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Racconti amore

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La Ballerina

La platea è gremita da giorni ormai. È un piacere entrare in scena, far loro ascoltare quello per cui erano venuti e poi lasciare il palco tra rose e scrosci di applausi.
Ogni sera, in un altro teatro, lei danza leggiadra. Finisce sempre un’oretta dopo e così ho tempo per andare a vedere gli ultimi momenti dello spettacolo.
Conosco il guardiano dello stabile; mi fa entrare dal retro, in cambio gli offrirò da bere, ma più tardi, quando il mio cigno si sarà posato e i miei occhi non avranno più nulla da guardare.
Eccola…Sta scivolando, fluttuando, volando. Il suo corpo fatto onda interpretativa della musica è allo stesso tempo compositore del migliore degli arrangiamenti, personificazione delle note innalzate a guide per la creazione di un nuovo universo, di cui sono stelle, mari, terre e venti; in esso la ballerina è Sole, splendente fonte di vita, e dea creatrice, le sue perfette posizioni diventano leggi fisiche in un mondo di leggerezza e armonia, in cui nulla è banale, le parole non contano e il mezzo espressivo è una sensualità completamente sottoposta al volere dell’animo.
Ogni finale è un Apocalisse: la perfezione si esprime nella sua completezza in un crescendo orgasmico di suono e movimento; l’intera materia universale si uniforma e implode in un unico atomo perfetto e indivisibile, da cui tutto è sempre dipeso e che nessuno ha mai visto. Poi buio e silenzio.
La osservo uscire di scena; anche stasera non troverò il coraggio di andare a conoscerla. Non sono alla sua altezza, da musicista squattrinato quale sono. Il sogno mio più grande sarebbe vederla danzare su una mia composizione, mettere le mie note al suo servizio, aiutarla a ricreare uno di quei magici mondi.
Do due spiccioli al mio amico, non ho voglia di bere con lui oggi.
Fuori per la strada non c’è nessuno, nel silenzio del marciapiede ancora riecheggia la sua leggerezza. Ora danza senza musica, libera dall’ultimo impedimento verso l’eternità della sua

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   0 commenti     di: Andrea Borio


Incontro Fortunato

Conobbi Francesca in un giorno di pioggia.
Passeggiava sulla riva del mare senza un ombrello che la proteggesse dal violento acquazzone che veniva giù da un cielo plumbeo e pesante di un freddo pomeriggio di marzo.
Era uno di quei tipici giorni in cui ci si lascia vincere dalla voglia di rimanere in casa, seduti sul divano, a sfogliare i vecchi album del passato.
Forse fu proprio per quello che quel pomeriggio uggioso, decisi di indossare l' impermeabile, spalancare l'uscio del mio monolocale, afferrare il primo ombrello che trovai a portata di mano e dirigermi verso la spiaggia dell'Arenella.
Mi è sempre piaciuto passeggiare sulla riva del mare in inverno, respirare il profumo agrodolce della salsedine e nutrimi di quella fitta nebbiolina che si alza nell'aria appannandomi le lenti degli occhiali.
C'era vento, quel giorno, un vento fastidioso che si infiltrava sotto i vestiti.
Gelide raffiche, che come mani invisibili, si aggrappavano ai miei abiti, quasi a denudarmi di essi.
Rabbrividendo mi avvolsi più stretto nel mio impermeabile nero e continuai a camminare, cercando sollievo alla pesantezza che avvertivo nella testa.
Era come avere il cervello pieno di ciottoli.
Tante pietre che si muovevano avanti ed indietro nel labirinto dei miei pensieri senza trovare una loro stabilità. Una massa informe di elucubrazioni e preoccupazioni aggrovigliati l'uno con l'altro.
Avrei voluto mettermi a testa in giù ed scuotermi, finché, quei ciottoli, ad uno ad uno non avessero abbandonato la mia testa, lasciandola, finalmente, vuota e leggera.
Dopo otto anni di un difficile e travagliato rapporto matrimoniale, da circa due mesi, avevo ottenuto il divorzio da mia moglie Serena, ma oltre a separarmi da lei ero stato costretto a subire un doloroso distacco anche da mio figlio Matteo.
Il tribunale, considerando il mio stato di disoccupazione, aveva preferito affidarlo a mia moglie che possedeva maggiori disponibilità economiche per ga

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Insanabilmente corrotto!

Padre ascolta, ti prego... a me porgi l'orecchio e odi, non è una preghiera ma il canto del mio cuore
che ormai saggio si volge a te, per sempre...
nella notte calma e fredda
mi chiedo se mai la gente sappia di te!
ho dipinto nel mio cuore parole amare
che di te nulla sapevano
dita costruire condanne nel tuo nome...
uomo creatura imbarazzante, mai ti chiedi se del male sei tu l'artefice
ogni vita che vola via, per dolori senza cura, dici<<Dio!!!>> e a lui fermi la colpa...
fede parola smarrita...
Padre la tua bontà è pari all'infinito, riconosco in te la sola persona che mai comprese il mio dolore
vedo le mie lacrime vestire un volto chiamato gioia
sento il mio cuore sollazzare tra la vita alla vita eterna, vinco la paura e scopro che esiste la risposta dietro lo specchio...
Se mai fossi tua lettera fa che su di me si legga il sangue versato dal tuo amore che vinse senza remore la morte...
ho trovato strane vie davanti alle mie, erano fatte di tanti corpi e cuori, ma in ogni luce o notte ho trovato quella ch tu chiami Parola, e che la gente esamina come reperto saffico...
non sono un essere speciale, nemmeno un miracolo immortale, sona una semplice figlia che crede nel Padre
il quale sempre porge la mano e per amore della mia vita, mi avrà sempre tra le sue braccia...
se costruissi fiori e creassi cieli, lo farei per dare gloria all''unico che amò la mia vita e diede se stesso ad essere arso...
Ora tu puoi non credere e deridere, beffeggiare, ribattere, non importa, non affronto... il cuore dell'uomo è insanabilmente corrotto!

   3 commenti     di: esther iodice


Perdonami Budapest

Sono vecchio, quattro passi mi faranno bene, specialmente in compagnia di un buon vecchio amico come te. Ma sono stanco. Quanto abbiamo impiegato per attraversare il ponte? Pause escluse, certo. Se penso che da giovane attraversavo il ponte di corsa, tutto di corsa da una parte all'altra del Danubio.
Mia figlia Eva dice che sono in gran forma, dice che non mi posso lamentare. E non mi lamento. Almeno ci provo. Credo di avere il cervello abbastanza lucido, ma il cuore un po' indurito.
A ogni passo mi affiorano ricordi di cinquanta e sessant'anni fa, ricordi che... Che non mi suscitano emozioni. Perché, vedi Jacob, io per ricordare ho bisogno di una scenografia adeguata, viceversa, sarebbe per me come vedere l'Amleto sul palcoscenico addobbato per il concerto di una pop star. Tu non hai mai lasciato Budapest, per me invece è diverso.
Riconosco ogni strada, ogni statua, ogni albero della città, ogni traghetto, ogni onda del Danubio ha un sapore familiare. Ma questa città moderna, europea, libera, queste vetrine addobbate, questi marciapiedi zeppi di ragazze che sorridono con le unghie colorate non rappresentano certo una scenografia adeguata per i miei ricordi.
Nella Budapest dei miei ricordi giovanili non splendeva mai il sole. Per raccontarti di quando ho conosciuto mia moglie, mi occorrerebbe un cielo nuvoloso, avrei bisogno di un'aria umida e pungente, magari di un po' di pioggia. Avrei bisogno di una luna che stia lì sopra a spiarci per riferire ai compagni dirigenti quello che loro da qui non riuscirebbero a vedere. Io ho conosciuto mia moglie al... Tu, dove hai veduto per la prima volta la tua? Mio figlio ha conosciuto la moglie alle cascate del Niagara, era lì in vacanza premio per... Scusami Jacob, i vecchi divagano. Adesso mi concentro e ti rispondo: io ho conosciuto mia moglie al Commissariato di Polizia.

Alle 13:30 del 10 ottobre 1956, Ferenc Dozsa e Szilvia Brawen uscirono dal Commissariato di Polizia di un quartiere orientale di Budapest.

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   0 commenti     di: Angelo Pozzi


La fine delle illusioni

La vita non è quella che crediamo che sia, quando siamo giovani. Da giovani crediamo agli amici, crediamo alle donne, crediamo all'amore. Da giovani il tempo sembra lunghissimo, senza fine, e la morte sembra una chimera.
Poi arriva la maturità, l'esperienza, la saggezza. Il tempo si accorcia, il mondo si abbrutisce, le illusioni sfumano e vediamo la realtà. La brutta realtà, che però essendo reale, ha un maggior valore.
Da giovani ci divertiamo a vivere nelle belle illusioni; da vecchi viviamo la brutta realtà, alla quale si accompagna un senso di amaro e di sconfitta. Tutte le illusioni cadono come cristalli colorati che si spezzano contro la realtà. Ma le schegge delle illusioni feriscono l'anima in maniera dolorosa.
La prima a crollare è l'illusione dell'amore. Quando l'uomo capisce che l'amore è solo una illusione, una fame insoddisfatta di sesso, allora di colpo la vita diventa grigia. Eppure questa è la realtà, e la realtà ha un grande valore e bisogna accettarla.
Poi crolla il paradiso del sesso; un'altra grande illusione che serve solo per procreare.
La realtà si fa sempre più buia, prosaica e tagliente. Eppure essa è preferibile ai dolci inganni.
Successivamente cadono le grandi passioni, l'amicizia, gli ideali. E l'uomo rimane solo davanti alla Morte, che è l'unica certezza della vita. Malattie, sofferenza e morte.
Ma l'uomo non può vivere senza sognare. Quando arrivo a questo punto io volontariamente mi isolo dentro nicchie di illusioni, fingendo di credere ancora all'amore, al sesso, all'amicizia. E dentro questi fragili ripari, ritrovo la forza di proseguire il cammino della Vita.

Dicembre 2002

   0 commenti     di: sergio bissoli


Lacrime e pioggia

Pioggia. Poggia che cade fitta dall'alto come fredde lacrime irrefrenabili sul volto livido del cielo. Giorgia e Marco sono seduti su una panchina all'interno di un parco pubblico, stretti in un morbido abbraccio, abbandonati l'uno contro l'altra, con gli occhi socchiusi. Lacrime bagnate di pioggia scorrono lungo i loro visi. Capelli che si incollano alla fronte, abiti, ormai trasparenti, che grondano acqua. Sapore di pioggia sulla lingua. Odore di fango sotto le scarpe. Rumore di macchine che corrono via in lontananza attraverso una strada buia. Brividi di freddo scorrono lungo la schiena di entrambi, respiri ambigui e fiato si mozzano sotto la cupola di un inutile ombrello nero che Giorgia affera nel palmo della sua mano, lanciandolo, nervosa, sull'erba bagnata, lasciandolo giacente ed inerte a patire su quella terra intrisa di lacrime di stelle. " Ho freddo... tremo. Stringimi più forte a te. Marco. Ho paura... aiutami". Aprile. Notte tiepida, notte senza luce. Le margherite ormai addormentate reclinano la loro corolla appassita sotto quell' amara pioggia inspettata, attendendo un alba primaverile che le ridesti da quel torpore indesiderato. Una mano candida e pallida come la luna che giace sotto le nubi cariche e grigie di rabbia, si avvicina ad una di esse e la stradica via dal suolo senza alcuna pieta, lasciandola pendere per qualche istate tra le dita bagnate di pioggia e di pianto, con le radici ancora sporche e umide di terra e erba secca. "Andiamo a casa, Giorgia. Non possiamo più restare qui. Rischi di prenderti una polmonite". Giorgia lo guarda con lo sguardo pregno di tristezza, si morde le labbra, si fa male, ed infila le unghie nel palmo della mano fino a ferisele, fino a farle sanguinare. Un rigolo nero di mascara scende giù dai suoi occhi chiari senza risucire a frenare la sua corsa prima di giungere a toccare le sue labbra esangui. "No, Marco. Io devo rimanere qui. Devo aspettarlo ancora. Lui mi aveva promesso che sarebbe venuto.. devo

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   4 commenti     di: Eleonora Rossi


Tutto con un sms

“1 nuovo messaggio” è la scritta apparsa sul mio cellulare, quel telefono che ho ormai da tre anni, un po’ ammaccato e con qualche tasto poco funzionante. Quel telefonino che aveva visto e risposto ai messaggi più strani, più stupidi, ma anche quelli più importanti, ma mai mi sarei aspettata di leggere ancora quel nome. Lo spengo, voglio metterlo via, non lo leggerò, eppure il mio dito va a riaccenderlo, quel nome è ancora li, in cima a quell’sms così lungo, li scrivevi sempre così tu, messaggi chilometrici che passavo ore e ore a rileggere. Che faccio? Lo leggo? Sono due anni che non ti fai più sentire, tante volte mi sono chiesta il perché, il motivo che ti aveva spinto ad escludermi così dalla tua vita, dal tuo cuore.
E senza preavviso i ricordi cominciano a riaffiorare nella mia mente, prima come immagini sfocate, poi, sempre più nitidi, mi stupisco di non opporre alcuna resistenza a quell’onda di emozioni e sentimenti che avevo riposto in un cassetto polveroso, in un angolo del mio cuore, e che ora torna a bagnarmi gli occhi.
Ci eravamo conosciuti al campo estivo, ricordi? Tu eri il mio animatore, sono bastati tre giorni perché mi rubassi il cuore, tre come le parole che mi sussurrassi quando dovetti andarmene, quella frase che nessun altro prima d’ora aveva mai pronunciato con tanta sincerità e armonia, Ti Voglio Bene. E da li sono stata tua, quei tuoi ragionamenti così complicati, quella tua musica così soave e armoniosa, quel tuo sorriso così sincero, e quei tuoi occhi, che sapevano farmi giocare con le stelle. Come una piccola bimba sperduta pendevo dalle tue labbra, e tu raccoglievi i miei dubbi e le mie domande, e ne davi sempre una risposta, con te sono cresciuta, dentro e fuori.
E poi, quel fatidico giorno, quel magico momento in cui, sotto casa tua, mi prendesti la mano. Ricordi? Stavamo sempre li a parlare, come due piccioncini innamorati, anche se non lo eravamo. Mi guardasti negli occhi, nelle mie iridi castane, e l

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   8 commenti     di: Anna Bona



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