fogne, a una sega;
e le parole vengono fuori
come dannate formiche Dorylus
e la musica inonda le frequenze della mia testolina mediocre
come una cascata.
imbraccio la penna
-il fucile di noi timorosi-
e butto giù questa poesia
con la facilità
con cui il culo espelle uno stronzo.
distrattamente,
sopra le nuvole,
Dio
se la ride
aspettando
il capitolo successivo.