Sono due cose molto diverse. "Chi si accontenta gode... così e così" dice una canzone di Ligabue e si adatta perfettamente al nostro caso.
Facendo sesso si è più da soli mentre facendo all'amore si è più insieme.
Nel primo caso si è facilmente più rivolti al proprio piacere, ci si preoccupa di ricevere, di sentire, di provare piacere, spesso nell'immediato, qui e ora, anche senza preoccuparsi tanto di chi ci è a fianco che è spesso importante solo per soddisfarci. Si è più soli, non si comunica.
Fare all'amore è, invece, vivere il piacere insieme, è un dialogo, non sono due monologhi.
Per fare sesso non c'è assolutamente bisogno di intimità: si può fare comunque, se ne ottiene un po' di piacere ed è finita lì. Ho detto un po' di piacere perché è veramente poco in confronto a quello che se ne ha facendo all'amore.
L'intimità è parte integrante del fare all'amore, è avvicinarsi più fiduciosi, consapevoli di condividere qualcosa, di vivere insieme quello che si fa, non con spirito critico, non pronti a giudicare se chi ci è vicino è capace, o vuole, darci tutto il piacere che ci spetta e che vogliamo. È stare insieme perché se ne ha voglia, perché si sta bene insieme, con la voglia di fare star bene l'altro come stiamo bene noi. È ancora condividere. E se l'altro, o l'altra, non fa quanto ci aspettiamo saremo noi ad aiutarlo, a far capire, a pilotare, ma senza astio e senza sentirsi defraudati, perché se l'approccio è lo stesso da parte di tutti e due non ci sarà stato egoismo consapevole.
Sapendo poi che le cose stanno così saremo molto più rilassati e meno assaliti dall'ansia di prestazione, "rendendo" molto di più e gustandoci con molta più intensità quello che succede.
Il piacere nasce nelle emozioni, e attraverso la stimolazione di qualche terminazione nervosa ci fa vivere momenti fantastici. Se togliamo le emozioni e lasciamo solo la stimolazione nervosa togliamo l'80% del piacere. Chi identifica il piacere con la
Luca continuava a guardare quelle scarpe, fisso, quasi ipnotizzato dal loro moto circolare e cullante, simile in tutto a quello con cui ci si atteggia ad ascoltare un lungo discorso, che cambiavano di continuo posizione in uno spazio del tutto esiguo.
Non che esse avessero nulla di particolare, anzi, erano solo degli stivali in pelle leggermente larghi sulle caviglie, risvoltati sul polpaccio a creare l'illusione di stivaletto da garibaldino, ma molto più elegante.
E nemmeno colei che li calzava, quegli stivali, aveva nulla di speciale... era parere del ragazzo una ragazza del tutto simile a chiunque in quella stanzetta affollata.
Era seduto su una sedia di plastica verde sopra una montagna di cappotti e felpe (e qualche borsetta, all'interno di una stanza stretta calda e, con la musica a palla.
Sulla sinistra, la console del dee-jay pompava musica a tutto volume che rimbalzava sulle pareti formando uno strano eco che sembrava dare l'effetto di chi si è appena ubriacato.
Comunque, Luca non si capacitava di come bastasse all'essere umano trovarsi in uno spazio ristretto con un po' di musica lenta per iniziare a danzare avvinghiati ad una persona dell'altro sesso e abbandonare ogni pensiero e rimuginava, rimuginava, rimuginava...
Proprio durante una delle sue riflessioni "filosofiche" gli si seccò la gola e dovette alzarsi dal suo tanto amato posto a sedere per recarsi al tavolo sulla destra pieno zeppo di bibite e cibo di cui rifocillarsi.
Mentre che si versava un bicchiere di aranciata, il suo gomito urtò involontariamente quello di una sua compagna di classe lì presente.
Non che Luca non si fosse mai accorto prima della sua presenza, anzi, però non aveva mai fatto caso al suo aspetto, almeno non così tanto come ora...
Era fantastica, la prima cosa che colpì la vista del ragazzo furono i suoi occhi che se pure non erano di un colore particolare erano semplicemente perfetti, erano collocati in un volto di porcellana leggermente colorato da un lieve
È come oltrepassare la boa, il punto di non ritorno. Una distesa di acqua placida, nessun corpo a turbare la superficie. Chi nuota. I pedalò. Il morto a galla. Chi si immerge respirando acqua a pieni polmoni. Chi annega appeso ad un albero. Chi galleggia, sempre più su, ciao Luna, ci vediamo quando torno. Dieci, forse cento, mille anime, forse nessuna. Grigio acrilico in ogni tonalità, cercando colori cancellati e dimenticati. Sepolti e lontani.
Capita però che lo spazio si dilati. È allora che tutto si fa d'ombra: le sinapsi vanno in corto, le lancette si fermano. Forse non si sono mai mosse. Le pareti si allontanano, pochi corpi compressi in spazi illimitati. Eventi soltanto sognati corrono al loro orizzonte di Converse e jeans aderenti. Capelli come di seta stritolano il mio corpo, a stento respiro. Scudisciate di smeraldo sulla schiena nuda. Il silenzio si fa assordante, i timpani sanguinano, il petto esplode. Vedo labbra danzare, tessere sogni troppo distanti per essere afferrati. Il desiderio di estrarre il serramanico. Recidere, straziare. Come se questo avesse senso. Come se questo potesse ricucirmi. Come se questo potesse donarmi la voce.
Ma ormai dietro a ben altro orizzonte corre a nascondersi il sole. Forse meno aggraziato e sensuale, eppure ugualmente necessario. Sento anziani anagraficamente inappropriati contendersi un osso. Che sia segnato da un "non trasferibile", virtuale o infilato in autoreggenti e tacchi alti. Poco importa. La lotta. La supremazia. Io ce l'ho più lungo, sono io il perdente alfa.
Nella penombra, Lilith implora qualche carezza. A volte mi domando se possieda un'anima. Forse lacera, ridotta a brandelli, come quella del suo compagno. Forse decisa, a volte sognante, mai fredda e scavata. Come la sua stessa voce.
Ancora una volta Lilith canta il suo dolore, per un pubblico di stelle. Ancora una volta geme per le dita che la sfiorano. Ancora una volta sangue e qualche lacrima minore si abbracciano sotto lo sguardo, o
E a volte succede di finire la benzina. O forse il motore si ingolfa, non lo so. Chi ci capisce niente, di 'sta roba. Io so solo che sono lì che tiro a manetta, pedal to the metal, e a un tratto vengo raggiunto. Mi passano vicino e mi prendono per il culo. Come nel film di Bergman. Solo che a loro dopo il gesto dell'ombrello la macchina non si ferma mica.
Quindi sono costretto ad accostare. Mi fermo, vedo un bel giardino pubblico ed entriamo. Un'altra volta. Solo che io non riesco a capire dove finisca il bronzo e dove inizi la carne. Una statua straight-edge che mi parla di Amsterdam e delle space-cake. Ed io volo con la mente, sento che mi strapperei le braccia pur di essere uno di quei folletti. Mi sciolgo come i termosifoni di cui il vento mi porta i suoi metallici ricordi. Basta un sospiro a far scoppiare la mia bolla e farmi ricadere brutalmente sulla terra. Sento le ossa frantumarsi sotto il mio stesso peso. La testa ridotta a una BigBabol di sangue e materia cerebrale masticata e sputata per terra, pasto prelibato per gli avvoltoi/piccioni stanchi di carcasse di gringos e molliche di pane. Che in fin dei conti alla fine non sono mica troppo diverse tra loro. E via di nuovo sulla strada, cerco di guidare con quello che rimane dei miei occhi, il cielo si sta coprendo. Rundgang um die transzendentale Säule der Singularität in riva al lago sembra un sogno, forse lo è, forse non è mai esistita, forse non l'ho mai ascoltata sotto la pioggia con solo un pianoforte arpeggiato a farci da scudo per venti minuti. Forse non abbiamo visto il concerto prima che lui tramontasse assieme ad una parte più o meno grande di tutti noi. E ancora da Milano/Parigi/Londra correndo sui sedili di una station-wagon. E il volante girato senza la patente. La cocaina per avere una voce limpida. I dischi di Becker e Malmsteen.
I Miracle Blade sono molto meno taglienti delle maglie dei Clash, date retta a un coglione.
"Ci sei?".. così cominciava una,
delle ormai consuete conversazioni su skype.
si consuete.. era un'abitudine sentirti,
di sera o di pomeriggio presto,
e il giorno seguente era lo stesso..
Perchè poi è successo?
nemmeno tutte le spade del mondo, le lame più affilate,
o le punte più resistenti, avrebbero ferito come quelle parole.
Come quando vediamo la terra dividersi in due parti
con tutte le venature tipiche del terremoto,
così il mio cuore sembrava aprirsi..
Il più duro dei cuori avrebbe sopportato meglio
nella stessa situazione, quell'insieme di lettere?
chissà, io non ho quel cuore..
il mio lo conosci.
Non è nemmeno iniziata ma
avrei voluto che non fosse finita.
Quasi non capisco quello che scrivo,
come se tu leggendo queste stupide righe,
ti convincessi a non rinunciare a me.
Magari sarà così, ma non viviamo nelle favole;
Temo di vivere dove la realtà, non lascia spazio alla fantasia ed
Erroneamete ci confonde; ma chissà..
Magari sperare fa bene, si dice che sia una delle
Ultime cose a morire, la speranza.. ma il
Rumore delle nostre fantasie ci riporta alla realtà
che spesso, vediamo divertirsi con le nostre vite.
spero comunque di non perderti,
ormai conosci il mio cuore.
Come ogni volta, quando mi sentivo solo e lontano dal mondo nel quale vivevo, mi ritiravo in un piccolo parco della periferia della città. Là c’era tanto silenzio e potevo ascoltare la mia anima che piangeva. Ero così triste perché non potevo sfuggire alla povertà, a quella vita senza gioia e brutta. Avevo comunque una gioia: in quel parco c’erano tanti uccelli e il loro canto e il loro meraviglioso volo in libertà mi sollevavano un po’ dalla tristezza. Io tiravo fuori dalla mia tasca il pane, il mio cibo quotidiano, e lo dividevo con loro. Si raccoglievano intorno a me e mangiavano con tanto appetito le molliche. Poi mi salivano sulla testa, sulle braccia e iniziavano a intonare un canto struggente che mi penetrava nel cuore. Così trovavo la forza di andare avanti sui sentieri della vita.
Un giorno, quando davo da mangiare agli uccelli, dietro di me ho sentito un fruscìo, come se qualcuno stesse calpestando l’erba. Mi sono voltato e ho visto due occhi grandi e azzurri che mi guardavano con tanto piacere e ho avuto la sensazione che mi penetrassero nel cuore e lo accarezzassero.
Grande meraviglia! Gli uccelli non si sono spaventati e non sono volati via.
La ragazza si è seduta sull’erba di fronte a me. Pareva una maga venuta da un mondo di favola. Una voce calda mi ha chiesto come mi chiamassi. Io ho risposto che non avevo un nome, ma che ero quello che ama gli uccelli e il loro volo in libertà.
“Bella deve essere la tua anima, Quello che ama gli uccelli! Io ti seguo da tanto tempo e solo oggi ho trovato il coraggio di venire a parlare con te. Mi piacerebbe tanto che fossimo amici. ”
Subito la povertà si è risvegliata dentro di me, ha cominciato a battere i piedi, a urlare e continuava a tormentarmi. Era gelosa perché avrei potuto dimenticarla.
Agitato, mi sono alzato e, senza dire nessuna parola, sono fuggito. Sono fuggito con la vergogna nell’anima: non avevo il diritto di amare una ragazza così bella. Ho lasciato indietro
ROCCO HUNT, uno sfigato giovincello, si propone di trovar zitella, enunciando a se stesso: " Che AMEN sia, questa perdura desolazione"!
INFINITE VOLTE ha sofferto questo assurdo avverso.
GUARDANDO IL CIELO, un mai... e dimenticato BLU,
IL DILUVIO UNIVERSALE è una grana lancinante.
Prodotto un MEZZO RESPIRO dice: "ORA O MAI PIU'..." tentando SEMPLICEMENTE di fermare, o una o un'altra ragazza.
Non tutto sembra che vada bene. La prima approcciata, asserisce fermamente: "VIA DA QUI che LA BORSA DI UNA DONNA mollata in testa, spedisce indietro, con un vistoso bernoccolo.
Provato e... ancora offeso ritorna amaramente, come sempre, verso casa.
Nel VINCERE L'ODIO battente da tempo, FINALMENTE PIOVE un incontro amorevole, nei pressi dello STADIO. NESSUN GRADO DI SEPARAZIONE si prospetta e le risuona col cuore: "DI ME E DI TE è scritto nel libro del Fato" continuando con parole profonde: "UN GIORNO MI DIRAI, consapevole di quando starai vivendo, NOI SIAMO INFINITO nello scorrere sotto CIELI IMMENSI".
Proferisce tra sé... "QUANDO SONO LONTANO dai tempi bui, è proprio vero che IL PRIMO AMORE NON SI SCORDA MAI (e pensare che ha camminato solo mano nella mano). Lui già...
Non furono più SOGNI E NOSTALGIA non avrebbe mai più nutrito... per un passato cotanto sgradevole!
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