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Racconti su avvenimenti e festività

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Il Tizio Qualunque

Il Tizio Qualunque non è una leggenda. Io l'ho visto. Più di una volta.
La prima volta che l'ho visto ero al compleanno di una mia amica in discoteca. Giravo tra i tavoli e la pista da ballo senza fermarmi mai con un buon mojito in mano, quando ad un tratto... eccolo! Era appoggiato al muro della discoteca, aveva un golfino nero sopra una camicia anch'essa nera, i pantaloni non troppo attillati di un colore molto scuro (credo che fossero stati neri anche quelli o un blu parecchio intenso). La cosa che però mi attirò più di lui fu il cappello. Portava un cappello nero con degli occhiali da sole (Ray-Ban penso) e guardava la pista da ballo senza il minimo interesse ne verso i ragazzi, ne verso la musica. Pensai che fosse fuori come un balcone, tenersi gli occhiali da sole e il cappello in discoteca era la cosa più strana che avevo visto. Andai a chiamare un mio amico per fargli vedere lo strano tipo che avevo appena adocchiato, ma quando indicai il punto dove il Tizio si era fermato, lui non c'era più. Scomparso.
Poco dopo una mia amica sembrò avere problemi con un ragazzo. Il ragazzo era ubriaco fradicio e la mia amica cercava in tutti i modi di liberarsi dalla stretta del ragazzo che aveva serie intenzioni di provarci. La mia amica cercava espedienti per resistergli e per andarsene da lì, senza tuttavia riuscirci. Non so perché non feci niente per aiutarla, probabilmente ero l'unico che l'aveva vista in difficoltà, ma non mi mossi. Stavo quasi per lasciare la mia amica al suo destino, probabilmente sarebbe finita male dato che il ragazzo era parecchio ubriaco, quando l'ho rivisto: il Tizio Qualunque.
Il Tizio si mise in mezzo alla mia amica e al ragazzo sbronzo. Blaterò qualcosa al ragazzo che si allontanò come spaventato da un qualcosa che aveva visto. La mia amica strinse la mano al Tizio e dai gesti capì che lo aveva invitato a ballare, il Tizio scosse la testa e si dileguò nuovamente nella folla. Lo cercai tutta la sera. Non l'ho più rivisto,

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   0 commenti     di: Claudio


Il riposo del guerriero

Le recenti Amministrative ci hanno consegnato una mappa politica italiana diversa dalle aspettative del centrodestra. In pratica la partita si è svolta principalmente in quattro aree metropolitane, Torino, Milano, Bologna e Napoli. Ovviamente sono state interessate molte altre giunte comunali ma queste quattro sono le più indicative.
A Torino e Bologna la partita si è chiusa nei tempi regolamentari, ovvero al primo turno con l'elezione dei due candidati sindaci del centrosinistra, a Milano e a Napoli si ricorrerà ai tempi supplementari, alias ballottaggio a fine mese.
Se a Torimo e Bologna la sconfitta del centrodestra non pone alcun problema perché quelle aree sono quasi sempre state appannaggio della sinistra, tranne la parentesi bolognese di Guazzaloca alcuni anni fa, a Milano e a Napoli la situazione precedente prevedeva una vittoria al primo turno della destra. Così non è stato.
A Napoli si è addirittura corso in tre, Pdl Pd e Idv. A sorpresa il ballottaggio si farà tra Idv e Pdl. Eppure le premesse erano ben altre. l'arma in più della destra doveva essere la spazzatura perché su quella si è maggiormente incentrata la campagna elettorale. Le colpe dell'immondezzaio urbano erano addebitate all'amministrazione uscente, Berlusconi stesso è sceso come Federisco Barbarossa un paio di volte e, forte del suo carisma, ha costretto la spazzatura ha fare le valige e traslocare da sola verso gli inceneritori, un po' come quella pubblicità del panno antipolvere, tanto per intenderci.
Cosa, quindi, non ha funzionato nella campagna elettorale? Più d'una cosa, vediamone una insieme.
A Napoli oltre la spazzatura vera e propria vi è un altro tipo di spazzatura, quella politica, ed è proprio questa che non è facile da smaltire. Ultimamente scandali e dicerie hanno dilagato e costretto molti politici a fare come i piloti di formula uno quando si tolgono dalla visiera le mascherine trasparenti sporcate dei residui delle macchine davanti. Solo che per i pilot

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   8 commenti     di: Michele Rotunno


Eroe d'altri tempi

Ho deciso di narrare una storia che mi è stata trasmessa dai miei genitori, e che molte persone anziane nel mio paese conoscono. Si tratta di eventi che sono successi ad una persona ormai morta da tempo, quando era giovane e faticava per mantenere la famiglia.
Quindi si tratta di una storia di altri tempi, i tempi dei nostri nonni. Sono cose realmente fatte da un uomo di nome Giuseppe, che io trascrivo adesso per gioco come fossero "gesta mitologiche". Secondo quanto mi è stato narrato, questo umile agricoltore avrebbe affrontato due terribili draghi, una malefica strega, un licantropo, e un voglioso. Nel mio racconto cercherò di spiegare ciò che davvero può essere successo, il lettore comunque è libero di interpretazione.
I draghi
Tornando dal lavoro nei campi il protagonista di questa storia un contadino di nome Giuseppe si imbattè in due enormi e orribili serpenti tanto grandi e brutti che li definì draghi. Giuseppe ovviamente tentò di evitarli, ma questi enormi rettili lo aggredirono e con un colpo di coda alle gambe lo fecero inciampare, poi lo avvolsero e iniziarono a stritolarlo. Giuseppe però aveva una accetta e con urlo feroce degno di un barbaro del nord mozzò loro le teste, poi esibì a moglie e figli terrorizzati le carcasse dei due orrendi animali.
La strega
Un giorno una zingara persona che secondo il folklore siciliano possiede arti e poteri occulti, si recò da Giuseppe e chiese l'elemosina dicendo che aveva sei figli da mantenere. Giuseppe che era padre di una famiglia numerosa non se la sentì di rifiutarle il suo aiuto, ma in realtà non era tanto la pietà quanto i poteri ipnotici della strega che lo stavano plagiando.
La zingara chiese del pane e Giuseppe le diede delle focacce alle olive, chiese del formaggio e ne ebbe due forme, chiese della salsa e ne ebbe due bottiglie, chiese del companatico ed ebbe una confezione di sardine, ricevette anche dello zucchero e del sale. Non paga voleva dell'olio, ma a questo punto il buon

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Hysel

"E adesso, purtroppo, una notizia che devo dare, è ufficiale: ci sono trentadue morti".

Con queste parole Pizzul metteva fine alla mia passione per il tifo calcistico durata dieci anni.
Ero stato a seguire la Juventus diverse volte a Firenze e una a Torino, ma in quella partita vidi tutta la pornografica assurdità calcistica: nonostante l'accaduto ancora rincorrevano la sfera a pentagoni ed esagoni, sbandieravano, esultavano e festeggiavano.

Terminata la partita doveva andare in onda "Quelli della Notte" il programma cult di quegli anni, Arbore si collegò dicendo:
"Una regola dice che lo spettacolo, nonostante tutto, deve andare avanti".
"Stavolta trasgrediamo a quest'assurda regola".

Il gesto più sensato della serata.



Centodieci storico



Rosso

Il Professor Redford era fuori di sé, come sempre più spesso accadeva.
Seduto sulla sua poltrona, coperto da un plaid a quadri verdi e blu, farneticava nel suo mondo come sospinto su una zattera alla deriva.
Dietro di lui il balcone lo illuminava lasciando visibile solo la sua silohuette. Sapevo che i suoi occhi mi osservavano senza vedermi, mentre mi avviavo verso l'altra poltrona che gli stava di fronte dopo averlo salutato con affetto.
"Buongiorno Professor Red " gli avevo detto con un sorriso.
Era stato il mio professore d'inglese del liceo. Era gallese e se ne vantava. Aveva un buon accento italiano, non comune fra i parlanti anglosassoni e un aspetto poco britannico quanto il passato da rugbista. Era infatti un uomo di piccola statura, piuttosto leggero, con folti capelli neri picchettati di grigio. La stempiatura lo faceva somigliare a Lev Trotsky di cui condivideva anche l'ideologia; per questo nel nostro istituto tutti lo avevano soprannominato professor Red.
John Redford mi aveva osservata per un attimo e aveva sorriso dicendo:
"Ciao cara, da quanto tempo!"
Ero stata da lui il giorno prima, ma non lo ricordava.
"Siediti qui" aveva detto battendo col palmo della mano su un pouf che gli stava vicino, alla luce del balcone che affacciava sulle montagne viola, nel tramonto immobile. Seguendo il suo comando, mi ero seduta in silenzio, mentre lui si era girato a guardare fuori, poi mi aveva osservata nuovamente. Il suo sguardo faceva riaffiorare i miei ricordi.
Indietro nel tempo, mi rivedevo all'entrata del liceo, mentre mi spiegava quanto fossero importanti le acca aspirate nell'inglese standard. Mi parlava ed io pensavo di non aver mai visto in vita mia occhi più belli: un blu chiaro, compatto, intenso come certi mari lontani. Doveva essersene accorto, poiché ci eravamo interrotti in un breve silenzio imbarazzante senza alcun seguito.
Alla luce limpida che ci avvolgeva dai vetri del balcone, i suoi occhi erano ancora intatti, escluso per un

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Sposa di primavera

Era tutto pronto, era quasi l’ora.
La sposa ormai aveva indossato il vestito; preda delle sue stesse emozioni torturava l’orlo del pizzo, primo strato dell’enorme gonna che l’avvolgeva tutta come un vaporoso fiore di primavera.
I suoi capelli raccolti, adornati di rose bianche avevano il compito di attribuirle un aspetto da regina, ma i suoi occhi emanavano l’innocenza, lo stupore che si prova nel credere di essere destata in un sogno.
Eppure la stanza era tutta intrisa del profumo dei gigli che le erano stati portati in dono dai protagonisti della vita di sempre, eppure il sole aveva il calore dorato di ogni mattino, come mai si sentiva leggera, talmente leggera che le pareva di poter spiccare il volo come un gabbiano da un’altura?
La madre, che la conosceva da sempre, intuiva i suoi sentimenti e nascondeva il suo stato d’animo nella frenetica attività di sistemarle il vestito per le ultime foto da ragazza, in quel soggiorno che l’aveva vista crescere.
Pochi attimi ancora, pochi minuti e poi quella sua figlia sarebbe stata tolta dal calore delle sue ali per sempre, perché avrebbe preso a volare da sola insieme allo sposo che tanto amava.
Non tanti anni prima si reggeva a malapena sulle sue gambe ed aveva bisogno di mille cure e della sua presenza costante, perché presa dall’euforia del poter camminare, raggiungeva i posti più impensati destando in lei mille preoccupazioni.
Dove era la bambina che chiedeva i viaggi fantastici delle favole per poter dormire meglio, e dove, l’eco delle sue prime canzoni che imparava grazie alle suore e dove il balbettio delle sue prime letture, là, sul tavolo della cucina mentre lei era intenta a compiere i suoi doveri domestici?
Il tempo troppo breve della sua infanzia era ormai scaduto, ma le si era cristallizzato negli occhi che emanavano una dolcezza tutta nuova: la dolcezza di chi sta per diventare donna ed il distacco che la madre sarebbe andata ad affrontare di lì a poco ne era la prova.
La m

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La vicina di casa

Sara, è una ragazza cordiale, simpatica e forte, molto, forte.
Insomma è la vicina perfetta, sempre pronta a darti una mano se hai bisogno, anche solo per un pizzico di sale che distrattamente hai scordato di comprare.
Non molto tempo fa, Sara visse un momento che le cambiò la vita.
Era una fredda serata di febbraio, Sara era nel suo appartamento seduta sul divano, stava guardando in televisione una di quelle solite sit-com, che ti fanno sempre ridere anche quando hai avuto una giornata pessima.
Si era fatta una doccia, aveva asciugato i suoi neri capelli mossi, successivamente lisciati dalla piastra e si era truccata con cura.
Si era infilata il suo unico vestito per le grandi occasioni: era un modello firmato nero, fasciato sul seno, scendente fino alle caviglie. Delle bretelline di payette argentate partivano dalla fasciatura e andavano a finire dietro la schiena.
Prima di mettersi sul divano si era spruzzata il suo profumo preferito.
Si fecero le otto di sera e lei uscì di casa, quella sera si sarebbe incontrata con Paolo, il suo ragazzo che probabilmente le avrebbe chiesto di sposarlo.
Paolo stava camminando per una strada, buia e poco affollata, dall'altra parte del marciapiede si erano conosciuti tre anni prima, ed era lì che avevano l'appuntamento.
Fissava l'anello di fidanzamento, quel giorno glie lo avrebbe dato.
Era tutto organizzato aveva comprato un bellissimo completo e prenotato il ristorante più romantico di Roma.
Paolo stava attraversando la strada, una macchina ad altissima velocità sbucò all'improvviso. Fu un attimo, lo prese in pieno e scappò svanendo nel buio.
Sara arrivando vide Paolo, li ormai privo di sensi in mezzo alla strada.
Un brivido percorse la schiena di Sara si avvicinò piangendo, ma ormai non c'èra più nulla da fare, Paolo era morto.
Aveva un pugno serrato, dentro Sara trovò l'anello, il segno di un amore forte che probabilmente non sarebbe mai finito.
Per 2 mesi Sara non uscì di casa.
Dove era finita

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   4 commenti     di: Manuele Gallico



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