username: password: dati dimenticati?   |   crea nuovo account

Racconti su avvenimenti e festività

Pagine: 1234... ultimatutte

La pinza

La prima pioggia autunnale aveva deciso di martellare insistentemente i tetti di Milano - quella sera di settembre - e produceva un fruscio continuo e discreto che faceva da sottofondo ai rumori del traffico e del quartiere. Le automobili, ormai rare data l'ora, lasciavano una scia saponosa sull'asfalto di via Crema e l'ultimo 29 procedeva con il suo solito rumore di ferraglia verso la fermata di piazza medaglie d'oro.

Walter Moretti, osservava la sua città che tanto amava dalla finestra del salotto al terzo piano e fumava con calma la sua sigaretta.

Serata ideale per riflettere sulla propria vita e pensare a quanto diversa sarebbe stata senza quel dannato incidente.

Giovane e brillante ufficiale di Polizia, stimato e ammirato per la sua intelligenza e per il suo aspetto fisico alla Clint Eastwood - neo laureato- era destinato sicuramente a un'importante carriera. Tutto invece svanì quella notte di venticinque anni prima, quando al comando di un'incursione in un covo delle Brigate Rosse, si trovò a tu per tu con un terrorista. Non un uomo di spicco dell'organizzazione, una nuova recluta, Mario Molina, poco più di un fiancheggiatore. Il caso volle che fosse un vecchio compagno di scuola di Walter, ai tempi del liceo Berchet.
Walter rimase un attimo sorpreso nel riconoscerlo e lui, approfittando dell'esitazione, preso dal panico fece in tempo a scaricargli mezzo caricatore di mitraglietta in corpo. Prima di essere ucciso dagli altri agenti.
Rimase quasi un mese fra la vita e la morte ma quando alla fine si riprese, non poté mai più riprendere servizio. Una pallottola entratagli dallo zigomo gli aveva lasciato una tale lesione al nervo ottico da renderlo quasi cieco da un occhio. Per non parlare delle continue vertigini e dolori alla schiena.
Lasciata la Polizia con un premio sostanzioso e una medaglia al valore, ebbe una generosa pensione di invalidità dallo stato, ma la sua vita inesorabilmente cambiò.

Il matrimonio fallito, la frus

[continua a leggere...]

   0 commenti     di: Manfred Antoine


Quanto amore e dolore per quella rosa.

A volte gli avvenimenti ti colpiscono come un fulmine
e tu non hai neanche il tempo di capire, di assorbire quello che ti succede,
resti là scioccato, con la gola secca, e il cuore ridotto ad una farfallina nello stomaco.
Anche se la paura dell’ignoto è al primo posto e se la complicanza del dolore è al secondo, c'è un grande protagonista che è al terzo posto: il lasciare fili sciolti, problemi irrisolti, trascurare ciò che il malato terminale lascia dietro di sé.
“I petali potrebbero rifiutare di aprirsi...
La rosa potrebbe appassire...
E allora ti ritroveresti solo, sempre più solo, vicino ad una rosa morente senza più calore, senza nessun altro posto dove andare, senza riuscire a pensare, perché sarebbe troppo doloroso...
E allora stai lì: aspetti che arrivi la primavera, aspetti un miracolo, aspetti una qualsiasi cosa possa ridar vita a quella rosa, aspetti anni e anni, ma sarà pur sempre la tua rosa. ”
Ciò è causa di profonda angoscia. L’amore è un sentimento misterioso e lo rimane nonostante le neuroscienze tentino di svelarne i meccanismi più intimi.
“Ti mancherà per sempre, quella rosa... ma il ricordo nel tempo diventerà più dolce e meno disperato, in molte occasioni penserai ai momenti passati con lei,
al suo modo di starti vicino... all'improvviso vedendo un oggetto o una cosa a lei particolarmente cara, i tuoi occhi si riempiranno di lacrime... ”
Quante volte ci è stato detto"La vita continua" è un'espressione metafisica, che va al di là dell'apparenza.
Cioè la vita è un concetto che include la morte e che caratterizza l'intero universo.
Nell'universo infatti tutto ha un inizio e una fine. Combattere la morte o ritardarla artificialmente significa andare contro la vita?
Quindi vivere nell'illusione, è essere al di fuori della realtà.?
Voler vivere a tutti i costi è non meno innaturale che voler morire a tutti i costi?
Noi possiamo avere esperienza solo della morte altrui, che ci

[continua a leggere...]

   2 commenti     di: naida santacruz


La croce azzurra

Conca di Plezo - 24 ottobre 1917

H. 01, 00 antimeridiane

- Che trincea di merda! Come fai un passo ti impantani subito; mica come quei signori della seconda linea, al caldo e al sicuro dentro le loro fortificazioni di cemento armato. Ci sarà un motivo, però, se lei mi ha svegliato, visto che c'è una calma assoluta. Sputi il rospo, tenente.
- Ha detto bene lei, capitano. C'è una calma assoluta da almeno dodici ore e francamente non ricordo una cosa simile in tre anni che sono al fronte.
- Qualche ipotesi?
- Per me quelli stanno preparando un attacco e quando sorgerà il sole cominceranno a martellarci con tutti i calibri.
- Può essere, ma non ho ricevuto avvisi dal comando e quindi è inutile fare congetture. La invito, però, a raddoppiare i turni di guardia, perché le due trincee in alcuni punti non distano più di una sessantina di metri e un colpo di mano è sempre nell'aria.
- Sarà fatto. Mi scusi se l'ho disturbata.
- Non si preoccupi, perché ha fatto più che bene e poi, francamente, non riuscivo a dormire, con tutti quei ratti che continuano ad andare su è giù per il ricovero. Pensi che una notte mi sono svegliato di colpo perchè ce n'era uno che razzolava sul cuscino!
- Per non parlare delle pulci che ci tormentano 24 ore su 24: sono peggio di una quinta colonna.
- È la guerra, dove non si distinguono più gli uomini dalle bestie. Ora comunque mi ritiro e mi raccomando di tenere gli occhi bene aperti.
- Buona notte, signor capitano.
Il tenente passò la consegna alle vedette e cercò di indovinare nel buio di una notte senza luna i confini di quella stretta valle, un vero e proprio corridoio in cui un esercito teoricamente non sarebbe potuto passare, e in effetti quel terreno non era stato teatro di vere e proprie battaglie, ma al più di brevi scaramucce, azioni di disturbo senza speranza di risultati.

H. 02. 00

Il silenzio della notte fu lacerato dal rombo simultaneo di migliaia di bocche da fuoco. L'impressione era che tut

[continua a leggere...]



Il genocidio degli armeni simile a quello degli ebrei, dimenticato e ignorato dalla storia

Il genocidio che sembra "maggiormente assomigliare alla 'soluzione finale' fu il tentativo turco di deportare gli armeni nel deserto siriano e di ucciderne il maggior numero possibile" (G. Mosse, Storia del razzismo in Europa, Laterza). Come la Shoah, fu "un'operazione realizzata durante l'emergenza della guerra" con la chiara intenzione di "liberare una volta per sempre la Turchia da una minoranza irrequieta", paritetica alla volontà hitleriana di annientare la minoranza ebraica del Reich. Una chiara analogia tra i due genocidi è la deportazione: quello ebraico in vagoni bestiame o in camion a gas, quello armeno a marcia forzata.
Entrambi i massacri furono coordinati ed eseguiti da una commissione centrale pianificatrice, ma se in quello perpetrato dai nazisti l'elemento razziale fu centrale e predominante, questo mancò nel genocidio armeno: si è visto, difatti, come "la conversione all'Islam era un mezzo per sopravvivere". Inoltre, nel genocidio degli ebrei la burocrazia, la tecnica e la modernità furono utilizzate con la massima efficienza, ma altrettanto non si può dire per il massacro armeno.
Un'ultima, agghiacciante analogia è data dagli esperimenti di medicina empirica condotti su "cavie umane": se "gli ebrei dei ghetti e dei campi erano diventati l'oggetto del fanatico interesse di Himmler" per testare quanto un uomo potesse resistere senza acqua e cibo, quanto freddo potesse sopportare un corpo umano, per provare l'effetto di droghe sulla coagulazione del sangue ed anche per sperimentare nuove tecniche di sterilizzazione coatta, così il governo turco autorizzò "Hamid Suat (padre della batteriologia turca) a condurre esperimenti sugli armeni per vedere la reazione del corpo umano contagiato da un virus, quale, ad esempio, il tifo" (T. Koguc, op. cit.).



adamo ed eva

Ma tu chi sei? Di che sogno fai parte, ti prego fa che sia il mio, ti sfioro ed un liquido tiepido mi esce dagli occhi, mi trema la bocca nel sussurrarti "ma sei dio"? Poi il miracolo delle tue parole mi arriva agli orecchi come l'urlo dell'aquila. Dio ti ha creata da me e sento che di me sei tornata a far parte, che misera vita prima di te, ora capisco l'angoscia dei giorni passati, mi tendi la mano ti sfioro le labbra diventi carne della mia carne e il mondo sembra finire... No non toccare il divieto di Dio, ti prego non farlo.. Dio è stato chiaro dobbiamo morire, poteva salvarmi ridarmi compagna ma non la gioia che tu mi hai insegnato e allora che morte sia anche per me, ma prima permettimi di tutto il creato tu sei la vita per eccellenza, vieni dunque invecchiamo insieme e che la morte ci trovi uniti in una sola carne.

   3 commenti     di: samuele ardigò


Fogli ingialliti

Camminava in fretta Margherita e il rumore ritmato dei suoi passi svelti sull'asfalto produceva un'eco che rimbombava nella via silenziosa a quell'ora della notte.
Lavorava come cameriera in un locale del centro città e spesso si attardava al lavoro, c'era sempre qualcosa da sistemare per il giorno seguente prima di chiudere. Procedeva speditamente perchè a quell'ora tarda aveva un po' di paura.
Per un soffio aveva perso l'ultimo autobus che stava partendo proprio nell'istante in cui Margherita arrivava alla fermata, si era così vista costretta a tornare a casa a piedi.
Il suo alloggio, situato verso la periferia della città, consisteva in un monolocale dove aveva portato le sue poche cose.
Rincasò con il fiato corto a causa della camminata veloce, posò la borsa e appese la giacca, levò le scarpe, infilò le pantofole e tirò un sospiro di sollievo.
Posò lo sguardo indugiando per un po' sullo scatolone che conteneva le poche, preziose cose del suo passato. Conservava lo scatolone gelosamente riposto in uno scaffale in alto, nell'unico mobile. La tentazione che spesso la prendeva era quella di salire sulla scaletta e di aprirlo... Ma cercava di farlo il meno possibile per non cadere nella nostalgia, sempre in agguato.
Ogni oggetto contenuto in quello scatolone rappresentava un ricordo e suscitava in lei molte emozioni belle o tristi, a seconda...
Margherita si era trovata sola a Milano, a cercare un lavoro per potersi mantenere, sperando di riprendere al più presto gli studi di giurisprudenza interrotti a causa del dissesto finanziario della sua famiglia. Dopo aver cercato a lungo e invano un impiego migliore, decise di accettare quel lavoro da barista, dignitoso, ma che a mala pena le dava di che vivere e pagare l'affitto del monolocale dove abitava.
Accese la piastra elettrica della piccola cucina, fece cuocere una bistecca, si preparò un'insalata e si versò un bicchiere di vino bianco fresco. Dopo aver mangiato fece la doccia, indossò

[continua a leggere...]

   1 commenti     di: lidia filippi


Colori

Rosso

Allontanò il pennello dalla tela e rimase a guardare soddisfatta il risultato finale.
Si accorse che durante le ultime pennellate aveva quasi smesso di respirare, completamente soffocata dalle emozioni che da lei fluivano sulla tela, imprigionandosi in forme vaghe, dai contorni poco chiari a un occhio non sensibile, ma colme di messaggi che a stento una mente razionale può comprendere, che solo raramente un uomo riesce a trasmettere, ma che i colori sanno fare propri con meravigliosa semplicità.
Si allontanò di alcuni passi e si accorse che la testa le girava un poco. Rimanere troppo vicino a così grandi emozioni poteva disorientare. Soprattutto a chi come lei era abituata a vivere intensamente, con trasporto, la propria emotività.
I suoi quadri non erano semplicemente dipinti. Erano istinto, sensazioni, percezioni vaghe. E vaghi sembravano a un osservatore esterno che a stento riusciva a penetrare le maglie di quegli intrecci quasi monocromatici. Una persona qualunque avrebbe visto una tela macchiata qua e là da mille sfumature di rosso. Avrebbe cercato delle figure distinte, si sarebbe guardato intorno alla ricerca di qualche oggetto pressappoco somigliante. Avrebbe storto la bocca, mordendosi un labbro. E lo avrebbe dimenticato.
A lei non importava. Lei li aveva dipinti e allo stesso modo sapeva leggerli.
«Davvero molto bello.» La voce dell'uomo la fece sobbalzare. Si voltò di scatto e fece un piccolo passo indietro. Era un ragazzo dall'aspetto semplice, quasi anonimo, ma allo stesso tempo con un certo fascino. Occhi scuri; capelli castani, tagliati corti, pettinati con un po' di gel; pantaloni color panna e una camicia nera portata lunga sulle gambe, con gli ultimi bottoni aperti e le maniche ripiegate. Uno come tanti, semplicemente. Sorrise e si avvicinò a lei, ancora un po' sulle sue.
«Scusa. Ti ho spaventata.» Lei sorrise e fece segno di no, poi gettò una sguardo alla tela.
«Dici davvero?»
«Non mento mai.» La sua voce er

[continua a leggere...]

   0 commenti     di: Andrea Franco



Pagine: 1234... ultimatutte



Cerca tra le opere

La pagina riporta i titoli delle opere presenti nella categoria Avvenimenti.