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Racconti su avvenimenti e festività

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Hysel

"E adesso, purtroppo, una notizia che devo dare, è ufficiale: ci sono trentadue morti".

Con queste parole Pizzul metteva fine alla mia passione per il tifo calcistico durata dieci anni.
Ero stato a seguire la Juventus diverse volte a Firenze e una a Torino, ma in quella partita vidi tutta la pornografica assurdità calcistica: nonostante l'accaduto ancora rincorrevano la sfera a pentagoni ed esagoni, sbandieravano, esultavano e festeggiavano.

Terminata la partita doveva andare in onda "Quelli della Notte" il programma cult di quegli anni, Arbore si collegò dicendo:
"Una regola dice che lo spettacolo, nonostante tutto, deve andare avanti".
"Stavolta trasgrediamo a quest'assurda regola".

Il gesto più sensato della serata.



Centodieci storico



Se fosse la mia Pasqua

Io volevo mettere un po' d'ordine, venni proprio per questo, ma il capo d'allora decise di lavarsene le mani e... mi adeguai a ciò che era stato deciso, ma...

Pilato, non dimentico…prendi una posizione per…! Assumiti le tue responsabilità!

Per colpa tua quante me ne hanno fatte: chiodi alle mani ed ai piedi, frustate, mi hanno obbligato a portare una croce, corona di spine e, per usare un eufemismo, deriso all’inverosimile.
Come da scrittura il terzo giorno resuscitai, un po’ incazzato per verità, potevano andarci un po’ più leggeri.
Iniziò subito male, i primi che mi videro fuggirono impauriti. Eppure lo sapevano che mi sarei manifestato prima di tornare dal Padre mio.
Tommaso poi, non ne parliamo, dovetti fargli toccare con mano le ferite. Comunque nel bene e nel male, riuscii a distribuire gli incarichi come da copione, e partii. Poi tutto degenerò improvvisamente, in soli 2000 anni avete fatto un casino, un casino che non vi dico. Ora che faccio? Torno per riparare gli errori,? Il Padre mio non è tanto convinto nel lasciarmi tornare, anzi mi ha detto, se vuoi vai, ma torna quando hai cancellato tutto. Togliamoci il problema e basta! Ricominciamo su un altro pianeta.
Mah, non sono convinto, mi sfugge qualche cosa. Certo, siete dei gran egoisti, a volte crudeli e stupidi, poi improvvisamente avete degli slanci di bontà che mi lasciano perplesso. In voi c’è del buono lo sento.
Ho deciso, vi lascio altri 2000 anni per mettere in ordine le cose, poi se proprio non cambiate torno, ma non a ripetere l’esperienza passata, vengo giù e puff…vaporizzati. OK?

   2 commenti     di: cesare righi


Aisha 3 l'idea

Ne ho discusso a lungo con Cesca, a letto, intrecciati come un cesto di vimini, il solo led della TV a dare luce alla stanza.

Con lei trovo la pace, con lei trovo la vita, con lei cerco di trovare anche la soluzione del problema di Tonio,
e la piccolina dopo un poco mi fa ”ma il tuo amico professore, cosa sa della vita privata di questa ragazza? C’è un’assistente sociale per il supporto psicologico nella sua scuola? Ha provato ad interessare anche non so, il preside, o qualche collega, al problema? O fa il Don Chisciotte tutto solo e disarmato come un certo PDL che tenero tenero, ha acceso un faro nella mia notte?

Francesca trova sempre il modo di farmi sciogliere il sangue nelle vene, che ancora oggi, mi stupisco come possa esistere per me, solo per me, una tale meraviglia.

Comunque, come al solito, è lei che ha avuto un’idea che suona plausibile, ci recheremo ospiti a casa di Tonio, e lui farà in modo di farla ”casualmente incontrare” con Aisha, e vediamo se l’intuito di Cesca potrà darci delle chiavi di lettura.

Un veloce giro di telefonate ed eccoci tutti a Lastra a Signa, nella villetta di Tonio, a cospirare come bolscevichi prima maniera.

Tonio ha idea di coinvolgere Helogher nell’organizzazione di questo”incontro”, e così, l’indomani, stessa stanza, stessi ”cospiratori” con in più la notevole presenza della ragazza di madre russa.

Il prodotto di questo conciliabolo è; Helogher organizzerà un raduno per alcune ragazze della classe, per festeggiare un qualcosa che si inventerà al momento, in un baretto fuori città, in zona Lastra a Signa appunto, e lì dopo un po’, per caso, ci recheremo Tonio Francesca ed io, poi, dopo la”sorpresa”di questo incontro fuori scuola, le dovute presentazioni, lasceremo tutto al caso ed all’improvvisazione di Cesca.

A guardare il luccichio negli occhi di Helogher e di Francesca, mi rendo ancora una volta conto, di quanto sia stato fortunato nel

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   4 commenti     di: luigi deluca


Primo romanzo

Il pomeriggio d'autunno mi imponeva di camminare a testa alta; lo sguardo spaziava tra gli alberi multicolori, mentre il vento strappava ai rami le stanche foglie gialle e rosse che, volteggiando come piccoli ballerini, andavano a depositarsi sull'asfalto grigiastro. Pensieri bambini affollavano la mente accavallandosi: se mai avessi dovuto rinunciare ad uno dei cinque sensi, di certo non avrei scelto la vista. I colori erano da sempre ciò che di più bello potevo immaginare e camminando con gli occhi che si beavano di quel vorticoso movimento rosso e giallo, nel cielo di nastri nuvolosi e azzurro intenso, mi chiedevo come un cieco li immaginasse. A intervalli regolari, me lo chiedevo da molto tempo, da molto prima che piccole rughe persistenti e odiose avessero segnato i confini del mio viso irregolare e tragico.
Nell'occhio entra la luce, l'immagine e il colore. E sarà il cervello, mi dicevo, che lo percepisce, probabilmente in una tonalità che varia da individuo a individuo, nel senso che io, M., vedo un rosso e un giallo che non è quello che vede C. guardando le stesse foglie. Ma un cieco dalla nascita, che conosce solo il nero, come farà a pensare un giallo e un rosso?
Avevo un senso di disagio crescente al protrarsi di queste riflessioni che continuavano anche se io non le tolleravo. Così, decisi di affrettare il passo, lungo quella strada conosciuta e sempre uguale, che ho visto mutare nel corso delle stagioni, un numero infinito e sempre finito di volte.
Ventuno minuti di percorso: il ritmo di una passeggiata, qualche volta ignara di lettura intensa. Non amavo l'auto pur considerandola una necessità, e non amavo le persone, perché pensavo fossero una minaccia per il mio già traballante equilibrio interiore. Perciò camminavo spesso a testa bassa o a testa alta, quando non leggevo. Dovevo avere un aspetto terribilmente inadeguato - me lo dicevo spesso - visto dall'esterno; ma la mia incolumità spirituale valeva l'atteggiamento estraneo

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Incontro ravvicinato - I parte

Parco delle Apuane - Mi sono ritrovato con gli altri componenti della spedizione a Ponte a Moriano, nella piazza principale del paese, erano le 16 in punto, come in precedenza telefonicamente programmato.
Tre fuoristrada di marca russa ci stavano aspettando. Quando la comitiva fu al completo, eravamo in nove, più i tre autisti.
Uno degli autisti, in jeans e T-shirt bianca mi è venuto incontro, ha chiesto il mio nome, poi ha detto agli altri: "Ora ci siamo tutti, possiamo andare!" ero io il ritardatario.
Ho preso posto su uno dei fuoristrada e ho caricato la sacca che mi ero portato dietro.
Tutti i componenti della spedizione avevano una sacca come la mia. Erano stati presi precisi accordi col gruppo Shado, un sacco a testa delle dimensioni di una sacca da ginnastica, con dentro solo apparecchiature da ripresa, nient'altro.
Siamo partiti e in breve siamo giunti nel Comune di Borgo a Mozzano, i fuoristrada hanno poi imboccato alcune strade sterrate che penetravano sempre più all'interno del Parco delle Apuane.
Ho chiesto all'autista in quale località fossimo diretti, ma lui mi ha risposto che si andava al campo base. Non ha voluto aggiungere altro.
Mi era stato detto che il luogo era un punto focale, già da tempo, per gli avvistamenti e che era costantemente monitorato dall'esercito: quale? l'aviazione, l'esercito italiano o la N. A. T. O.?
In passato qui era avvenuto un "incontro": di più non sono riuscito a sapere.
Dopo aver percorso vari chilometri tra selve di querce, faggi e vari tipi di conifere, i fuoristrada hanno raggiunto un prato, grande quanto un campo di calcio, incastonato tra il verde delle selve e, sul lato nord da una roccia che lo delimitava dal resto della montagna che solo in quel punto continuava a salire.
I fuoristrada si fermarono a fianco alla roccia e il campo era libero davanti a noi. L'erba era in più parti pestata e lasciava intravedere grandi solchi: doveva esserci transitato qualcosa di pesante. Non recentemente però, po

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Acherontia atropos (prima parte)

Avevo lavorato duro per tutta la giornata, ma almeno avevo terminato l'aratura. Il mattino era stato soleggiato, ma fin dal primo pomeriggio nuvole scure venivano riempiendo il cielo da ovest. Verso sera, mentre stavo liberando i buoi dal giogo, già si intravedevano i chiarori di lampi oltre le colline e si udiva il sommesso brontolio del tuono. Mi affrettai verso la fattoria. Accuditi gli animali, mi ritirai finalmente in casa. Avevo tutti i muscoli indolenziti, specie quelli delle braccia. Sono giovane e abituato a lavorare la campagna, ma guidare i buoi per un giorno intero non è faccenda da poco. In cucina mi aspettava un avanzo di minestrone da riscaldare. Da quando sono solo cucino sempre per due o tre giorni, così per un po' non ci devo pensare. Accesi la stufa e vi misi su la pignatta, presi dalla piattaia la scodella e un cucchiaio, prelevai anche un pezzo di pane dalla madia e disposi tutto sul tavolo per la cena. Stava facendosi sempre più buio: accesi la lampada sopra il tavolo. Volevo leggere un poco prima di mangiare, mentre la minestra si scaldava. Dallo scaffale presi la Bibbia del nonno. Era l'unico libro che possedevo; ma il nonno diceva che quello era il libro dei libri: bastava per conoscere tutto ciò che c'è da sapere. Lo posai aperto sul tavolo. In quel momento preciso si scatenò il temporale. Scrosci di pioggia e turbini di vento investirono la fattoria. Io non avevo alcun timore. La casa era solida, era lì da più di cent'anni e i miei vecchi sapevano come costruirle, le case. In mezzo al frastuono del temporale sentivo però il rumore di una finestra che sbatteva. Mi ricordai di aver lasciato socchiusa quella della mia camera, al mattino, per dare aria. Salii di corsa le scale. Non volevo che la tormenta scardinasse l'infisso. Mentre richiudevo le imposte, lottando contro il vento fortissimo, distinsi tra i molti rumori consueti del temporale un sibilo lamentoso, che sembrava seguitare ancora all'interno della stanza, dopo ch

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Aragona 1936: Destino Segnato

Correva da talmente tanto tempo da non riuscire neppure più a sentire il dolore alle gambe, quasi non fossero più parte del suo stesso corpo. Il bagliore dell’incendio alle sue spalle ormai era scomparso, eppure il giovane vedeva ancora la luce danzante inseguirlo sempre più vicino…
Così continuò a correre, giù dalla collina attraverso i filari di viti, per il campo di granturco, con le piante che gli sferzavano le braccia e le gambe, sempre più doloranti… e ancora attraverso un rigagnolo e poi di nuovo giù per un’altra collina.
Cadde, stremato, sulla terra annerita da un diverso, ma altrettanto devastante, incendio.
Si rialzò faticosamente e ricominciò a correre, furiosamente, disperatamente, come braccato dal demonio in persona.
Finalmente raggiunse i resti bruniti di una piccola casupola, la stessa che aveva visto dall’alto della collina. Sapeva di non essere ancora al sicuro, eppure non poteva più continuare a correre, doveva lasciar riposare almeno un poco il suo corpo esausto.
Cadde in ginocchio.
Si rialzò faticosamente, trascinandosi, e infine si abbandonò contro un muricciolo diroccato, quasi senza accorgersene si addormentò.
Riaprì gli occhi e si accorse con orrore di essere ancora nel monastero. La sua corsa era stata inutile? Lo avevano già trovato e catturato? O forse la corsa e la fuga erano stati solo un dolcissimo sogno e ora era tornato alla crudele realtà?
Intorno a lui uomini e ragazzi urlavano in preda al panico, mentre correvano in tutte le direzioni per mettersi in salvo e dal fuoco e dai colpi di pistola, lui era come paralizzato, non riusciva a muovere un muscolo. Continuava a fissare la porta ed ecco arrivare il Priore: il volto sereno, mentre si avviava verso i suoi carnefici, le mani rudi che lo afferravano, il povero saio che si lacerava e infine i colpi di spranga sulla schiena e le braccia nude. Miguel cercò di distogliere lo sguardo, non voleva e non poteva assistere a quella scena, eppure in quel

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