La mia veste diventa aquilone,
io, senza veli rimango nel sole, vicino
bruciando di un raggio lontano,
colo cera di consunta candela.
Detergo qualche lacrima sparsa
sulla gota della Luna
-quando è sera-
e l'impossibile ferma la mano,
come fredda e ferrosa catena.
Forbite parole di un'eco,
dissentono semplici rime
sfogliate dalle pieghe
-di carta velina-
fogli fragili,
di un'anima persa.
Regna insulso, scettro sovrano,
il tempo che scorre e si perde
come l'acqua nel letto ristretto,
di un fiume senza foce a venire.
Levigate dal flusso perenne,
alla luce riemergono pietre
mentre penso,
all'impossibile eterno.