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Racconti autobiografici

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Bella

Occhi di lago, bocca di fragola, corpo di donna.
Morbido e forte, da stringere, toccare, mordere.
Questo pensano, tutti.
Lo pensano subito, senza nemmeno chiedersi quale sia il mio nome.
Non si curano dei miei pensieri, dei miei sogni, nessuno vuole sapere se sotto questi capelli castani c'è una persona che ragiona.
Ci pensano solo dopo, dopo aver capito che non ci sto, che non possono avermi.
Ogni amico che ho avrebbe voluto portarmi nel letto.
A volte vorrei non essere così, vorrei essere come tante altre, anonima, per poter vivere tranquilla, senza rischiare ad ogni passo di rovinare tutto, di far cadere qualcuno in una rete che non sapevo di aver teso.
Soprattutto se a quel qualcuno tengo particolarmente.
Come te.
Sei arrivato per caso nella mia vita, e pensavo di esserti antipatica, con quel tuo modo di fare assurdo mi stavi allontanando, ma ti ho capito e mi sono avvicinata.
Troppo.
Ti capisco come tu capisci me, stesso carattere in due persone totalmente diverse, e la rete si è tesa da sola, per te, che l'hai vista e ti ci sei buttato dentro.

Ne hai tesa una per me, ieri sera.

L'ho vista e mi ci sono buttata dentro, chiedendoti il permesso.

Ora non mi parli più.

   5 commenti     di: Erica C.


Contrasti e segreti

Per una dolorosa esperienza personale mi colpiscono molto i contrasti che nascondono sempre dei segreti. Anni fa sono stata in un posto di una bellezza quasi sconvolgente, un piccolo insieme di isole francesi lontane da qualunque altra località francese ed in mezzo all'atlantico del Nord. Si tratta Saint-Pierre e Miquelon che è una curiosa collettività d'oltremare della Francia. Consta di un gruppo di otto isolotti montuosi situati nell'Oceano Atlantico a sud di Terranova. L'isola più estesa è Miquelon, separata da Saint-Pierre (26 km²) dallo stretto di La Baie. Ebbene in questo posto meraviglioso per il blu del mare e il verde della campagna pare vi siano abitate persone spietate che dapprima si dedicavano ad una strana forma di pirateria, nel senso che essendo uno scoglio insidioso in mezzo all'oceano pare facessero volutamente affondare le navi di passaggio perché poi, salvando i malcapitati, potevano impadronirsi di tutto il prezioso carico e suppellettili e tesori della nave.
Sull'isola esiste ancora oggi una specie di museo che illustra tutti i numerosi naufragi quasi con orgoglio. Essendo poi un avamposto francese in mezzo a territorio canadese, gli abitanti si sono industriati durante il proibizionismo per fiorentissimi commerci di contrabbando di liquori. Ed oggi? Oggi sono tutti o quasi impiegati pubblici che il governo francese invita a rimanere per mezzo di uno stipendio statale e questo paradiso naturalistico è abitato da una strana popolazione di pigri mantenuti: l'unica scusante è il clima terribile che li tiene isolati per un lungo inverno, dove una nave non sempre riesce a raggiungerli tra i ghiacci nordici.
Le bellezze naturali si accompagnano spesso a queste forme di abbruttimento, esistono malghe alpine in posti meravigliosi dove però gli abitanti estivi pare non escano quasi mai dalle buie baite e la dura vita degli alpeggi li rendono scorbutici con gli escursionisti ai quali non sanno nemmeno descrivere i sentieri per le cime che

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Il quartiere stretto

Il mio quartiere sembra una prigione a cielo aperto...
alzo gli occhi al cielo tutto mi sembra immensamente grande.
Mentre cammino mi sembra di essere una trottola che gira a vuoto,
nessuna meta, nessun pensiero.
Ad ogni sospiro segue un groppo in gola, mi guardo intorno e non mi riconosco in nulla o forse sono talmente simile a quanto mi circonda da non notare alcuna differenza.
In questo quartiere che mi sta stretto, tutto è più stretto anche l'ansia che spezza i miei sorrisi, mi sforzo, ci provo, sorrido a tutti e ad ogni cosa, forse cosi tutto svanisce.
Sono due giorni che rotolo qua e la, non so da dove iniziare, mi dico che forse non so bene cosa voglio, invece lo so è solo che non so da dove iniziare per ottenerlo.

Ho sognato tanto io, mi sono stancata di farlo, non voglio sognare voglio vivere
ogni emozione, sfumatura, ostacolo, dolcezza, rabbia, lacrima, sorriso, ma lo voglio fare nella vita che mi appartiene.

Anche adesso le parole che scrivo mi appaiono tutte uguale oggi come quelle di ieri, dell'altro ieri.

Forse dovrei solo alzare la testa e smettere di vedere confini all'interno del mio quartiere, decidermi a fare la valigia.

Mi incammino, ormai è buio, mi raccolgo nelle spalle per il freddo, abbasso la tesa del mio capello per sfuggire agli sguardi, si forse dovrei farlo di alzare la testa e guardare davvero questo cielo, è immenso, sulla sua superficie si possono percorre molti passi tanti quanti ne posso fare nella mia vita.

Mi avvio verso casa, anch'essa stretta come questo quartiere, salgo le scale, apro la porta del mio mondo;qui mi sento rincuorata e al riparo da tutto ma non è questa la vita che voglio vivere, la vita è la fuori, per le strade, fra la gente, comincia ad essere stretto il mio mondo ho bisogno di fare quattro passi.

Richiudo la porta di casa, mi perdo nelle luci della città, mi perdo nei pensieri, mi sento parte di qualcosa di grande, alzo la testa, respiro più che posso, io la voglio vivere la

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Dopo il ferragosto

Chiudeva l'estate la scarpinata a piedi,
dopo il ferragosto, scalpitanti, la strada che si inerpicava in salita ed i chilometri eran tanti.
Scarpe da ginnastica ai piedi per affrontare la fatica del percorso, ed uno zaino e una borraccia di acqua fresca, sul dorso.
Per dissetare la sete di vita, di novità, anche essere giovani, ha le sue difficoltà.
Zio Ezio in testa ed i cugini al seguito ed il fedele cane che abbaiava all'aria, alla salita, alle auto, alla camminata, povero cane, per lui, la strada è terminata.
Ed ogni curva conquistata dietro c'era la vita, l'inizio di un'estate, che era già finita.
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Poi la vedetta gridava - terra!- ed in cima alla collina lo scorgevo da lontano, piccolo e colorato su quell'altopiano.
Monteguiduccio, paese della mia infanzia, del mio cuore, una leggenda che da bianco e nero riprendeva colore. Abbarbicato fra le colline di girasoli e stoppie gialle, fra le ginestre sfiorite mi appariva con spensieratezza, e mi sembrava bello e grande, nella sua piccolezza.
Scorgevo il cimitero ed i filari dei cipressi, la chiesa, il campanile, il monte della croce, la casa dei Belloca, Casarotonda lo guardava, innamorata persa, laggiù, nella valle fatata.
L'uva cominciava a far capolino e le pannocchie di mais già da raccogliere, aspettavano la falce a capo chino.
Arrivare stremati e lasciarsi andare dentro il suo abbraccio ed il sapore della mortadella, comperata nello spaccio.
Respiravo già da allora i ricordi bambini, mi giravo, qualche anno e tornavano vicini.
Oggi tanti ne son trascorsi da allora, non abbiamo la forza, o fose la voglia o il coraggio, perchè è cambiato tutto, anche quel caldo abbraccio.
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È strano tornare e trovare ancora le tracce di un passato ma scoprir con amarezza che già quel tempo è andato.
Si è allontanato fra i sorrisi ed i volti che mi davano del tu, quelli che conoscevo ormai non ci son più.
È strano

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   9 commenti     di: laura marchetti


Sarò di nuovo papà!

"Sarò di nuovo papà!", ho annunciato emozionato a mio figlio per telefono ieri l'altro.
"Di nuovo, pa'? Ma allora è un vizio", mi ha risposto lui sghignazzando, e ha aggiunto " E la madre è un'altra ballerina?"
Non mi è piaciuto che sghignazzasse. Io sono veramente emozionato.
La madre, stavolta, non è una ballerina bianca ma una tortora dal collare. Però anche lei ha nidificato tra i rami del rosmarino prostrato che ho sul balcone. Evidentemente è un posto comodo e sicuro e si fida di me, sa che non le darò fastidio. Io le ho già collocato non lontano dei semini e una ciotola con l'acqua e, quando nasceranno i piccoli, le procurerò anche lombrichi e vermetti, come feci a suo tempo con la ballerina.
Mio figlio può sghignazzare quanto vuole. Io mi sento papà.



Pranzo, cena e

Mangiare. Nutrirsi.
Assaporare il cibo dal profondo.
Provare godimento a introdurre in bocca qualcosa di gustoso.
No, niente di tutto questo.
L'ora fatidica del pranzo o della cena è stata per me un supplizio da sempre.
Sorvegliata a vista dal fratello maggiore, costretta a tenere gli avambracci posati sul tavolo alla distanza di trenta centimetri l'uno dall'altro( così parlava il bon-ton, da notare che non sono né nobile né ricca!), mai i gomiti appoggiati e costretta a non aprire bocca né mangiando e nemmeno quando nessun boccone si poneva come ostacolo alla parola.
I grandi, fratelli e adulti dovevano ascoltare le notizie del giornale radio.
L'unica volta che mi sono permessa di avvertire mia madre che sul fuoco il cibo stava bruciando sono riuscita con una mossa fulminea a schivare una patata lessa bollente lanciata direttamente sulla mia faccia. La stessa si è spiaccicata sul muro e vi assicuro che non è stata certo una scena da bon-ton vedere la massa giallognola scendere come un acquerello sulla parete verde della cucina.
Il commento non era gradito né permesso nemmeno al mio cervello. Lo sguardo di mio fratello era eloquente : Zitta!
Rimasta sola con mia madre vivevo un po' più serena le ore tredici anche se i divieti ricevuti da bambina mi ronzavano ancora nelle orecchie. Un altro rumore era subentrato nel frattempo.
Era il 1956 e finalmente il televisore aveva fatto il suo ingresso nella nostra casa. Era stato collocato in salotto e quindi per me era un evento quando rientrate tardi la sera mi era concesso portare la cena sul vassoio e mangiare seduta sul divano a guardare la trasmissione preferita.
E anche in quei frangenti niente dialogo...
Da sposata speravo di conversare con mio marito e mio figlio nell'unico momento che ci vedeva uniti.
E invece, no!
C'era lei, di nuovo lei, la voce estranea che usciva dalla scatola grigia prevaricando ogni desiderio di resoconto della giornata di lavoro o di scuola.
Mio figlio comme

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Lettera al figlio

Carissimo figlio,

lo so che non ami leggere, e che risolvendomi a parlarti attraverso la carta ti costringo a contravvenire alla tua natura, la quale ti tiene lontano dai libri come da pericolosi custodi d'insensatezze e illusioni. Di questo non ti faccio colpa, in special modo se mi soffermo col pensiero a ciò che sono io, a causa del mio smodato amore per loro. Ma, vi sono parole che bisogna assolutamente dire, perché hanno un senso, o forse perché non ne hanno, perché premono con forza ale porte del silenzio e, se non trovano da sole la via, va a finire che cascano su un pezzo di carta, e vi restano impresse, incancellabili, finchè altri occhi e un altro cuore non le accoglieranno. E'quello che è successo a queste parole, che sono qui dove non dovrebbero essere, a testimoniare una volta di più la nostra totale incapacità di preveggenza, riguardo le cose, finanche le più stupide. E non soo il luogo è inopportuno, quanto anche il momento. Anzi, a pensarci bene, non poteva essere più sconveniente, e quasi imbarazzante. Oggi è Natale, e di solito sono i figli a ficcare letterine fitte di promesse sotto i piatti dei genitori. Nemmeno tu sei potuto sfuggire, se ben ricordi, al doveroso testamento spirituale dell'infanzia, che giura esser possibilissimo un futuro a braccia conserte e bocca chiusa. Nessuno ci crede, soprattutto il figlio, che una volta ottenuto tutto il ricavabile da quelle sue innocenti farneticazioni, ritiene giunto il momento di farla finita, e ricomincia con raddoppiato vigore a recitar la sua parte, quella di figlio. Che gusto ci sarebbe ad esser figli assennati come genitori, o ad esser genitori dissennati come figli? Sarebbe interessante, ma un po' innaturale. Questo puoi giudicarlo da solo, ché mi pare proprio questo esser stato il nostro caso. Ciò è provato dal fatto che, oggi, sei tu a trovar la lettera sotto il piatto e, non possono esser stati altri che i tuoi genitori. Non ridere. Non è un'altra delle baggianate di tua mad

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