Dimoriamo talora
in una sinfonia stridula
di pareti figlie dell'umidità,
osserviamo finestre inondate delle lacrime
di uno stipendio che non prende il volo
verso vette inesplorate
e di una minestra
riscaldata di impotenza;
ma no
non ci vedrai prostrati
se la povertà abita un cuore puro
noi sappiamo inventarci ricchezza
come neppure la tua immaginazione
potrà mai raccontarti;
case popolari, le chiami
con la voce incancrenita
del tuo velenoso privilegio
mentre sorridi inebetito
sull'impronta di mattonelle staccate
o su spranghe adagiate
su ascensori
che tossirono guasto
e poi si bloccarono.
Quando vomiti la locuzione
di degrado urbano
guarda negli occhi attento
il denaro sanguinante
che ti scintilla tra le mani;
ci scorgerai
paffuta e ingrassata
quella giustizia che ci ha tradito
dopo averci promesso dignità;
ora ci mandano baci
il presepe e l'albero di Natale
che brillano nel nostro monolocale
ecco, ciò che noi chiamiamo ricchezza
l'aroma della torta di ciliegie
dell'inquilina del piano di sotto
il profumo rugiadoso
del detersivo nuovo di quella vedova
che conoscemmo soltanto al funerale del marito
ma ora ci dimora nel cuore.
Mentre nelle tue ville
in cui ti illudi
ancora scontento
di avere ingabbiato per sempre l'eternità
sfilano aragoste, patè e caviale
noi ci coccoleremo
con l'essenza immarcescibile
del dolce richiamo odoroso dei mandarini
del correre indiavolato e spensierato
dei nostri bambini;
perchè tu comprenda davvero
che la felicità
non si è voluta dimenticare
di colui a cui il destino ha affidato
un alloggio popolare.