La vita, amico mio,
è un pugno che cambia sempre nome,
è il balenare sibilante
a volte vigliacco a volte complice
di sfide da respirare e accogliere;
c'ero sempre io,
a palpitare in mille odorosi, consumati ring,
a pregare destro, sinistro e guantoni,
perchè non si compiacessero d'abbandonarmi.
Solo, sempre, dannatamente solo
schiavo e a un tempo padrone,
di infinite guardie da non abbassare,
di jab da cui non lasciarmi tramortire.
Nessuna donna mi sa baciare e ristorare,
come la spugna bagnata sul volto sudato,
che
fedele e incorruttibile amica
mi prende per mano a ogni fine round,
il tempo ha sempre il profumo
di un severo esaminatore
mai pronto a lasciarsi incantare,
dal mio diluviale allenarmi,
da corse cucite su strade,
sfidando il decomporsi del fiato,
o da punching ball annientati,
per donare ai miei colpi bambini
un'anima sempre più robusta.
Aspettami, gong,
sto arrivando, come il primo giorno,
le vere gambe su cui mi sorreggo,
sono l'incitamento della gente intorno;
un altro incontro,
un altro modo per riconquistarsi,
o forse
per incontrare nuovi limiti al mio conoscermi.
Niente colpi sotto la cintura,
solo ganci da sferrare
sul volto che gracchia sarcastico
di un'onnipresente paura.
Il match comincia,
ora devo andare,
uscirò forse osannato vincitore,
o con un volto tumefatto da maledire,
ma la boxe donarmi avrà saputo,
un'altra serata da incorniciare,
per quest'uomo che nel combattere,
scoprirà anche di sapersi amare.