La pacata serenità e la pura
coscienza empivano
i nostri giorni,
minuti di zoccoli e lavori,
ore di fango e neve.
Non avevamo ancora
patito il dolore di
una guerra, nevrosi insana
di qualche sperduto.
Un giorno di settembre
i nostri campi,
le nostre colline,
i nostri alberi
premeditarono qualcosa,
un qualcosa di oscuro
dove le ombre avessero
appagato la loro
arma di appiattimento.
Alcuni di noi - trepidi -
salimmo sul Giguttin
per puro opportunismo,
ma avemmo pur l'ardire
di lottare, battagliare
contro i soldati,
paladini ferrati e
disciplinati,
essi spararono
"strenuamente" verso
le nostri amabili mogli,
i nostri impensieriti figli,
i nostri creatori,
i frutti dei creatori
e i nostri fratelli,
i figli di Boves.
Stanchi della faticata
salita, scrutammo
l'ardente panorama
-nos tantum urbis
filii eramus-
impuri peccatori del
mondo che cadeva,
osservammo i neri corpi
e assimilammo solo
don Giuseppe e il
Vassallo, gabbati
da Peiper- il superiore-.