-ed ecco quel che potrebbe essere visto come il continuo-
salgo le scale
al buio.
le solite scale..
soliti quadrati metallici,
di una gabbia,
in controluce.
mi fermo un attimo
per scrostare i pezzi di intonaco
che con l’umidità s’erano alzati.
sputo sulle ortensie,
e scorgo luminosi bottoni
in volontarie tenebre.
mi appoggio al corrimano di un parapetto
di consumato metallo, Che s’è staccato.
l’amore del mio morbido felino,
s’aggira e mi raggira.
il suo freddo naso,
regala delizia.
l’alcol altera le mie sensazioni.
le tue parole danzano di nuovo.
se t’accontenterai di piccoli bocconi
la sazietà giungerà prematura..
non mi abbasserò e non mi piegherò
per un bacio o due.
tanto non rimarrà altro che cenere
quando quel che brucia si sarà
consumato.
è perché qualche lacrima di memoria
ti ha penetrato le ossa,
che sei di nuovo qui?
non hai lottato nemmeno un minuto per quel che dicevi di volere
e i tuoi occhi, a me di nuovo,
non lo faranno dimenticare.
tra i soprammobili ammucchiati
sgorgo quella mummietta dagli occhi di bottone,
che dopo qualche anno
è tutto quel che ti rimane
del mio amore.
ti troverai a tornare a casa
stringendo quel piccolo pupazzo
con ormai un solo bottone per occhio
-consumato come ci siamo consumati noi-
e sotto la pioggia piangerai ridendo
senza che il cielo possa darti alcun conforto
in nere notti senza l’ombra d’una stella.