L'ultima cucciolata Lilli l'aveva partorita dentro un tronco cavo di un ulivo saraceno, dimora principesca per lei e soprattutto sicuro come un bunker antiaereo, difficile vederli, difficile per alcuno poterli toccare. Lui dopo una settimana si decise ad aprire gli occhi e si scoprì in una cuccia calda assieme a tanti altri suoi fratelli, non sapeva contare, sapeva che erano molti e comprese in pieno il vecchio detto: "Lu Signuri binidiciu centu mani chi manciavanu; ma no tutti 'nta un piattu" solevano ripetere con arguzia i vecchi. Comprese subito che per vivere doveva succhiare più latte degli altri, stare attaccato alle mammelle della madre allontanando anche bruscamente i concorrenti e divenne bravo! Poco alla volta i cuccioli più deboli cominciarono a fermarsi, sparivano portati via da mani misericordiose. Lui rimase, forte e candido, per cui si meritò il nome "Leone" che tutti decisero di ridurre a "Leo". Leo è un meticcio maremmano, da piccolo era bellissimo, un batuffolo di lana bianca, arruffata e calda che tra le dita suscitava emozionanti sensazioni invernali. Poi crescendo cominciarono a comparire alcune macchie che testimoniarono senza ombre di dubbio che non fu un accoppiamento in purezza (ahimè, noi sapevamo il triste imbroglio e siamo stati silenti -abbiamo taciuto sperando che tutta la storia potesse passare in silenzio- colpevoli per amore), e poi ha cominciato a crescere; uno spilungone, anche su questo ha tradito l'armoniosa robustezza del suo avo. Ad ogni buon conto io e Simona gli abbiamo perdonato tutto; avevamo già perdonato la Ss. ma Memoria di sua madre, lo abbiamo fatto anche con lui, questo è amore in seno ad una grande famiglia, come si dice oggi: "allargata"! Leo è cresciuto bene, nei momenti in cui tornavamo in campagna a trovarlo lo abbiamo viziato un po', Simona perfino di più. Ogni tanto mi accorgevo che il sacchetto dei miei biscotti calava paurosamente, così il formaggio che neanche avevo il tempo di assaporarlo che r
[continua a leggere...]Ore 16, 08 - Abitazione del dottor Franco Abbondanza, sindaco socialista di Montepiano. Il telefono squilla anche qui una mezza dozzina di volte finché don Franco in persona solleva la cornetta.
"Pronto, chi parla?" chiede in tono naturale.
"Pronto Franco, sono Giovanni, il tuo vice, ti ho disturbato?"
"No, lo sai che tu non mi disturbi mai"
"Grazie per la gentilezza. Ascolta Giovà, non so se ti hanno già informato ma mi hanno riferito di un incontro, diciamo privato, tra il maresciallo Pantone e Alfredo Boccia, il figlio di don Vittorio"
"No, non ne so niente, ma... con ciò?"
"Non ti sembra una cosa fuori dalle norme?"
"No, e perché poi? Probabilmente sarà per via del funerale domani, immagino vi sarà un casino di gente, e molti verranno anche da fuori"
"E secondo te, per questo, è necessario incontrarsi su alla "Temparella"?
"Alla Temparella? Perché è lì che si sono incontrati?" chiede ormai interessato il sindaco.
"Sì, una mezz'ora fa... sì, sì sono stati visti."
"Uhm, allora c'è qualcosa sotto, cerca di saperne di più. Io tra mezz'ora sono in ufficio"
Ore 16, 20 - Caserma dei carabinieri. Il maresciallo Pantone è appena rientrato dall'incontro con Alfredo e si avvia a mettere in atto il piano concordato. Chiama nel suo ufficio il brigadiere Rasulo.
"Brigadiere, io mi devo assentare di nuovo, vado giù alla fiumara, pare che un trattore si sia cappottato, non so come stanno le cose ma sembra che qualcuno si sia fatto male."
"Portate con voi qualcuno, maresciallo?"
"Sì, con me viene Randò, se c'è da fare qualche schizzo lui è la persona adatta, essendo bravo in disegno"
"Bene, maresciallo, se avete disposizioni da dare..."
"Sì Rasulo, devo lasciarti una consegna. e... guarda che si tratta di una cosa delicata. Non la posso sbrigare di persona perciò..."
"Dite pure maresciallo, potete stare tranquillo!"
"Uhm, ascolta, conosci il ciabattino, Firmato?"
"Chi, Firmato Diaz? È così che lo chiamano in paese. Sì, lo conosco
Luigi, Enrico e Cristian hanno 18 anni sono amici dalle elementari, hanno sempre studiato insieme e giocato a pallone, erano bravi ragazzi spensierati e felici, Luigi è sempre stato il più vivace del gruppo.
Hanno fatto anche le patenti della macchina insieme, Enrico e Cristian sono ancora molto legati, Luigi è andato con un'altra compagnia un po' strana per Enrico e Cristian, quindi gli hanno detto di stare attento ma Luigi testardo se ne fregato dei loro consigli.
Ha incominciato con un banale spinello poi alle pasticche e poi è passato alla coca, Luigi ora è irriconoscibile ed è aggressivo con tutti, anche con i suoi migliori amici, loro nonostante tutto gli sono stati vicini, ora lo stanno convincendo ad entrare in comunità tramite Don Carlo, che è un volontario in una comunità di tossicodipendenti.
Don Carlo è giovane ha 40 anni, e anche lui ha avuto amici con quel problema la tossicodipendenza, quindi ha voluto aiutare quelli della comunità, quando ha tempo.
Enrico e Cristian hanno convinto Luigi e adesso frequenta la comunità, loro vanno a trovarlo spesso perché anche loro come Don Carlo sono diventati volontari.
Ora Luigi si sente più sereno e tranquillo, più al sicuro e ha ritrovato i suoi amici Enrico e Cristian, e ne ha fatti dei nuovi nella comunità.
Eravamo io e te.
Potevamo contare l'una sull'altra. Ah, che momenti memorabili! Non potrò mai dimenticarli, ora che tutto è finito. La prima volta che ci siamo viste eravamo due semplici conoscenti, come tante. Ma nel giro di poco siamo diventate inseparabili, non è vero? Per noi non c'erano segreti, sapevamo divertirci, ci conoscevamo come una madre che si prende cura di suo figlio. Quanti pomeriggi passati al cinema, quante mattinate, a scuola, passate a scriverci bigliettini. Quante confidenze sui ragazzi che ci piacevano. La nostra non era una semplice amicizia, era un legame profondo. Poi, la decisione di andare in viaggio studio insieme. "Che bello!", dicevamo, "Finalmente un'occasione per divertirci davvero!". Stolte, non sapevamo che sarebbe stata la nostra rovina.
Eravamo nel college, io e te come sempre. A ridere e parlare. Poi, come le tempeste che si abbattono sul mare improvvisamente, quelle due ragazze si avvicinarono, per fare conoscenza. Era tutto bellissimo, ci divertivamo. Fino a quando hai iniziato a escludermi, a prendermi in giro, a parlare male di me con quelle due false amiche. Non so perchè. Non so cosa ti ho fatto. Forse ho preteso troppo da te, forse sono stata troppo possessiva. Ammetto le mie colpe. Ma spero tu sappia che stavo male quando tu e le tue amiche mi prendevate in giro, quando facevate finta di parlarmi senza secondi fini. Non posso dire quante notti ho passato a piangere, a rodermi dentro. Tre mesi, dopo il nostro ritorno in Italia, ho affrontato la nera nube di infelicità.
Tre lunghissimi mesi.
Ed ora eccoci qui. In classe insieme al liceo, di nuovo come due semplici conoscenti.
E il cerchio si chiude, come sempre.
È successo da dieci mesi. Non ho ancora capito cosa è successo di preciso.
Conosco bene l'esito: al mio migliore amico non importa più nulla di me.
Da un giorno all'altro, improvvisamente, ho smesso di esistere.
Un'entità non umana, come un lavavetri straniero ad un semaforo.
Fastidioso quando l'incontri ma poi ti dimentichi e ti dedichi ad altro,
a cose più fastidiose ma italiane, stanziali e, quasi mai, più pulite.
Non ha più risposto alle mie telefonate.
Importuno come un cocopro da 5 euro l'ora che chiama da un call center.
Che neanche tiri su il telefono. Hai tante cose importanti da fare.
E non vuoi cambiare gestore.
Visti ci siamo visti. Poche volte, per poco tempo.
Io l'ho visto, lui ha visto il lavavetri.
Io aspettavo qualcosa, una parola, un cenno, un segno qualsiasi.
Niente, sorrisi tirati, movimenti frettolosi, imbarazzo.
Qualcosa ha detto. Poco. Al lavavetri. Frasi spezzate. Reticenze. Approssimazioni.
E soprattutto non toccare il mio vetro.
Non ho capito. Non ho voluto capire. Mi pareva e mi pare incomprensibile.
Non riesco a crederci. È incredibile. Proprio a me. Proprio lui.
Mi sarei ribellato con tutte le mie forze, avrei inveito con violenza contro chiunque avesse anche solo ipotizzato una situazione mille volte meno insensata di questa. Non a me. Non da lui.
Lui no, io mi sarei gettato nel fuoco, e lui per me.
Perché è successo? Non ho voglia di pensarci. Non posso credere che sia stato quell'episodio. Oppure qualcosa che da prima covava sotto la cenere. Se a distanza di poco tempo appaiono poco credibili o futili le cause che scatenano le guerre, incredibili e futili se pensiamo che siamo soprattutto dei primati onnivori inseriti in una biosfera che abbiamo saccheggiato che neanche gli Unni, cosa sarà mai successo di così tremendo tra due persone che si volevano così bene? Che se lo sono pure detto, quanto si volevano bene.
Non ho prodotto e imboscato armi di distruzione di massa. Non sono Saddam Hus
" L'amicizia tua per me significa vita."
Queste sono state le tue parole a Natale,
Parole che non sono state mantenute.
Questa non è un'altra poesia, ma lo sfogo di chi avrebbe voglia di urlare dalla cima di una montagna,
Finchè non ci fossero più forze,
finchè tu potessi ritornare,
ma questo non succederà.
" Io ci sarò sempre".
Queste sono state le mie parole,
Le avrei mantenute.
Forse in silenzio tu mi chiedevi di ascoltarti,.
ma io non sono stata capace di accorgermi.
Perchè non ti sei confidata con me?
Come quando facevamo da piccole.
Come quando andavamo a raccogliere ciliegie.
Mai da soli.
Ora guardo il cielo e vedo te,
piccola stella.
A volte crediamo di essere forti,
ma in realtà non lo siamo.
Per questo continuo a ripettere dentro al mio cuore.
" Mai da soli".
Ora c'era questo autista che andava per lungo e largo in quello schifo di traffico della sua città.
Alzò la mano al buio e toccò la sveglia.
Trovò subito il tasto e il suono tremendo che gli entrava nella testa smise all'istante.
Poi si riaddormentò ancora e pochi secondi prima che l'orologio segnasse le 05:15 si alzò e disattivò la sveglia.
Uscì in balcone. Da dietro il secondo palazzo, messo di traverso tra il suo e gli altri del cortile, si riusciva a vedere il vialone illuminato.
Nell'aria già calda e puzzolente del mattino estivo ballavano ancora le luci dei lampioni.
Rientrò mentre il camion svuotava i cassonetti con il loro fragore incurante dell'alba.
Indossò la divisa col solito umore.
Voglio dire, non che il suo umore avesse qualche qualità. Di solito non aveva umore prima di iniziare a lavorare. Nulla. Zero sentimenti. Solo balle che si raccontava per non avere troppe complicazioni con se stesso e con gli altri.
Si annodò la cravatta. Si lasciò la porta alle spalle e quel rifugio dove tornare era l'unico calore della giornata.
Scese a piedi. Quei due del piano di sotto già avevano attaccato a litigare eccetera eccetera.
Il lunedì era una brutta bestia.
Alla fine della domenica non vedeva l'ora che arrivasse, all'inizio del lunedì non vedeva l'ora che finisse.
Il deposito era a pochi minuti.
Salì sulla vettura. Aveva gli ammortizzatori andati anche se aveva solo due anni, ma inutile chiedere assistenza. Era un miracolo che potesse ancora fare su e giù.
Arrivò al capolinea alle cinque e cinquantasei, attese le sei fumando una sigaretta sul marciapiede, poi chiuse le porte e partì coi primi passeggeri. Ormai non li osservava più. Li conosceva a memoria, quasi sempre gli stessi: quello con la valigia, le due ragazze slave, il pensionato che legge, quel testimone di Geova con la Bibbia, due operai che ancora non avevano licenziato. Si, più o meno erano tutti.
Partì e cominciò a fare su e giù, prima senza traffico, poi
La pagina riporta i titoli delle opere presenti nella categoria Amicizia.