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Racconti autobiografici

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La sorella del prete

"Per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla passeggiata verso casa, sulla sera del giorno 7 novembre dell'anno 1628, don Abbondio, curato d'una delle terre accennate di sopra: il nome di questa, né il casato del personaggio, non si trovan nel manoscritto, né a questo luogo né altrove. Diceva tranquillamente il suo ufizio, e talvolta, tra un salmo e l'altro, chiudeva il breviario, tenendovi dentro, per segno, l'indice della mano destra, e, messa poi questa nell'altra dietro la schiena, proseguiva il suo cammino, guardando a terra, e buttando con un piede verso il muro i ciottoli che facevano inciampo nel sentiero: poi alzava il viso, e, girati oziosamente gli occhi all'intorno, li fissava alla parte d'un monte, dove la luce del sole già scomparso, scappando per i fessi del monte opposto, si dipingeva qua e là sui massi sporgenti, come a larghe e inuguali pezze di porpora..." (Alessandro Manzoni, "I promessi sposi").
Stava di casa, il don Abbondio di cui non ti parlerò, in una frazione di una frazione, in fondo ad una valle dell'entroterra ligure. Scofera e Boasi le due località più vicine. La strada provinciale passa in alto, e uno sterrato di circa tre chilometri porta alla piazza della chiesa, dove terminava improvvisamente, una curva, la chiesa e la piazza. Sterrato che ad ogni votazione veniva asfaltato per circa 200-300 metri, a spese del candidato di turno che desiderava approvvigionarsi di voti. Così, nel volgere di circa 20 anni, l'asfalto deve essere arrivato alla chiesa, anche se io non l'ho mai visto.
Paese di vecchi, in cui passavo un mese estivo ogni anno da mia nonna Caterina, con il suo compagno Pietro. Non un bambino, pochissimi giovani che tornavano unicamente il fine settimana da Genova, e non tutti i fine settimana. L'acqua da prendere alla fontana del paese, distante, troppo distante per mia nonna, che partiva con due secchie da 10 litri, faceva il pieno, e rientrava, ingobbita sotto il peso. Galline e co

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   4 commenti     di: Nino Dal Borgo


Come si fa a non volare?

.. Rosy, sei tu? ti ho chiamato tre volte.. non c'eri.. il telefono era occupato.. ha risposto una voce d'uomo, poi, ha risposto una donna, ha detto che non c'eri.. io, ho detto che ti volevo salutare.. ti hanno salutato?
.. Rosy, io non ce la faccio più senza vederti.. da un mese.. stai zitta, aspetta.. sono stato male, un incidente, l'ospedale.. Rosy, non ce la faccio più.. sapessi come ti voglio, anche solo per vederti.. ti prego vienimi a trovare, non posso camminare, però ti posso amare... Rosy!
allora, sta zitta.. non hai capito, Rosy? io non potrò mai.. mai abbandonarti, Rosy.. non ti lascerò mai, mai, mai.. se non lo farai tu.. non lo fare, vieni Rosy..
sapessi, mi sento tutto.. solo a sentirti.. tu, non puoi capire, Rosy.. devi VOLARE, capito?

.. come si fa a non volare..? come si fa? a non volare? a non volare.. come si fa?
può farsi? chi può? io, no.



Storie di miserie umane la settimana prima delle ferie

La settimana prima delle ferie una pensa di starsene un po' tranquilla in ufficio, con l'aria condizionata, a raccogliere le idee per quello che dovrà fare in vacanza, ma non è stato così per me.
Uno dei primi giorni di lavoro, la collega che mi formava, mi spiegò che tutte le persone che varcano la porta del mio ufficio sono in un momento di disagio perché in lotta con quella che sembra essere la merce più rara al giorno d'oggi: il lavoro. C'è chi lo ha perduto, c'è chi non lo ha mai avuto, c'è chi probabilmente non lo avrà mai, e poi ci sono le miserie umane. Si sentono tante storie in quell'ufficio, alcune superano il limite della professionalità e ti lasciano un segno dentro.
Ci ha messo un po' a compilare la domanda di lavoro, era molto impegnata e preoccupata di sbagliare ad inserire i tanti dati che le venivano richiesti. Quando è stato il momento del colloquio ho notato i lineamenti del suo volto, sottili ed eleganti, sul collo taurino una collana con tre piccoli pendenti, ma non ricordo la forma precisa. È partita in quarta, e la sua franchezza, tipica delle persone semplici, mi ha fin da subito spiazzata. Mi ha raccontato di un padre che non l'ha fatta studiare perché secondo lui sarebbe stato inutile. Lei comunque si è fatta strada e a quindici anni ha cominciato a lavorare in un'azienda di pellami. Lì ha imparato tutti i segreti della lavorazione conciaria. Poi finalmente dopo diciannove anni di lavoro ha scoperto di essere incinta. La gioia ha presto lasciato posto all'angoscia, il bimbo che portava in grembo aveva seri problemi. Le è stato consigliato di interrompere la gravidanza, ma lei, probabilmente cresciuta tra: casa, chiesa e lavoro, ha detto no. All'ottavo mese ha partorito il suo bimbo morto e, forse, dentro è morta un po' anche lei. Ha fatto i suoi tre mesi di maternità, le avevano detto che ne aveva diritto. Ritornata al lavoro, il lavoro non c'era più, al suo posto una lettera di licenziamento per riduzione del persona

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   1 commenti     di: Chiara Zaupa


Lui

Era passato mezzogiorno da un pezzo, ero stanco per la camminata sotto l'immensa parete della Tofana di Rozes e mi meritavo qualcosa da mangiare.
Così parcheggiai l'auto all'ombra della chiesa e attraversai la piazza verso il noto ristorantino con i tavoli apparecchiati sotto una tettoia, davanti alle montagne assolate.
Passando vicino alla fontana dalla fredda acqua perenne, vidi che vi sostava vicino un personaggio allampanato e tutto coperto di stracci. Aveva i capelli lunghissimi e lanosi, bianchi e neri, e due occhi azzurri spalancati e quasi meravigliati.
Parlava tra se', come fanno spesso queste povere persone, che vivono una strana vita solitaria e senza bisogni ne' sogni, ne' speranze, senza amici, senza casa, senza nulla.
Mi guardo' e io lo guardai, ciascuno con il proprio punto di vista sull'altro, e capii qualcosa di inafferrabile e di inquietante.
Pensai di dargli qualche spicciolo, ma intanto lo avevo superato e sarebbe stato brutto frugare nel borsello e tornare da lui, troppo eclatante la carità, forse offensiva per quegli occhi innocenti e penetranti.
Così mi ripromisi di dargli i soldi al ritorno e pranzai in fretta con un occhio all'ipad e un altro alla fontana dove lui stava.
Per pagare, dovetti entrare alla cassa e, quando uscii per tornare all'auto, il personaggio non c'era più. Al suo posto, tre uomini e una coppia si dissetavano alla fontana, e lui si era così allontanato, per quel pudore e quella timidezza tipici in queste persone solitarie.
Ne fui dispiaciuto, come di un'occasione perduta, come se quell'uomo mi avesse lasciato in debito verso di lui ed il suo infinito bisogno.
Ma il giorno seguente lo rividi.
Era prima mattina e faceva fresco, quasi freddo in quel paese in quota.
Sono solito portare i cani al primo giretto e comprare i giornali, prima di colazione. Cosi' ero sceso in paese con l'auto e avevo parcheggiato sulla strada di mezzo: lui era la', fermo sul ciglio, a non far nulla, sempre ingolfato d

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   2 commenti     di: Gaetano Giavoni


Sinistri presagi

Da un po' di tempo le mie notti non erano più le stesse. A notte fonda sentivo un bruciore alla palpebre, il respiro diventare affannoso e una sudorazione incontrollata mi inumidiva ogni parte del corpo.
Consultai il mio medico che mi misurò la pressione e mi prescrisse le analisi del sangue e quelle delle urine. Il risultato delle analisi fu confortante, ma il mio malessere continuava ogni notte.
Un giorno lessi una strana pubblicità: "Al Mago della Torre, ogni quesito puoi porre!" mi piacque. In fondo anche da me c'era una Torre che dominava le acque di un laghetto artificiale. Forse quello poteva essere un benefico segno del destino.
Lo contattai e presi un appuntamento. Il Mago della Torre era un uomo alto e magro, il viso scavato con gli zigomi evidenti, gli occhi possedevano un tenue riflesso iridescente, mentre una barba scura dava a quel volto un aspetto mistico.

Con una voce appena udibile, mi chiese quale fosse il mio problema. Gli accennai i miei fastidi notturni. Mi chiese che cosa facessi e quali fossero i miei sogni. Gli raccontai che ero un dipendente di una grande Azienda e che nel corso degli ultimi dieci anni, avevo cambiato per almeno dieci volte l'azienda di riferimento nella quale ricoprivo l'incarico di consulente telefonico.

Quando iniziai a sforzarmi di ricordare i miei sogni, di colpo compresi che il mio malessere era associato alla mia attività lavorativa. Questo era l'incubo ricorrente; "mi trovo in postazione, quando d'un tratto il silenzio viene squarciato dallo squillo del telefono. Dopo il primo trillo, rispondo: Comune di Velletri. Buongiorno! Sta parlando con Fabio, come posso esserle utile? Dall'altra parte del filo la voce incerta di un cliente del Banco di Sardegna che vuole ricevere conferma degli ultimi movimenti del suo conto corrente. Con sommo imbarazzo mi accorgo di aver sbagliato presentazione! Ho risposto ad un servizio che svolgevo quattro anni prima".
Com'era possibile tutto ciò? Intuisco di avere ta

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   0 commenti     di: Fabio Mancini


La mia cornamusa ha due baffi e lunghe basette

Seduto sui ricordi di un pomeriggio in un giorno da cani provo a scacciare i pensieri che mi riportano indietro nel tempo e mi perdo dietro due lunghe trecce ed una corta gonna a colori vivaci.
Lei mi sorride e parla dei suoi problemi ed io, pieno dei miei ed in silenzio, provo ad allungare con lo sguardo una mano e riesco a sfiorarla con la mente.
Immagini sfumate che ora tornano nitide e che, subito dopo, lasciano posto ad altre perse dietro il verde delle foglie d’alberi maestosi di un bosco ancora inesplorato.

Il mio tormentato e inaccessibile passato, prossimo futuro di un congiuntivo oscuro ed inarrivabile e pensieri più modesti ma attuali che pure mi sfiorano nel grande caos del momento. È impenetrabile la mente, traccia sentieri che s’intersecano al primo bivio o che corrono in parallelo lo stesso spazio senza mai confrontarsi. Pensieri grandi come la coscienza, l’essere e il sentire o miseri, umani e banali come il pranzo, una scopata, una partita di calcio, una poesia o un racconto in rete.

Scrivere tanto per scrivere. Scrivere per stupire e stupirmi o per immaginarmi scrittore o, peggio, poeta. Scrivere per sognare e trovare un appiglio e non lasciar scappare le emozioni e i pensieri che mi tengono in vita e che danno senso e ragione ai fatti e alle circostanze del giorno. Scrivere di se per fermare sensazioni, immaginando di poterle condividere e riscriverle nelle sensazioni e nelle emozioni degli altri. È questo il senso e la ragione o soltanto un’altra illusione.

Montagne di testi che si sprecano nell’indifferenza o si perdono dietro banali commenti superficiali. Non è più il tempo di speranze o di successi a basso costo: è il giusto prezzo per una popolarità irreale che non può dare senso ad una vita sprecata dietro un p. c. alla ricerca di un’identità virtuale spesso mascherata da un nick-name banale.

E ritornano in mente le stupide ed inconfessabili motivazioni che rendono possibile questa vana tenta

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22 Marzo

... oggi non ho voglia. di scrivere. c'è chi non ha voglia di uscire. chi di vestirsi. chi non ha voglia di spogliarsi.
c'è chi non ha voglia di lavarsi. chi non ha voglia di cucinare. chi non ha voglia di portare a pisciare il cane.
c'è chi non ha voglia di aprire l'ombrello. chi non ha voglia di guardare fuori se piove.
c'è chi non ha voglia di cambiare lo spazzolino. chi non ha voglia di ridere. chi non ha voglia di bagordare. chi non ha voglia di niente.
c'è pure chi non ha voglia di aver voglia.
io, non ho voglia di scrivere. ma delle altre... sì.




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