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Racconti amore

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L'amore radioattivo

Non soffro più.
Mi sento bene, ho visto tanta luce e ora guardo la mia stanza e vedo persone attorno a me e osservo il mio corpo sul letto. Vorrei sapere dove sono e perché penso ancora e conoscere cosa farò quando non vedrò più e non ascolterò e non proverò più nulla.
Ho paura di dimenticare, di sapere se sono ancora vivo o morto. Ho paura del castigo di Dio per quello che è accaduto, del giudizio di chi mi conosce e di chi mi ha conosciuto e stimato e voluto bene.
Ho paura del nulla e del buio che verrà quando gli ultimi lumi della mia coscienza si spengeranno e nuvole di oscurità mi avvolgeranno e mi porteranno via.
Lontano da qui, da questo letto di dolore. Via dai miei ricordi e i miei pentimenti.
Credo che sia troppo tardi per chiedere perdono e spiegare tutto a Dio che non mi capirà.
Per questo, ne sono sicuro, mi ha punito e ha voluto che morissi per la colpa che ho commesso.
Eppure non mi sono accorto di morire.
Ho solo finito di avere dolore.
È come se potessi parlare, ridere, gioire, scaldarmi e accecarmi di luce. Vedo un colore bianco che sfuma la stanza e non so più descriverlo con parole umane, chè ormai non so più cosa sono e cosa diventerò, prima che i demoni degli inferi spegano questi ultimi attimi di percezione.
Madame è lì, seduta accanto a me, con le sue stoffe nere e il suo cappello in mano.
E altre persone sono venute dopo che i dottori sono andati via.
Hanno messo un paravento attorno al mio letto.
Posso guardare dappertutto. Vedo gli altri malati. Passo attorno alle volte del soffitto, mi sembra di sentire l'odore dei loro escrementi e delle loro piaghe, soffro le loro pene e non sento dolore. I loro pensieri entrano dentro di me come mille voci. Ora in coro ora sole. Pensieri e parole che sento senza orecchie. Non so ancora se sono già morto. Eppure hanno coperto il mio corpo con un lenzuolo bianco.
È passato solo un mese dal giorno in cui iniziò tutto e sembra un attimo e un secolo insieme, in questi

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   0 commenti     di: Giacomo D'Alia


UN ATTIMO DI ETERNO AMORE

Guardo fuori dalla finestra; ormai piove già da due ore. Anche se fra un po' le nuvole grigie spariranno portando via con sè la pioggia, non ho voglia di andare in spiaggia perchè la sabbia è bagnata, gli ombrelloni chiusi, il mare mosso e per di più non ci sarà proprio nessuno.
Oggi è mercoledì, sono già tre giorni che sono qui in vacanza con mia zia e mia cugina in questo appartamento al secondo piano dove da un angolo del terrazzo si può intravedere l'orizzonte.
Mi incanto ad osservare l'orizzonte che, diversamente dal solito, non ha quel colore azzurro intenso, al contrario è tetro, di un grigio scuro, quasi nero e le onde di quel mare tanto agitato mi spaventano e al tempo stesso mi angosciano.
...È trascorsa ancora un'ora; adesso non piove più... i raggi del sole, riflettendosi sulle gocce d'acqua, permettono ai sette colori dell'arcobaleno di brillare nel cielo ormai limpido.
Mia zia propone di andare a prendere un gelato in piazza; il bar è affollato di giovani che hanno dovuto rinuciare al bagno o alla partita di beach-volley del pomeriggio. Il gelato è gustosissimo: un cono alla nocciola e al tiramisù.
Sono ormai le sette, è ora di tornare a casa perchè la zia deve preparare la cena. Io e mia cugina decidiamo di restare sotto al palazzo fino a quando non sarà pronta la cena; mentre chiacchieriamo sedute sui gradini del portone accade la cosa che ho sempre sognato sin da quando ero bambina. È stato un attimo, un rapido scambio di sguardi, un attimo magico che ha cambiato la mia vita.
Si, a soli quattordici anni ho scoperto cosa è veramente l'amore: un sentimento che ti travolge improvvisamente, che ti estranea dal resto del mondo e ti conduce in una dimensione di infinità serenità, gioia e pace dove ti ritrovi insieme a quel corpo che, unito al tuo, dà vita ad una sola anima.
Quel ragazzo dallo sguardo profondo mi aveva stregata.
Sono certa che la mia vita sta per cambiare e che quell'incontro non è stato casuale

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   3 commenti     di: Claudia Costa


Li dove tramonta il Sole

Seduto su uno scoglio dalle forme appuntite guardavo il mare stanziarsi all'orizzonte.
Ero innamorato di un'onda che birichina spuntava comunicando con bianca schiuma ritraendosi poi in un cristallizzarsi di particelle, così simili da nasconderla alla mia vista umana. Le parlavo, le raccontavo tutti i miei perché, ma ogni mio gesto era vacuo come vuoto era il mio animo lacerato da quell'infrangersi di umide lacrime che rigavano il mio segnato viso. Sempre alla stessa ora mi palesavo, rimanevo immobile a rimirare gabbiani che, impulsivamente, troppo si avvicinavano lambendo quei flutti e sognavo, sognavo di posseder un paio d'ali per librarmi appena un poco ed avvicinarmi al Sole, sperando di riscaldar la mia anima tediata dal tempo e dal soffocar di peccati celati alla vista.

Alto, ero fin troppo alto per te, giovane umano. La mia corolla di luce ti invadeva ma la distanza sembrava fin troppa, non potevi sfiorarmi e il tuo dolore non riusciva ad evaporar dalle membra stanca. Ma i tuoi pensieri arrivavano fin qui, trasportati dal vento e dalle onde del mare, li sentivo forti e chiari nella mia mente che soave li archiviava in fondo al cuore.
Bruciavo di rabbia, con i raggi che attraversavano la pelle madida di lacrime mai nate del tuo corpo e silenziosi ti abbracciavano. E la rabbia mi devastava, ogni particella del mio essere ne era pervasa e di essa ribolliva, perché non potevo donarti le ali che a me ti avrebbero condotto.

Presi carta e penna ed iniziai a disegnare, scegli colori impopolari lasciandomi guidare dall'amarezza che nascosta nelle mie membra rendeva la situazione surreale. Io, un piccolo uomo di fronte ad un'immensa distesa che pur mi parlava in quell'infrangersi contro scogli ormai erosi dal tempo. Potevo sentir le loro urla, ferita dopo ferita, roccia che si sgretolava tra le mie mani, cercavo di mettere una pezza, colmare quel disagio dimenticandomi di me stesso. Le mie mani si ferirono, iniziarono a sanguinare, graffiai la pelle in imp

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   1 commenti     di: Ragù


Auguri papà

Giusto ieri hai compiuto nell'altra vita 95 anni. Auguri papà, ti voglio bene. Da quando non ci sei più, sei stato sempre presente nella mia vita, vicino alle mie disfatte, vicino alle mie paure, alle mie battaglie, alle mie lacrime. Vicino.

Non dimentico il giorno in cui ci hai lasciato, la notte in cui ti ho vegliato, il rivolo di sangue che ti usciva dal naso in quella fredda stanza del reparto di rianimazione. Era il 1997, erano i fantastici anni 90. Nessuno parlava ancora di crisi, era l'epoca del consumismo, nessuno avrebbe immaginato quel che sarebbe accaduto con l'avvento del nuovo secolo.

Sei stato un buon padre, severo, un po' assente, eclettico, all'antica, ma un buon padre. Certo, avevi i tuoi problemi, le tue paranoie, ma in fondo eri una brava persona, faticavi a dimostrare affetto, pensavi che la famiglia fosse una tua proprietà. Forse era così ma non nel modo che intendevi tu.

Qui le cose si sono messe male, il mondo sta andando a rotoli, se vedessi la tua città invasa da migliaia di stranieri dalla pelle scura! Sono disperati che scappano dalla guerra e dalla fame, hanno sicuramente più civiltà di noi siciliani, ma alcuni potrebbero essere terroristi. Chi lo sa...
Lo so, non puoi capire, da quando te ne sei andato, il mondo è cambiato con una velocità supersonica, niente è più come prima. Una delle tue figlie ha avuto un grosso intervento al cuore e ancora, dopo quasi un anno, conduce una strenua battaglia contro i super batteri che non vogliono abbandonare alcune zone di sutura.
Ho paura, non come allora che avevo un coraggio da leone, adesso mi ha preso una paura che a volte mi tremano le mani come foglie, paura della solitudine, delle malattie, della morte.

Cosa c'è, papà, dall'altro lato? È lo stesso luogo che abbiamo visto prima della nascita o i tre Regni descritti da Dante? È un vuoto assoluto più vuoto dello spazio conosciuto o un giardino fiorito dove poi ci riuniremo tutti, nonni, figli, zii e nipoti

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   2 commenti     di: vincent corbo


Album fotografico

Oggi è una domenica di pioggia e non mi sento bene. Perciò rimango in casa a riposare.
Ma dopo un po' mi annoio. Il tempo nei giorni che lavoro corre molto veloce; adesso invece sembra rallentato. Così, per svagarmi, metto in ordine libri e cartelle sugli scaffali.
Mi capita in mano un vecchio album di famiglia. È pieno di foto in bianco e nero e incomincio a sfogliarlo. Guardo le foto di quando ero bambino, cioè oltre 40 anni fa. Ci sono i nonni, gli zii, le case di allora che adesso non ci sono più Continuo a sfogliare le pagine guardando le foto che mi danno un gran senso di tristezza. Eccomi adolescente, quindicenne, con la camicia a fiori, il giubbino nero e la bici nuova. Quanti sogni avevo in quegli anni. Quanti pensieri e illusioni mi passavano per la testa.
In queste foto qui avevo venti anni e scrivevo poesie. Ero follemente innamorato di una ragazza con i capelli lunghi e soffrivo terribilmente.
In questa foto lavoravo da un meccanico. Qui sono in vacanza al mare; qui sono in campagna con il cane
Quanti lavori cambiati, quante donne, case, situazioni
Questa è la vita. Una ruota che gira e mi fa girare nel vortice degli eventi. E finchè sto girando dentro il vortice non mi accorgo del tempo che passa. Non mi accorgo dei parenti che invecchiano e scompaiono. Non mi accorgo che anch'io sto invecchiando, che tutto passa, cambia, muore, si rinnova, si sposta
Però a intervalli di anni, arriva una pausa come questa: una domenica piovosa, una malattia, un forzato riposo che mi obbliga a fermarmi e meditare. In questi momenti arriva anche la consapevolezza, terribile consapevolezza, del tempo trascorso, della giovinezza passata, del tempo fuggito. E allora rimango qui e mi domando: a cosa è servito tutto questo? Tutti questi sforzi, fatiche, perdite di tempo e di denaro, amori finiti e nuovi amori incominciati. È servito per arrivare dove? Fino a questa situazione attuale. Ma sono soddisfatto? No. È una situazione definitiva? No, ce

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   1 commenti     di: sergio bissoli


Tutto (ritorna)

Alla festa ci vengo volentieri.
Incredibile quanta gente c'è. Incredibile quanta gente sia tua amica. Soprattutto c'è tutta la gente che dovevo vedere.
Non faccio in tempo a mettere piede nella sala principale, che sono assalito da persone da salutare, chiacchierare, ripresentarmi, offrire da bere, da fumare, farmi offrire altrettanto.
Ora che arrivo nella sala della festa mi porti un spritz: il terzo della serata.
Nell'angolo ci sono due che limonano, lo fanno in maniera talmente tanto convulsa, che attorno a loro si è creato il vuoto. Arriva una ragazza che conoscevo quand'era bambina, si è fatta bella e grande, si è anche fatta di ketamina a giudicare dai discorsi che mi fa.
Arriva un gruppo di gente che più o meno conosco. Li vedo entrare uno alla volta, si fermano direttamente al banco a prendere la consumazione gratis.
Tranne Lei.
Lei si avvicina, mi passa di fianco e mi ignora.
In effetti è impensabile che lei si ricordi di me. In effetti è assurdo che io mi ricordi ancora di Lei, eppure è così. L'istante in cui mi passa di fianco è molto lungo è difficile. Vedo l'azzurro tenue dei suoi occhi, incoronato dal giallo grano dei suoi capelli lunghissimi. Mi ricordo: troppo tempo fa, a una festa, forse altrettanto assurda, lei che si siede in braccio a me, le nostre mani che si sfiorano, i nostri gesti ambigui, forse anche un po' imbarazzati a causa della nostra giovane inesperienza. I lunghi silenzi, dovuti alla mia timidezza, che rovinano tutto, lei che scompare senza che riusciamo a combinarci in nessun modo.
Poi, tempo dopo, torna a farsi sentire: "Do una festa a casa mia, ci vieni?" "certo che ci vengo!", e magicamente a rinnovare le mie speranze, lei si accoccola su di me, sul divano di casa sua. Non c'è niente da fare... sono perso, cotto marcio, morirò giovane, d'amore per lei.

poi
da allora
più niente

devo assolutamente rivederla, riuscire a parlarle, alla tua festa, dove ci sono tutti, e c'è anche lei. devo dirle qualcosa

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   2 commenti     di: Peter Paura


Piccolina

Sono disteso su di te, non sono pesante quindi non ti schiaccio, anzi, dal sorriso dei tuoi occhi, capisco che ti fa piacere sentire il mio corpo pressato sul tuo.
Stringo con le mani le tue guance e le tue orecchie.
Il mio naso gioca con il tuo, poi dolcemente, ti mordo le labbra e gli occhi. Con la lingua disegno delle esse sul tuo collo, tu ridi, e il tuo corpo è percorso da brividi.
Una positiva elettricità ti pervade e scioglie i tuoi umori in sintonia con i miei.
Il cuore accelera i suoi battiti, mi graffi la schiena lentamente, lentamente come la tigre, che solo io so risvegliare in te, sa fare. Piccolina quanto sei bella, io lo so che sei bella, ma ogni volta mi dimentico di una tua particolare meraviglia.
E una volta mi dimentico delle tue mani, un’altra volta dei tuoi occhi, un’altra ancora è il tuo tenero seno a scomparire dalla mia mente.
Mi succede perché ti amo, e il dimenticarti, fa si che ti possa riscoprire ogni volta, come fosse la prima. Sei la mia novella primula, il bocciuolo di un fiore che non appassirà mai, perché nel sogno, il nostro tempo è eterno.

   14 commenti     di: luigi deluca



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