Sguazzo veloce nella notte,
tra vie buie e scoscese
con ai bordi della strade
pattumiere ambulanti e cariche
di sporcizia umana.
Entro in un parcheggio,
e l'unica luce che intravedo,
è quella di una macchina, in lontananza.
Cammino sempre di più, e il tempo passa,
come se stessi cercando qualcosa,
per strada, dentro me, nel cielo.
Sono un lupo, escluso dal branco, cacciato,
a caccia di altri rinnegati.
Ma continuo a deludermi di essere sempre
solo, in ogni circostanza,
anche quando sono nella vita più sfrenata.
La scricchiolio di una porta
aleggia nell'aria.
Una casa, un bar in verità,
con altri spiriti notturni,
vincenti da come si atteggiano,
e da come parlano,
da come si vestono e sorridono.
Una mandria fallimentare di gioventù,
uno schifo per l'intelletto, il gusto,
la sana e pura libertà d'intenti.
Senza dubbio, penseranno la stessa cosa di me,
che rapace scorro davanti ai loro occhi vitrei.
La mia fuga è immediata, e nell'andare
un soffio di vento sprona i rami di alberi secolari
napoleonici, vittoriosi.
La natura inventata da loro, è ritratto osceno
specchio limpido di un ruscello
dove l'ipocrisia è messa in scena,
senza riguardi e remore.
Mortale è la serenità che scorre
copiosa nella vene degli inventati,
anzi dei costruiti,
meccanici corpi spurgo
e trasudanti di sangue schiavo.
La testa è solo il vaso dei capelli,
niente di più, niente di meno.
Con la coda dell'occhio
riconosco sagome conosciute,
personaggio con cui ho vissuto,
tradimento esistenziale attivo e compiuto.
Non ci si parla e neanche saluta
perché l'inferno ha molte strade
che si possono percorrere.
Un marciapiede mi da ristoro,
calma apparente mentre gli occhi
vengono socchiusi dalla stanchezza
della giornata.
Il fumo di una sigaretta
risveglia la mente esausta,
e riprendo il percorso,
non sicuro ma obbligato.