Offeso dalla mancanza di idee,
angosciato,
quasi vinto,
cerco di andare avanti picchiettando sui tasti.
eccola quella vocina interiore che mi solletica,
che mi dice di non fermarmi,
di continuare,
di scaraventare parole sui fogli
come fossero
figli ripudiati,
come fossero
nuvole di fiato ghiacciato
perse in notti fredde e limpide.
non fermarti caro mio,
non fermarti,
costruisci la tua opera
sulle sabbie morbide
e non fregartene di cosa penseranno
quando la leggeranno,
costruiscila così,
come ti viene,
buttala giù come fosse
uno sciroppo troppo amaro,
come fosse un ricordo che vuoi
dimenticare.
dalle poco peso,
umiliala,
violentala,
offendila,
incazzati,
asciugati le lacrime urlando,
ridi di lei senza vergogna,
plasmala senza pensarci troppo.
pensa piuttosto
a cosa succederà nel momento in cui sarà finita,
nel momento in cui la metterai insieme alle altre,
in quel caos appiccicoso di fogli consunti.
pensa a cosa succederà intorno,
nelle altre città,
nelle strade buie e in quelle assolate,
nella stratosfera,
nei vulcani spenti,
nei negozi di dischi usati.
pensa che non cambierà niente,
niente,
ma avrai vinto di nuovo.
Ne sei sicuro?
Beh, si.