Vorrei tanto far parlare per una volta il mio cuore,
credo che troverebbe il coraggio di dirti
ciò che prova realmente per te,
ascoltando solo ciò che sente
e che sei in grado di provocargli.
Vuole liberarsi di quel peso che porta dentro da anni
e che lo sta spiritualmente distruggendo...
e lo farà.
Vuole battere per te, solo per te...
non si era mai sentito tanto privo di costrizioni,
si è aperto come non aveva mai fatto prima...
e nessuno potrà fermarlo,
nessuno potrà fermarmi...
solo in questo modo troverò la pace interiore.
Non sono mai stato in Romania, credo sia una strana Sicilia, abitata da gente semplice che non riesce molto bene a controllare le proprie frustrazioni.
Adrian è un ragazzo di 33 anni che ha già una figlia di 16. Vive con sua moglie nella mia città e ha da poco perso il lavoro. Il suo modo di fare è semplice, nei suoi occhi celesti mi sembra di ritrovare un tempo passato quando anche negli occhi dei miei concittadini c'era semplicità e trasparenza. I rumeni adorano bere, tutto tranne l'acqua. Mi dice che la sua intenzione è quella di mettere da parte almeno quindicimila euro prima di ritornare a Roma, che non è la capitale d'Italia, ma uno sperduto paesino della Moldavia romena. A Roma Adrian possiede diversi appezzamenti di terreno incolti e vorrebbe tornare a coltivare, mi dice di essere bravo con i cavalli.
Il suo aspetto e la sua bellezza mi ricordano Jon Voight nel film "Un uomo da marciapiede". Gli domando se conosce Jon Voight che poi sarebbe il papà di Angelina Jolie. Mi risponde di conoscere solo Angelina jolie ma non suo padre.
Mi chiede di accompagnarlo in un ufficio del lavoro dove un'impiegata gli dice che al momento, l'unico lavoro disponibile sarebbe il suo trasloco imminente. La donna, con occhi ammiccanti, gli chiede se sarebbe così gentile da poterla aiutare a traslocare. Adrian parla benissimo il nostro dialetto del centro della Sicilia, con delle inflessioni che lasciano a bocca aperta.
Decidiamo di fare un viaggio a Palermo, da turisti. Appena scesi dal pulman, lui si fionda dentro un negozio di abbigliamento cinese, la roba cinese non mi è mai piaciuta ma lui ne sembra estasiato. Poi decidiamo di scendere alla Vucciria, si prova degli anelli d'argento ma mi dice che sono troppo cari, 30 euro. Adrian possiede una dignità d'altri tempi, non riesce ad accettare neanche un caffè.
Per riposare ci sediamo su una bellissima panchina di fronte a Louis Vuitton. Una borsa da viaggio attira la mia attenzione, prezzo 3000 e
Nina era una cuccioletta bastarda che mio padre mi regalò, cedendo
alle mie insistenze ed al mio forte desiderio di avere una cane. La mia famiglia
era molto piccola: mio padre, mia madre ed io e la nostra casa era troppo
angusta anche per tre persone. Nel mio egoismo di bambina non prestati troppa
attenzione ai problemi che Nina avrebbe procurato a mia madre. Nessuno di noi
tre riuscì ad educare gli sfinteri di Nina e mia madre doveva pulire in continuazione
i pavimenti. Però anche lei le voleva bene e quando io, consigliata da "esperti"
educatori di cani, la picchiavo o le strofinavo il musetto sul laghetto di pipì che
aveva appena fatto, mia madre la guardava con occhi teneri e diceva: "Povera
bestia". Nina rivelò presto una bella intelligenza ed una grande capacità di affetto.
Se qualcuno dei miei compagni di giochi fingeva di picchiarmi, Nina abbaiava,
mostrava i denti e si lanciava contro l' aggressore. Facevo appena in tempo
a prenderla in braccio e a dirle che era tutto uno scherzo, che l' aggressore
era amico mio ed anche suo. Allora accoglieva, docile, le carezze del nuovo amico.
Se prendevo in braccio la bambina di pochi mesi di nostri amici, Nina si agitava,
abbaiava. Io mi affrettavo a rimettere nelle braccia della madre la bambina,
ma sono sicura che non l' avrebbe mai aggredita. Credo che i cani considerino
i bambini loro parenti.
Dopo pranzo mio padre si sdraiava sul letto per un pisolino e invitava Nina
a distendersi con lui, nel cavo del suo braccio. Questo mia madre non lo tollerava
e se mio padre, prima di addormentarsi, avvertiva i passi di mia madre avvicinarsi
alla stanza da letto, bastava che dicesse: " Nina, arriva la padrona!" perché
questa si precipitasse giù dal letto e vi si nascondesse sotto.
Facevamo lunghe passeggiate a Villa Borghese dove le insegnai a nuotare
in modo spartano: buttandola in una delle tante fontane circolari della Villa.
Nina nuotava verso il bordo della fontan
Ritrovato nei pensieri, dopo tanti cambiamenti, dopo una vita riordinata e un po' rimarginata.
Ma lui quel amico c'è sempre stato, forse anche vicino a me, nei miei ricordi e pensieri, nei momenti più bui.
La paura di rincontrarlo per tante ragioni, forse anche stupide, quelle che l'avevano accantonato e allontanato.
Per fortuna l'ho ritrovato era li che mi aspettava, un po' imbronciato e forse deluso, non me la mai detto sinceramente, forse per paura di toccare un argomento dolente, certo per entrambi.
Un giorno mi venne in mente di scrivergli una lettera anonima per paura che non la gradisse, su quel foglio bianco al momento non sapevo cosa scrivere, per fagli capire, che lui il mio amico mi mancava.
Tutto ad un tratto mi resi conto che la lettera era troppo lunga, le scuse erano troppe forse banali.
Però non fu più anonima, io volevo solo "il suo perdono"allora decisi che non fu l'ultima lettera, ma una delle tante.
C’era una volta un bambino timido e pauroso, Alessio. Quando compì 3 anni il suo migliore amico gli regalò un orsacchiotto di peluche bianco; Teddy.
Alessio giocava ogni giorno con il suo nuovo compagno di avventure. La sera leggevano insieme un libro e poi si addormentavano uno accanto all’altro. Ma un giorno, Alessio compiuti 6 anni
iniziò la scuola e aveva un sacco di impegni: i compiti, il calcio, il nuoto, gli amici, e non trovava più il tempo per stare con Teddy.
Questo si sentiva un po’ solo e alla fine decise di preparare le valige e se ne andò triste, lasciando per sempre il suo fidato amico. Il sabato successivo
Alessio aveva tutto il sabato per stare con lui, ma non lo trovò più e Alessio tutto triste cominciò a fare i compiti per casa.
Qualche tempo fa, pubblicai una poesia che, una volta scrissi per il mio amico Ciccio. In seguito ad un incidente con il suo amatissimo trattore è morto il primo di dicembre dopo un lungo gioco di tiro alla fune tra la morte e la vita. Forse quest' ultima, rendendosi conto che vincendo sarebbe stata meno della metà di quello che già era, ha deciso di allentare la presa e farla finita. Non so.
Ciccio era un uomo semplice, dalla salute un pochino cagionevole, poco istruito, certe volte irascibile, ma di buon cuore e generosissimo. Curava la dozzina di giardini delle villette di "professionisti" in un piccolo centro dove si trascorre il periodo estivo. Anche il mio. Al contrario, però, lui mi aveva visto crescere e con me, l'unico, tra i "professionisti" a cui poteva dare del TU, si apriva completamente. Forse in considerazione del fatto che mi ricordava da piccolo e anche per la mia semplicità nel pormi con lui. Sostanzialmente riuscivo a metterlo a suo agio. E lui parlava e parlava tra una sigaretta e l'altra, sorseggiando un bacardi breezer, di cui, prima che glielo facessi assaggiare, non sapeva nemmeno l'esistenza.
Non si è mai sposato. Le uniche donne che conobbe nella sua vita erano delle signore che danno piacere, non illudono nessuno e non promettono nient'altro che va al di là di quello per cui sono pagate.
Quando si rese conto di questo, grazie anche alle mie discussioni, non andò mai più a cercarne una. Per rispetto verso se e verso quelle donne che fino a poco tempo prima aveva guardato con occhi diversi."Sono vecchio ormai per queste cose, Antonello. I soldi meglio metterli di lato per il matrimonio di mia nipote. Mia sorella non se la passa tanto bene... Lo sai. Voialtri giovani dovete farlo l'amore."Cosi diceva.
Al suo funerale, di quelli i cui giardini Ciccio li teneva alla perfezione, c'ero soltanto io e mia mamma che ha sinceramente sofferto per la sua scomparsa.
Eppure lui, i frutti, le verdure, i funghi di campagna li portava a tut
Questo è il mio mondo senza rose e senza fiori, questo pensava Jack mentre tornava in quel treno dalla guerra, erano appena arrivati all'ultima stazione; da qui in poi il treno non faceva più fermate per nessun motivo ora si andava dritti a casa.
Jack si girò verso il finestrino e appoggio la testa, guardava fisso il paesaggio verso le belle montagne che facevano da sfondo al triste rumore del treno sulle rotaie.
La sua mente vagava senza controllo verso giorni lontani che gli parevano quasi anni o forse secoli,
ritornava alla sua casa di campagna dove trascorreva le lunghe giornate d'estate con la sua famiglia, rivedeva sua mamma e suo padre che prendevano il sole fuori dalla terrazza e suo fratello che dipingeva le montagne, proprio quelle montagne che ora si proponevano con la stesso forma e con lo stesso senso di grandezza di allora, questi ricordi provocarono un lieve senso di benessere sul viso di Jack, e sorrise.
Poi i ricordi diventarono meno vaghi, ricordò il giorno in cui decise di partire per la guerra, in quel tempo egli pensava che era la cosa più fantastica e più avventurosa che gli potesse mai capitare, quasi gli ritornò in tutto il corpo quel energia che possedeva allora, quel energia infusa di gioia e di giovinezza che ormai da tempo l'aveva abbandonato. Questa sensazione gli diede un così senso di benessere e di pace che si addormentò.
Ma i sogni che fece dopo essersi addormentato non furono dello stesso stampo, rivide il sangue dei nemici alzarsi dalla polvere a causa del vento e finirgli addosso, dipingendo di rosso la sua divisa verde, ricordò quel infausto giorno, il più brutto della sua vita, quando durante una ricognizione lui e tre suoi amici trovarono delle truppe nemiche di passaggio: fu il panico; rapidamente Jack incalzo il mitra, pesava come un macigno e non riusciva nemmeno a impugnarlo correttamente, la paura lo aveva devastato, ma i suoi amici furono molto più lesti e coraggiosi in un batter d'occhi crearono
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