L'ultima cucciolata Lilli l'aveva partorita dentro un tronco cavo di un ulivo saraceno, dimora principesca per lei e soprattutto sicuro come un bunker antiaereo, difficile vederli, difficile per alcuno poterli toccare. Lui dopo una settimana si decise ad aprire gli occhi e si scoprì in una cuccia calda assieme a tanti altri suoi fratelli, non sapeva contare, sapeva che erano molti e comprese in pieno il vecchio detto: "Lu Signuri binidiciu centu mani chi manciavanu; ma no tutti 'nta un piattu" solevano ripetere con arguzia i vecchi. Comprese subito che per vivere doveva succhiare più latte degli altri, stare attaccato alle mammelle della madre allontanando anche bruscamente i concorrenti e divenne bravo! Poco alla volta i cuccioli più deboli cominciarono a fermarsi, sparivano portati via da mani misericordiose. Lui rimase, forte e candido, per cui si meritò il nome "Leone" che tutti decisero di ridurre a "Leo". Leo è un meticcio maremmano, da piccolo era bellissimo, un batuffolo di lana bianca, arruffata e calda che tra le dita suscitava emozionanti sensazioni invernali. Poi crescendo cominciarono a comparire alcune macchie che testimoniarono senza ombre di dubbio che non fu un accoppiamento in purezza (ahimè, noi sapevamo il triste imbroglio e siamo stati silenti -abbiamo taciuto sperando che tutta la storia potesse passare in silenzio- colpevoli per amore), e poi ha cominciato a crescere; uno spilungone, anche su questo ha tradito l'armoniosa robustezza del suo avo. Ad ogni buon conto io e Simona gli abbiamo perdonato tutto; avevamo già perdonato la Ss. ma Memoria di sua madre, lo abbiamo fatto anche con lui, questo è amore in seno ad una grande famiglia, come si dice oggi: "allargata"! Leo è cresciuto bene, nei momenti in cui tornavamo in campagna a trovarlo lo abbiamo viziato un po', Simona perfino di più. Ogni tanto mi accorgevo che il sacchetto dei miei biscotti calava paurosamente, così il formaggio che neanche avevo il tempo di assaporarlo che r
[continua a leggere...]Siamo qui sotto la pioggia battente,
atmosfera perfetta in questo cimitero a tarda sera,
davanti solo la tomba di Lei,
quanto tempo è passato…perché…come è potuto succedere?
Pesa questo silenzio mentre ci osserviamo, vent’anni insieme,
mille sofferenze ma sempre insieme.
Cresciuti addestrati insieme
condiviso donne e alcol durante mille sere.
Perché…. cosa ci a spinto fino a questo punto. Ti ricordi?
…Ricordati che hai l’accendino vedi di non lasciarci le penne…
…e ricordati che le sigarette le hai tu!
Quante volte salvato il fondo schiena per un pelo.
Ci credevamo invincibili come quella volta,
i proiettili sibilavano lambivano la nostra pelle
noi ignari e concentrati spalla contro spalla
facemmo fuori tutto e tutti.
Stessa età, stesso anno e stesso giorno,
credevamo di essere Dei su questo pianeta corrotto ma eravamo solo gocce in mezzo al mare.
Delinquenti oramai di troppo peso per non “Scegliere”…. per continuare a “Giocare”.
Errori…quanti…
Ti tradii per un amore che perdemmo entrambi,
le regole non si violano e ora è sulla nostra coscienza qui davanti a noi.
Mi tradisti per soldi, perché a differenza di me il “veleno” del potere scorreva nelle tue vene.
Sapevo che presto ci saremmo rivisti, un viscido Boss e uno squallido Cacciatore di taglie.
“Sembra la fine….. ”, “E già…. ”
Osserva la tomba, ”Colpa ancora sua….. ”
“No colpa nostra…”
La pioggia inzuppa i nostri abiti, “Sono qui da solo sai? ”
“Neanche la scorta fuori? Mi sorprendi”,
“Aspettavo questo momento qui.. in questo triste anniversario…”
Le nostre pistole puntavano l’un l’altro, identiche, gemelle fatte su nostra ordinazione su misura
potenti, ornate e pregiate…ma troppo vissute, come d'altronde anche noi.
Le nostre lacrime si mischiavano con la pioggia…
…. bum…
Il mio corpo guidò quell’azione, che però non ebbe risposta.
“Perché non hai sparato…hai piegato il soprac
Ore 16, 08 - Abitazione del dottor Franco Abbondanza, sindaco socialista di Montepiano. Il telefono squilla anche qui una mezza dozzina di volte finché don Franco in persona solleva la cornetta.
"Pronto, chi parla?" chiede in tono naturale.
"Pronto Franco, sono Giovanni, il tuo vice, ti ho disturbato?"
"No, lo sai che tu non mi disturbi mai"
"Grazie per la gentilezza. Ascolta Giovà, non so se ti hanno già informato ma mi hanno riferito di un incontro, diciamo privato, tra il maresciallo Pantone e Alfredo Boccia, il figlio di don Vittorio"
"No, non ne so niente, ma... con ciò?"
"Non ti sembra una cosa fuori dalle norme?"
"No, e perché poi? Probabilmente sarà per via del funerale domani, immagino vi sarà un casino di gente, e molti verranno anche da fuori"
"E secondo te, per questo, è necessario incontrarsi su alla "Temparella"?
"Alla Temparella? Perché è lì che si sono incontrati?" chiede ormai interessato il sindaco.
"Sì, una mezz'ora fa... sì, sì sono stati visti."
"Uhm, allora c'è qualcosa sotto, cerca di saperne di più. Io tra mezz'ora sono in ufficio"
Ore 16, 20 - Caserma dei carabinieri. Il maresciallo Pantone è appena rientrato dall'incontro con Alfredo e si avvia a mettere in atto il piano concordato. Chiama nel suo ufficio il brigadiere Rasulo.
"Brigadiere, io mi devo assentare di nuovo, vado giù alla fiumara, pare che un trattore si sia cappottato, non so come stanno le cose ma sembra che qualcuno si sia fatto male."
"Portate con voi qualcuno, maresciallo?"
"Sì, con me viene Randò, se c'è da fare qualche schizzo lui è la persona adatta, essendo bravo in disegno"
"Bene, maresciallo, se avete disposizioni da dare..."
"Sì Rasulo, devo lasciarti una consegna. e... guarda che si tratta di una cosa delicata. Non la posso sbrigare di persona perciò..."
"Dite pure maresciallo, potete stare tranquillo!"
"Uhm, ascolta, conosci il ciabattino, Firmato?"
"Chi, Firmato Diaz? È così che lo chiamano in paese. Sì, lo conosco
Alzai gli occhi verso l'immensità del cielo stellato.
A ricambiare il mio sguardo indifferente fu la faccia pallida e gonfia della luna, quel giorno piena, come a voler osservare meglio la tragicità del luogo su cui posava la sua diafana luce.
Una luce debole, peraltro, quasi del tutto aggredita dalle nuvole cariche di umidità che le si avventavano contro, impedendole di splendere.
Sospirai, alzandomi il colletto della giacca: l'aria era gelida e i miei passi sul terreno risuonavano sinistri in tutto quel silenzio.
Un silenzio tetro, foriero di morte: lì a Bergen-Bersen il freddo rigido di quell'inverno senza fine si tramutava nell'alito putrido della morte.
Mi chiamavo Derek Van Der Meer, avevo non più di vent'anni e lavoravo per le SS.
Non era il lavoro che mi ero scelto io, era stato mio padre ad arruolarmi. All'inizio credetti anche io alle cazzate che il governo diceva, secondo le quali le SS avrebbero "ripulito" il mondo, e mi sentii orgoglioso di farvi parte. Ricevetti il grado di sergente e la stima di mio padre fu la più grande gratificazione che potessi ottenere per il mio lavoro assiduo.
Non ero mai stato molto contento dei miei compiti, in realtà. Ma li adempivo, perché era giusto così.
Io facevo parte dell'esercito e il mio incarico era assicurarmi che loro, gli ebrei, la feccia dell'Europa, vivessero nei ghetti, non entrassero nei negozi frequentati dalla razza ariana, non salissero negli stessi mezzi pubblici... Marciavo sulle città e non riuscivo a sopportare il terrore dipinto sui volti cerei di quelle persone con la stella di giuda appuntata sugli abiti.
Non lo sopportavo; non sopportavo quell'ingiustizia. E mi ripetevo, invece, per farmi coraggio, che era corretto così.
Era giusto anche derubarli?
Razziare le loro case privandoli del loro beni, come dei barbari al tempo dell'antica Roma?
Erano troppe le domande che mi ponevo, da quando aveva fatto visita nei miei sogni, con prepotenza, un angelo dagli occhi blu: era belli
Non puoi fuggire da te stessa, non devi nasconderti anche da me. Ormai io ti conosco sai, è come se leggessi dentro i tuoi pensieri. Nei tuoi occhi da troppo tempo spenti ma bellissimi e di straordinario colore, vedo riflessa chiaramente come per magia la tua anima. Il tuo sguardo avvilente, etereo, quasi lunare smaschera questo tuo essere creatura persa, come chi è presente solamente col corpo ed è lontana mille anni luce con la mente Ma io provo ad immaginare il fascino di quel tuo viso che sarebbe capace di ipnotizzare chiunque se solo potesse ritrovare la bellezza e la spensieratezza del suo sorriso. Ti prego: apriti con me! Non chiuderti tenendoti tutto dentro, forse non trovi le parole, non sai da dove cominciare. Parlami del malessere che ti opprime e dal quale credi di non poterti liberare. Ci sono segreti, esistono paure in te, lo sento. La tua vita è un mare in tempesta ed il tuo futuro lo vedi annebbiato, hai già pianto parecchio fino a prosciugare ogni lacrima ma dall'amarezza e lo sconforto di questo tuo dolore, ne uscirai fuori e per sempre, se lo vorrai veramente. La mente mia ora precipita in fondo alla tua, e in simbiosi con i tuoi stessi tormenti scopre un'ombra, intravede una solitudine profondissima, si perde nel labirinto del tuo mistero lasciandosi del tutto rapire dalla angoscia che ti possiede. Come fari abbaglianti nel buio, i tuoi pensieri negativi sparano su me ma non mi uccidono, mi danno più forza. Ti scongiuro: apriti con me! Io ti ascolterò con attenzione e pazienza senza giudicarti affatto ma cercando di comprenderti, calandomi al tuo posto. Ora dimmi perchè ti consumi così, cosa c'è che mi nascondi, c'è un pericolo che incombe o un demone alle tue spalle. Dimmi tutto ciò che vuoi, qualsiasi cosa o confidenza, fammi partecipe di ogni tua sensazione, io sono pronto a seguirti con cura, ovunque ed a qualunque costo, finchè mi permetterai di farlo, amica mia! Non odiarti in questo modo ma rendi il bene per il male, prova fin
[continua a leggere...]fai così... metti a bollire l'acqua. fredda. non prenderla dallo scaldabagno.. se no, invece di attenuarle, le rughe, te le scolpisci. mentre aspetti che bolle puoi anche fumare, tanto dopo ti fai la maschera.. puoi pure piangere e lamentarti, o ridere e rallegrarti, secondo il momento..
quando bolle l'acqua, però, piantala, scordati tutto e butta giù il riso. guarda l'orologio, non importa se va indietro o avanti, prendilo per buono.. ma quanti c... di problemi ti fai, Eli?
dopo sette minuti e mezzo, puoi mettere il sale, prima ricordati di prendere l'acqua. prendi mezzo bicchiere d'acqua, dove ha bollito il riso, e mettila in un bicchiere.
sdesso puoi mettere il sale, se vui mangiare il riso. dopo altri sette minuti il riso è pronto. scolalo. mettilo nel piatto. un filo d'olio, spremici mezzo limone. mangialo.
quando hai finito, e hai pure lavato i piatti, prendi il mezzo bicchiere d'acqua di riso e stenditelo sulla faccia. con due dita.
... due dita di niente, Eli.. dicevo con le tue due dita qualsiasi.
tienila fin quando senti la pelle che tira. pensa che ti stai facendo un lifting.. Eli. non pensare a nient'altro.
poi, sciacqua. vestiti ed esci. tanto... non hai pagato.
Con un'ala sola.
"Mase?"
L'esclamazione di un ragazzino di sette anni echeggiò per il cortiletto. Oliver si mise a quattro zampe sul tappato d'erba e sbirciò sotto una delle panchine affiancate al muro di casa. Ignorò gli schiamazzi degli altri bambini che giocavano appena oltre il muretto di cinta.
"Mase?" ripeté, tornando ad alzarsi in piedi e spolverandosi i jeans all'altezza delle ginocchia: il bambino di nome Mase non rispose nemmeno a quel secondo richiamo. Oliver aveva attraversato il cortile dei Lockwood in lungo e in largo alla ricerca del suo migliore amico: con pazienza e accuratezza aveva scandagliato ogni angolo, dai nascondigli più azzardati fino a ai più banali, come i sedili posteriori della jeep del padre. Tuttavia, non vi era traccia dell'altro ragazzino. Non era preoccupato - lo trovava sempre, alla fine - ma stava incominciando ad esaurire le idee per i nascondigli. Infine, ebbe un'illuminazione. Attraversò il praticello di corsa, restituì a Ricki e Jeff il pallone finito a pochi metri di distanza da lui e sbucò nel giardino sul fronte della tenuta. Individuò in fretta il gigantesco tappeto di plastica a forma di scacchiera che ricopriva un generoso quadrato d'erba; lo raggiunse di corsa. Lì, sdraiato a pancia in giù, e circondato da una decina di pedine grandi quanto nani da giardino, un ragazzino stava sfogliando un libro. Solo quando Oliver si sedette di fianco a Mase, si accorse dell'espressione triste dell'amico. Spostò ancora una volta lo sguardo in direzione del libro e si accorse che la copertina era interamente fradicia, così come gran parte delle pagine.
"Chi è stato?" domandò, assumendo un'espressione preoccupata. Mason si strinse nelle spalle e non disse nulla, facendo bene attenzione a non ricambiare lo sguardo dell'altro bambino. Infine, tirò su col naso, e prese a stuzzicarsi una crosticina sul ginocchio.
"C-co-come va c-con l'aaereo che stai, stai costruendo?" balbettò infine, continuando a mantenere lo
La pagina riporta i titoli delle opere presenti nella categoria Amicizia.