Trafiggeva parole
usando la lingua come fiocina
ed io ipnotizzavo
i miei pensieri
costringendoli a girare
come plastica intorno a una sedia
Era sensuale nell’esprimersi
e l’esuberanza confinava appena
con la rabbia contenuta
stentata
schizzata come acido
a tratti
a singhiozzi
Ero colpita dal tono morbido
e tremante
più che dagli improperi convoglianti il nome
la pelle
le mani
affondavo quasi tra un occhio e l’altro
tra un labbro e l’altro
tra un’onda
rossa
e l’altra di capelli
incontenibili
e il vento donava a entrambe
profumi insinuanti abiti e gambe
Viaggiammo il lago
e ci fermammo soltanto
quando il fiato ci concesse
tregua e
toccarono dita
le dita
ed ogni polpastrello combaciò
come l’intesa corvina tra cieli di pioggia
e funerali di stagioni bambine
nel respiro più ampio
di un intero popolo di faggi
Il solco nel marmo
ci riportò alla realtà dell’inevitabile abbandono
la caduta dell’etereo
sfibrante intimo
dove l’anima ritrova le proprie armature
le getta tra le fondamenta di un foglio
e rivela cerchi e pentacoli
come stelle vicine e lontane
dalla vita di una lucciola febbrile
Ma cosa fosse poi
reale sul serio
non lo compresi
quando l’effetto del litio arrivò
e la scoperta della solitudine mi donò
enfasi e scorte
di soldati raziocinanti
e scatole nere
da violare.