Presa nelle carezze ataviche,
di un impalpabile vortice di zucchero,
che il tempo proiettava,
oltre il carcere del suo tempo,
oltre le sue seggiole
baciate da un'impietosa ruggine,
oltre quelle giunture ormai malferme,
al di là dei morsi
di sterpaglie indomabili
e foglie schiaffeggiate
dal gialleggiare di un avido autunno,
la giostra girava,
e rubava allo sguardo addolcito dei monti,
incontaminati desideri fanciulli,
con cui lucidare capelli bambini:
girava, la giostra,
come il richiamo
severo ma amorevole di una madre,
che duella con i suoi giri
per avvincere i figli
nel tepore di una cena
che duellava con il desiderio
di non interrompere mai il gioco;
girava, la giostra,
e sul suo sedile
ci si addormentava piccini piccini,
per risvegliarsi grandi,
o forse solo credendo di esserlo;
le prime ginocchia sbucciate,
salutavano l'affiorare
discreto eppur maestoso
dei primi ciuffi di barba,
la giostra capiva,
e silenziosa vorticava,
un procedere lento donava,
al volto ancora acerbo,
di ogni creatura che a lei
affidava urla intarsiate
di canto e spensieratezza;
ogni giro
un nuovo capitolo di vita,
fino all'abbraccio estasiante,
con i palpiti dello scoprirsi uomo,
gira giostra,
gira sempre dentro di me,
ora che nella mia memoria ti nascondi,
ti ritroverò, stanne certa,
perchè tu trasportare possa,
il sorriso dei miei figli.
Gira, giostra, gira,
riportami l'ebbrezza
del primo bacetto sottratto
alle labbra innocenti di una ragazza,
lo sai,
ora quella piccola è mia moglie.
E laddove gli istanti
si compiacciono di incenerire,
so che a prendermi per mano
sarai sempre tu,
tra alberi che corteggiano il sole,
e l'accartocciarsi sulla mia anima,
di uno sfavillante cielo blù.