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Racconti sull'amicizia

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Memorie di una foglia

Era una calda mattina d'estate, e Clara era seduta vicino la siepe sempre verde del parchetto vicino la terza strada. Aveva con sè un piccolo diario color pesca e una penna blu. Era immersa nei suoi pensieri mentre scriveva, scriveva e scriveva...
" 23 giugno 2013 - Caro diario, oggi mi sento meglio. Mi sono svegliata con il sorriso e con la consapevolezza che tutto è passato. Bisogna imparare ad affrontare la vita con serenità anche quando le situazioni sembrano essere impossibili da fronteggiare.
La mia amica Cecilia non mi ha più scritto, la mia amica Noemi nemmeno, ma colei che mi ha ferito di più con la sua assenza è Cristina.
Lei sapeva di quanto io fossi fragile, di quanto io avessi paura di fidarmi delle persone, ma nonostante ciò è sparita senza un motivo apparente spazzando via la nostra amicizia. Mi sono sentita inutile, priva di valore, come un vecchio giocattolo con cui non gioco più da anni. Ho offerto a lei tutta me stessa ma nonostante ciò è sparita, forse aveva altri interessi, o probabilmente non ero così tanto importante per lei. Sono stata male per questo, si perchè non è la prima volta che mi si voltano le spalle, e la cosa mi fa molto male, mi fa sentire inadeguata e tristemente sola. Oggi però sto bene, si perchè ho la consapevolezza che di persone opportuniste se ne incontrano tante, per fortuna non sono tutti così , ma soprattutto sono felice perchè ho acquistato sicurezza in me stessa.
Bisogna dare sempre il meglio alle persone anche se queste poi non sempre se lo meritano.
Beh caro mio amato diario ora ti saluto, devo correre a dare il meglio di me ad altre persone, si vive una volta sola, quindi perchè perder tempo a star male? Il mondo è pieno di gente e di vita, ed io voglio vivere. -Clara"

   1 commenti     di: Lunetta


L'angelo dagli occhi blu

Alzai gli occhi verso l'immensità del cielo stellato.
A ricambiare il mio sguardo indifferente fu la faccia pallida e gonfia della luna, quel giorno piena, come a voler osservare meglio la tragicità del luogo su cui posava la sua diafana luce.
Una luce debole, peraltro, quasi del tutto aggredita dalle nuvole cariche di umidità che le si avventavano contro, impedendole di splendere.
Sospirai, alzandomi il colletto della giacca: l'aria era gelida e i miei passi sul terreno risuonavano sinistri in tutto quel silenzio.
Un silenzio tetro, foriero di morte: lì a Bergen-Bersen il freddo rigido di quell'inverno senza fine si tramutava nell'alito putrido della morte.
Mi chiamavo Derek Van Der Meer, avevo non più di vent'anni e lavoravo per le SS.
Non era il lavoro che mi ero scelto io, era stato mio padre ad arruolarmi. All'inizio credetti anche io alle cazzate che il governo diceva, secondo le quali le SS avrebbero "ripulito" il mondo, e mi sentii orgoglioso di farvi parte. Ricevetti il grado di sergente e la stima di mio padre fu la più grande gratificazione che potessi ottenere per il mio lavoro assiduo.
Non ero mai stato molto contento dei miei compiti, in realtà. Ma li adempivo, perché era giusto così.
Io facevo parte dell'esercito e il mio incarico era assicurarmi che loro, gli ebrei, la feccia dell'Europa, vivessero nei ghetti, non entrassero nei negozi frequentati dalla razza ariana, non salissero negli stessi mezzi pubblici... Marciavo sulle città e non riuscivo a sopportare il terrore dipinto sui volti cerei di quelle persone con la stella di giuda appuntata sugli abiti.
Non lo sopportavo; non sopportavo quell'ingiustizia. E mi ripetevo, invece, per farmi coraggio, che era corretto così.
Era giusto anche derubarli?
Razziare le loro case privandoli del loro beni, come dei barbari al tempo dell'antica Roma?
Erano troppe le domande che mi ponevo, da quando aveva fatto visita nei miei sogni, con prepotenza, un angelo dagli occhi blu: era belli

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Come s'avessi cald'in petto

Un saluto, delle mani in aria ora, mentre la via è lunga e continuo incessante la mia lunga passeggiata. La nebbia s'interseca tra le architetture dei nuovi sfavillanti palazzi, mi sfiora allegramente il viso, un cane solitario passeggia per la via. Ho superato la via, via Europa.
Le 16:38, lo ricordo ancora. ''Quando vuoi, (:'' e poi hai chiamato, è apparso il tuo nome sull oschermo quando appena stavo attraversando un lato soleggiato di via Lido. Quel poco Sole, che mi ha abbagliato in quel momento, e in quello successivo, mentre spariva tra la nebbia che s'infittiva nelle montagne lontane, e si spargeva nell'orizzonte, lontano.
La curiosità di sentire la tua voce, ma m'ero completamente dimenticato di chiederti se potevo chiamarti, un giorno o quasi un'altro giorno, ma sei stato tu, a chiedermelo, e questo è stato davvero bello. La tua voce, ''ansiosa'' ti dissi, ma pensiamo a quest'ansioso tremolio che mi venne sentendoti rispondere, di quest'ansiosa vocina allegra e spensierata che mi ha accompagnato lungo i miei passi successivi.
Ecco, i miei passi si trasferiscono sulla sabbia, formano note tangibili di un passaggio umano, un calpestio, la sabbia che rovina le mie scarpe. Ecco, il mare, l'unica cosa che allevia i miei sensi, che li appaga, satura la mente e libera i pensieri, cui li dono al vento dolcemente.
''Alghero si trova su un'insenatura praticamente. Quindi la spiaggia si trova un po' lontana dal centro, e si può ammirare la sua bellezza, la nebbia ricopre persino il campanile.'' La battigia mi appaga; gioco coi tronchi posati da vecchi passaggi qui.
''Mani in'aria, occhi al cielo.'' La voce stridula, e Sanremo, che non mi piace. Ma basta vivere le parole per accorgersi di chi scrive. Vivere le parole, vivere la, voce espressa nel singolo attimo quand'è che le alghe si alzano al cielo.
Rifrangersi delle onde. Immaginalo ora, sentilo. ''Lo senti il rumore del mare?'' Si che lo senti, è nel cuore. Le onde son

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   0 commenti     di: Giuseppe Tiloca


Il Salvataggio

Ero appena uscito con il mio migliore amico Carlo. Era una bella giornata, ideale per una passeggiata. Io e Carlo camminiamo sempre a ridosso di una strada molto trafficata di notte, perché ad un km in direzione nord, c'è una rinomata discoteca per ragazzi.
Quando vidi Charlie disteso sull'asfalto, Carlo si era allontanato per andare a fare un bisogno. Si fida di me quindi mi lascia sempre andare dove mi pare. Charlie era sdraiato sull'asfalto, respirava a malapena e mi guardava con occhi supplichevoli. Qualcuno la notte precedente, evidentemente, era troppo allegro per potersi accorgere che Charlie, in quel momento, stava attraversando la strada e doveva essere anche molto spaventato dato che non si è neppure fermato ad aiutarlo. Chissà da quanto tempo era lì.
Non mi sentivo di lasciarlo lì. Aveva le gambe rotte, e da un taglio sulla pancia gli fuoriusciva un po' di sangue.
Guardai la strada e poi mi feci coraggio. Oltrepassai il guardrail e mi avvicinai cautamente a Charlie. Lui restava immobile e mi guardava. Mi accovacciai accanto a lui e cominciai a consolarlo. Carlo aveva finito da poco il suo bisogno e mi stava chiamando. Non risposi. Rimasi lì con Charlie.
Il rumore di una macchina in avvicinamento ci fece drizzare le orecchie. Charlie mi guardò con degli occhi di rimprovero, come se mi stesse ordinando di lasciarlo lì. Non lo feci. Rimasi immobile accanto a lui.
Carlo chiamò ancora una volta il mio nome e io ancora una volta non risposi. Poi lo vidi avvicinarsi al guardrail chiamandomi a squarciagola. La macchina si avvicinava sempre di più.
Io non mi mossi. Charlie abassò la testa sull'asfalto e chiuse gli occhi. La macchina cominciò a frenare e Carlo smise di urlare. La macchina si fermò a poco più di un metro da noi.
Carlo scavalcò velocemente il guardrail e ci raggiunse. L'uomo all'interno dell'auto uscì velocemente dall'abitacolo e si inginocchiò accanto a noi.
Adesso Charlie sta bene, ha trovato una famiglia che si prende

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   1 commenti     di: Claudio


La strana storia di un'amicizia (ultima parte)

Ore 23, 40 - Sotto le finestre illuminate e semiaperte di casa Boccia. Firmato, senza alcuna fretta ha raggiunto il lampione dove solitamente si appoggia per caricarsi nelle sue filippiche. Anche stasera fa la stessa cosa poi, come un fulmine a ciel sereno squarcia il silenzio ad alta voce.
"Vittorio, compagno Vittorio, bugiardo in vita e bugiardo anche nella morte!"
Un simile attacco davvero nessuno osava immaginarlo, infatti tutti, nessuno escluso, si sono stropicciati le mani pensando <se questo è l'inizio figuriamoci ora il seguito!>,
Anche in casa Boccia l'improvvisa irruzione fonetica del ciabattino ha procurato più di un brivido sulla schiena dei presenti, in particolare i parenti del defunto, con Alfredo in testa, sono rabbrividiti.
"In vita sei stato un grande bugiardo Vittorio. Quando mi dicevi che le lotte si fanno sempre insieme. Ed ora mi hai escluso proprio dall'ultima, la più grande! Sì, non mi hai voluto al tuo fianco. Cos'hai pensato? Che forse questo miserabile non è capace di darti una mano proprio quando ce n'è più bisogno?
Vigliacco, hai dimenticato le tante lotte che abbiamo sostenuto insieme, sin da giovani? Quelle per dare le terre ai poveri braccianti contro i ricchi padroni? Quelle contro la corruzione dei tanti compagni deviati? Le hai dimenticate tutte? Eppure io non ti ho mai lasciato solo! E tu invece, cosa fai? Mi lasci qui da solo contro tutta questa marmaglia! Avevi ragione. Hai sempre avuto ragione, non sei stato tu a lasciarmi ma io a non seguirti. E per questo non mi sono mai dato pace. Ma cosa potevo mai fare io per te? Io, un misero ciabattino mezzo analfabeta? Se non darti calore e incoraggiamento? L'ho fatto, Vittorio mio, ma senza farmi mai vedere. Quante volte ho pregato Dio per te affinché desse a te la forza di mantenerti onesto in questo mondo di disonesti! E Dio mi ha ascoltato Vittorio perché tu sei sempre stato l'uomo più corretto e onesto che ho mai avuto l'onore di conoscere. Vittorio, amico

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   5 commenti     di: Michele Rotunno


Legame Apparente

Where are Elmer, Herman, Bert, Tom and Charley,
The weak of will, the strong of arm, the clown, the boozer, the fighter
All, all, are sleeping on the hill.
(E. L. Masters)


La palestra della scuola era illuminata solo in parte, la luce cadeva perpendicolare
sulle sette sedie disposte in circolo.
Il locale sapeva di lucido da parquet, le tribune erano vuote e il segnapunti elettronico spento.
Le finestre, arrampicate sulle alte pareti, erano bersagliate da una fitta e insistente nevicata. Bert occupava una delle sedie, calzava un berretto di lana, era avvolto in uno sporco giubbotto e teneva le gambe accavallate. Aveva le mani una dentro l'altra e il suo sguardo era fermo in direzione dell'uomo grasso, con il mento flaccido e due grosse guance rosse. Herman era il suo nome e sedeva silenzioso di fronte a lui.
La comunità parrocchiale aveva ottenuto i fondi per istituire un gruppo di lavoro: una psicologa dava supporto morale a chi si era salvato da atti autolesivi, a chi era scampato al suicidio.
Nicole terminò di parlare. Bert si ritrasse sulla sedia il più possibile. Era basso di statura e i suoi piedi persero aderenza con il terreno. Si accorse che era il prossimo a dover intervenire. Strinse forte i denti, poi li lasciò andare e deglutì; ispirò senza avvertire la soddisfazione di sentire pieni i polmoni.
- Bert, - intervenne la psicologa - lo sai che non c'è alcuna fretta e che puoi parlare di quello che vuoi.
L'uomo sbuffò via l'aria che disegnò una piccola nuvola davanti al naso.
- Questa mattina sono stato sulla tomba di mia madre. Ho portato dei fiori, viole.
Avvertì la bocca inaridire e dovette attendere un poco di saliva prima di continuare.
- Mia madre adorava le viole.
Il suo viso si contorse in una smorfia di dolore.

La seduta terminò alle ventuno. La psicologa, Sophie, era da poco laureata e prestava servizio come volontaria. Quella sera mostrava un'inconsueta fretta.
- Ragazzi, sono molto soddisfatta dei vostri pr

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a te...

... il sogno di un amore che vivi giorno per giorno, attimo per attimo... ma che come un condannato a morte sai la fine, e nn ce cosa piu brutta che spezzare le ali ad un sogno prima ancora che abbia preso il volo... ti amerò sempre.

   3 commenti     di: per_ sempre



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