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Racconti su avvenimenti e festività

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Tre giorni a Taizè

Ho conosciuto Frère Roger nel 1981. Avevamo progettato, mio marito ed io, un viaggio a Parigi, in macchina. Chiesi di passare da Taizé e fui accontentata. Ne avevo sentito parlare come di un luogo di grande spiritualità. Poiché era molto frequentato, soprattutto da giovani, bisognava prenotare l'ospitalità. C'erano due possibilità: un soggiorno di una settimana e uno di tre giorni. Scegliemmo i tre giorni per non forzare la resistenza dei nostri figli che allora avevano. uno 12 anni e l'altro 14. Spedimmo la prenotazione, ma, per un disguido postale, quando arrivammo non eravamo attesi. Nel giro di un quarto d'ora una gentilissima suora ci sistemò in una stanzetta di un edificio a 2 Km di distanza dalla Chiesa. Il territorio di Taizé è molto vasto e dappertutto si respira povertà, una povertà benedetta. basata sulla condivisione e sulla fedeltà al Vangelo. L'ordine, in un territorio così vasto e sempre gremito di presenze (fino a 5000), è affidato alla responsabilità degli ospiti. Tutto filava a meraviglia. I pasti venivano preparati da ospiti volontari e serviti su grandi banchi sotto gli alberi, dove gli ospiti facevano la coda per riempire di cibo piatti e ciotole dei loro vassoi. Certe volte si mangiava benissimo, altre malissimo, ma sempre con grande serenità, nella gioia della condivisione. La prima cena era pessima. Il mio figlio più piccolo propose di mangiare un po' di salsiccia che avevamo portato per pasti in economia. Mio marito, che non è un credente convinto, si mostrò all'altezza della situazione. "Francesco, - disse - le salsicce non le abbiamo portate per Taizé. O mangi quello che c'è o salti la cena". Francesco capì e mangiò. Fu ricompensato il giorno dopo: a pranzo c'erano buonissime salsicce ed un ottimo puré.
La Chiesa era un grande tendone da circo al quale erano stati aggiunti altri due. Sull'ingresso del tendone più grande una scritta invitava alla riconciliazione. Non ricordo tutta la scritta ma ricordo

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Aisha 4 lettera di Cesca

Ed eccoci qui, stretti stretti, in un buffo divano letto in casa di Tonio, Jil sta dormendo, e come al solito russa!
Sembrerà strano, ma la cosa non mi disturba più di tanto, mi piace quando il suo russare mi sveglia, e mi da modo di guardarlo così, disarmato, abbandonato sul mio corpo, e allora lo accarezzo piano piano, per non svegliarlo, e mi godo questi momenti in cui, il mio uomo è veramente tutto mio, completamente affidato al mio controllo, alla mia protezione, al mio amore.
Sì credo che possa definirlo amore, se il pensare a lui quando non lo tengo vicino, mi fa stringere lo stomaco, e guardarlo, quando è al mio fianco, mi aumenta i battiti del cuore.
Ora che dorme fra le mie braccia, lo vedo per quello che è realmente, un bambino, sì un bambino nascosto nel corpo di un uomo grande (non posso dire vekkio altrimenti mi mette il muso per una settimana), un bambino che da sveglio misura ogni suo gesto, ogni sua parola, per non turbare gli equilibri della nostra vita; sta attento a quel che mi dice e talvolta mi parla come se io fossi ancora una sua alunna, una ragazzina del liceo, bramosa di vita ma spaventata dalla vita stessa.
Ed io rido, quando mi fa le coccole, e la gioia di averlo accanto mi commuove, e lo abbraccio, e lo stringo quasi a fargli male, perché Jil è mio, e lo sguardo da cerbiatto col quale mi osserva, ogni volta, mi convince della sua sincerità, della sua passione, del suo infinito amore; ed allora gli sto preparando un regalo, o meglio una sorpresa; ho smesso da più di tre mesi di prendere la pillola!
Una volta Jil mi scrisse ”succeda quel che deve succedere”. Ecco, io credo che sia ora che succeda qualcosa, che io celebri il mio, il nostro amore, con la sacralizzazione della maternità.
Ho tanti dubbi, è vero, però sono quasi convinta che regalare al mondo un figlio mio e di Jil, sia il modo migliore per esternare il mio amore per lui, il modo migliore per dare al mio uomo, al mio compagno, la conti

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   3 commenti     di: luigi deluca


Subbuglio nel piccolo cimitero

Ripescando tra i ricordi dei primi anni ottanta.
Ogni santo giorno di ogni mese e di ogni anno il tortuoso percorso tra il cimitero e la periferia del paese, visto dall'alto, sembra un andirivieni di formiche da e per il formichiere. Invece si tratta del grottesco via vai delle nero vestite vedove inconsolabili che, con qualunque tempo, non rinunciano al quotidiano pellegrinaggio alla tomba dell'adorato (da morto) marito. Non importa quando sia avvenuto il trapasso, se poche settimane o sei lustri prima, la determinazione che li spinge a un simile andirivieni è immutabile nel tempo.
Se viene chiesto loro perché lo fanno la risposta, tra sospiri struggenti e quasi singhiozzanti, è sempre la medesima "vado a trovare il mio amato bene!" Altra risposta "senza di lui la vita non ha più senso!" oppure ancora "per non lasciarlo solo!", che poi è tutto da dimostrare.
Come da dimostrare è la vocazione delle vedove durante il tragitto, infatti di tutto parlano tranne del loro amato e inconsolabile bene. Passi fin quando gli argomenti di conversazione riguardano problemi casalinghi e sociali, come il caro vita o la pensione sempre più insufficiente al mantenimento loro e dei viziati nipoti che non possono comprarsi il nuovo SUV a km. 0 o, mal che vada, aziendale, ma diventano strabilianti quando a imperversare è il puro malevolo pettegolezzo.
Appena varcata la soglia del cimitero la foce del tortuoso fiume, come un delta, si espande nelle varie direzioni e, tempo pochi minuti, l'intera sacra area riecheggia di pianti disperati da prefiche consumate con tanto di mea culpa, di pacche più o meno sonore date sulle spalle se non addirittura sul volto, ma più verosimilmente di battimano, sconsigliato al casuale passaggio nelle vicinanze di moscerini e insetti vari.
Grida, urla, invocazioni sul "Perché mi hai lasciato? - cosa ne sarà della mia vita? - oh schianata me? (tradotto "me disgraziata"), eppure, a ben guardare, spesso si tratta di vedove di lungo

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The Big Fella

Quando Lebron James ha superato Kareem Abdul Jabbar nei punti realizzati in NBA mi è tornata in mente una massima citata negli anni '80 - 90 da Dan Peterson.
"Ci sono verità, mezze verità bugie e statistiche".
Le statistiche in fondo hanno il compito di raccontare il passato con dati numerici ma non lo interpretano. Non lo fanno dal punto di vista estetico o emozionale. Che siano occupati operai, ingegneri o sportivi è lo stesso, la percentuale di occupazione di un paese è quella data dalla somma di tutti.
Ma è dal punto di vista estetico e emozionale che le cose tornano ancora meno.
Il gancio cielo di Kareem era la sublimazione del balletto col in mano il pallone a spicchi, estetica e pratica, poesia e concretezza. Quando partiva il gesto era spettacolo, sublimazione. Se poi centrava il canestro allora era la prova del finalismo evoluzionistico. Tutta l'evoluzione cestistica dell'arte del pivot si concentrava in un gesto che dipendeva solo da se stesso, non c'era modo di fermare il gancio cielo ed innamorati dalle divise giallo viola nella televisione a bassa definizione ci deliziavamo della bellezza.

Era la "verità".
Poi venne la "statistica" e Lebron lo ha superato.
Ma lasciateci ricordare la assolutezza di Jabbar.



Il giardino e la finestra

"Joanie, toglimi una curiosità: perché ci siamo lasciati?"
"Bobby, perché eri un egocentrico scorbutico."
"Joanie, sempre a farla più grande di quello che è. Abbiamo avuto una bellissima vita insieme, abbiamo avuto un bambino dagli occhi azzurri, un letto d'ottone, una cassa piena di ricordi, un pianoforte da quarantacinque dollari e due cappelli. E tu ancora sottolinei i miei difetti."
"Mi hai lasciato per vivere con cinque marmocchi polverosi e una strega con i capelli ricci."
"Ero un immaturo, un incapace, e lo sai. Tutto quello che sono ancora, forse."
"Di certo, Bobby. Di certo."
"Il punto è che sono diventanto quello che mai avrei voluto essere. Un insoddisfatto cinico, che pretende il rispetto e l'affetto delle altre persone. Soprattutto di quelle che hanno sempre saputo che tipo di persona ero. Come te."
"Io e te non siamo destinati alla felicità. Ricordo ancora tutte le volte che mi hai deluso. Non può esserci nulla tranne che il ricordo fra me e te."
"È qui che ti sbagli, Joanie. L'amore non è l'avvampare del fuoco, la tormenta, la tempesta. L'amore è quello che resta, le ceneri del focolare, il leggero manto della neve che ricopre le terre, le ultime onde segno di qualcosa di più terribile. L'amore è quello che resta, e quello che ci meritiamo dopo le nostre battaglie. La guerra è finita. Sei libera."
"La guerra non è finita, per me accettare la fine significa accettare la morte della libertà di ribellarmi. La morte della mia stessa essenza."
"Cresci, tesoro."
"Non crescerò finché potrò essere libera e felice."
"Perché non vuoi accettare e finalmente essere felice con me e con te stessa?"
"Accettare cosa?"
"Accettare che sei una meravigliosa donna, che hai passato la tua vita con il tuo cuore affacciato sul mondo, e ora è tempo di affacciarlo sulla finestra del tuo giardino. E da quella finestra, se guardi giù, vedi me. Ti aspetterò per tutte le notti buie che caleranno su di noi, per tutte le

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   6 commenti     di: Juliet Labourne


Il compleanno del Blasco

Pochi come lui hanno saputo intercettare i gusti di più generazioni. Ai suoi concerti, sempre affollatissimi convergono genitori e figli uniti nella adorazione del Blasco nazionale. Le melodie, specie quelle degli inizi, sono da intonare senza tirare il freno. I testi, essenziali, ben descrivono sentimenti ed emozioni universali e poi questa attitudine da ribelle h24, da antisistema ed anticonformista che tanto successo ebbe nell'immaginario di chi al sistema ha dovuto e deve soccombere giornalmente. Tutto questo ha contribuito a creare una vera e propria icona non solo della musica ma anche del costume del nostro paese Ed allora tanti auguri Vasco in questo giorno del tuo compleanno. Facci immaginare di potere anche noi vivere un po' come te, senza regole, senza orari, come in un film... Dicci ancora una volta che tutto è possibile... Cantaci ancora una volta la tua vita spericolata...

   0 commenti     di: Trione Fabrizio


Quanto amore e dolore per quella rosa.

A volte gli avvenimenti ti colpiscono come un fulmine
e tu non hai neanche il tempo di capire, di assorbire quello che ti succede,
resti là scioccato, con la gola secca, e il cuore ridotto ad una farfallina nello stomaco.
Anche se la paura dell’ignoto è al primo posto e se la complicanza del dolore è al secondo, c'è un grande protagonista che è al terzo posto: il lasciare fili sciolti, problemi irrisolti, trascurare ciò che il malato terminale lascia dietro di sé.
“I petali potrebbero rifiutare di aprirsi...
La rosa potrebbe appassire...
E allora ti ritroveresti solo, sempre più solo, vicino ad una rosa morente senza più calore, senza nessun altro posto dove andare, senza riuscire a pensare, perché sarebbe troppo doloroso...
E allora stai lì: aspetti che arrivi la primavera, aspetti un miracolo, aspetti una qualsiasi cosa possa ridar vita a quella rosa, aspetti anni e anni, ma sarà pur sempre la tua rosa. ”
Ciò è causa di profonda angoscia. L’amore è un sentimento misterioso e lo rimane nonostante le neuroscienze tentino di svelarne i meccanismi più intimi.
“Ti mancherà per sempre, quella rosa... ma il ricordo nel tempo diventerà più dolce e meno disperato, in molte occasioni penserai ai momenti passati con lei,
al suo modo di starti vicino... all'improvviso vedendo un oggetto o una cosa a lei particolarmente cara, i tuoi occhi si riempiranno di lacrime... ”
Quante volte ci è stato detto"La vita continua" è un'espressione metafisica, che va al di là dell'apparenza.
Cioè la vita è un concetto che include la morte e che caratterizza l'intero universo.
Nell'universo infatti tutto ha un inizio e una fine. Combattere la morte o ritardarla artificialmente significa andare contro la vita?
Quindi vivere nell'illusione, è essere al di fuori della realtà.?
Voler vivere a tutti i costi è non meno innaturale che voler morire a tutti i costi?
Noi possiamo avere esperienza solo della morte altrui, che ci

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   2 commenti     di: naida santacruz



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