Mi telefonavi ed il gelo del tuo cuore
intendevo nell’apparecchio che restava silenzioso,
mi telefonavi e variavi consegnando all’ignaro nipotino il tuo messaggio
eppure
avevi affermato e giurato quante le stelle nei cieli
di non volermi che male,
il tuo amore era morto e sepolto,
distrutto dalle mie mani:
invece, puntuale, ogni sabato t’incontravo
ed un soffio avevo penato per uscire con te:
Dio, quanto eri bella
e quante pugnalate avrei accettato
pur di baciarti
stringerti
adorarti.
Ma eri un sentiero che conduce al burrone
irto di pietre e di rovi,
girandomi più non ti scorgevo
anche se ti parlavo:
eri come lontana
eri come assente
eri come morta.
Dicevi di non nutrire che pietà di me,
che non rassomigliavi a Penelope,
la laboriosa tela
non certo tu ti eri curata di distruggere:
dicevi, dicevi…già, che dicevi
nella tua cecità?
Forse che sarebbe arrivato il giorno che arrivò,
nel quale un cuore distrutto
avrebbe vomitato la sua passione
ed il suo maschile orgoglio prima di annullarsi
nel rifiuto di amarti
baciarti
stringerti
adorarti?
ma sempre lestissimo a gradire l’oltraggio di un ricordo
( e talvolta di una presenza )
che è assurdo rimpianto per entrambi,
oggi separati
oggi impossibilitati
oggi tuttora innamorati?