Ardeva l' infinito
in miliardi di stelle,
guardava ad una grotta
nei pressi di Betlemme.
Attendeva la notte,
sulla scia d'una cometa,
evanescente e bianca
fra la gola dei monti,
il canto d' un vagito.
Di caligine luminosissima
fioriva l'universo.
Esultava una madre,
dal travaglio provata,
stringendo a sè l' Eterno
e in esso rallegrava,
sicchè le sue fattezze
trovava a sè sembianti:
"Questo bambino è Dio,
eppure mi somiglia,
miei i suoi occhi,
persino la boccuccia
e l' esile manina
ed il piedino è mio,
eppure è Iddio!"
E indissolubile,
in amorosi sensi,
un vincolo tesseva.
Giammai ebbe donna,
in sì mirabil modo,
tutto per sè il suo Dio.
Ardeva l' infinito
in miliardi di stelle,
di esse la più bella,
sin dal lontano oriente,
in groppa al suo cammello,
avvolto nel mantello,
di un re segnò la via.
Cercava Agarttha,
portava ad una grotta,
nei pressi di Betlemme,
dov' era dei re il Re.
Errava un pastore
col suo greve gregge.
Cercava l' Essenziale.
Eccolo, è in fasce,
tra un bue e l' asinello,
e sull' usato viso,
dal logorio provato,
si condensò l' immenso.
Ardeva l' infinito
in miliardi di stelle...