Ippocrate,
altro non so donarti
che il fantasma rattrappito delle mie lacrime
il gemito di una sala operatoria
che tradii
o forse mi ebbe tradito
lo stridulo urlare di mani
incapaci di diventare
vita per la vita;
chirurgo non divenni, lo nacqui
quando il cuore mi insegnò
che la medicina
ha talvolta una voce tanto potente
da riuscire a chiedere a Cristo
la magia di un infuocato miracolo
riannodare i respiri al corpo
l'esistenza ai sogni
fendere e umiliare
l'agitarsi vigliacco di una malattia
perchè essa lasci il palcoscenico
a un vivere che ricomincia;
quel giorno non fui
mi osservò severo
il luccicare assassino
di un bisturi impazzito
nel suo morire ancor fanciullo
leggerò per sempre il mio morire;
e tu, madre sua e mia
mi attenderai all'orizzonte
per maledirmi come io merito.
Dio, perdonami
per la mia vocazione a salvare vite
trovai la mia morte per sempre.