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Racconti d'avventura

Pagine: 1234... ultimatutte

Ai miei tempi qua eran tutti campi

Tutto ha avuto inizio quando ho deciso di trovarmi un lavoro vero. Basta fregnacce accademiche! Mamma, papà, il futuro è un'invenzione dei meteorologi, bolle di scoreggia in piscina, non lo trovi mica tra i rifiuti del Sessantotto!
Cercavo un lavoro dicevo, e mi son trovato in questa stanzina con questa tizia, piuttosto carina, che mi guarda qualche secondo, poi vomita parole, poi mi riguarda. Torni domani mattina alle otto e trenta, farà un giorno di prova e vedremo se assumerla o meno. Prova di cosa non si sa, la sua lingua andava a mille all'ora e il mio cervello si è perso al primo semaforo...
Il giorno dopo ritorno. Piove e sono in anticipo. Me ne sto fuori sotto la tettoia fumando una sigaretta e chiedendomi che fine avrà mai fatto Marco Columbro, quand'ecco che la porta dell'ufficio si apre di botto rigurgitando un esercito di giacchecravatta, con annessa cartelletta sottobraccio. Partono spediti, leggermente curvi, non un secondo di esitazione. Un due, un due, passo!
Ahi. Brutto segno. Non tanto per la giacca o la cravatta, quanto per la cartelletta e il passo spedito. Sono nella merda.
Poi la segretaria caccia fuori la testa, mi chiama e mi fa accomodare nella sala d'aspetto. Con me altra gente nella stessa situazione. Firmiamo un foglio col quale ci prendiamo l'impegno di passare con loro una giornata intera. Ogni tanto la porta dello stanzino si apre, la tizia legge un nome, quello che viene chiamato entra e dopo qualche secondo ne esce affiancato da un giaccacravatta.
Mi chiama, tocca a me. Entro nello stanzino.
"Buongiorno, tutto bene?"mi dice "questo è Manu, il tuo tutor."
Manu è un tizio elegante, lampadato, di dubbio orientamento sessuale. Mi guarda e spara un sorrisone. Cerco di scorgere le graffette ai lati della sua bocca che lo costringono a quel ghigno bestiale ma non riesco a trovarle
"Ciao! Allora, sei pronto per questa nuova esperienza?"
"Ciao Manu. Certo, Manu"
"Occhei, allora andiamo!"
Usciamo subito, a passo spedito.

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Il Nord!

Era una fredda notte d'inverno, la luna splendeva alta in cielo illuminando la fitta foresta.
Arther, era un giovane ragazzo, molto povero. Aveva solo 8 anni quando perse la sua famiglia, dopo che alcuni razziatori assalirono la carovana reale diretta alla città di Lohander. Durante il chiasso dei combattimenti, Il padre di Arther, lo portò in salvo in una casetta di legno abbandonata, gli disse di rimanere qui e che sarebbe tornato, ma lui non fece più ritorno. Arther, aspettò suo padre per giorni, finchè un contadino locale Jarek Steve, che era diretto con il suo carico di patate verso il villaggio di Buvah, lo vide per terra e lo portò in salvo.
Arther, fu cresciuto da Jarek e Isavella, una coppia che non poteva avere figli. Isavella aveva pregato giorno e notte gli Dei, chiedendo loro di avere un figlio. Ed essi credono che Arther fosse un dono inviato dagli Dei, dopo tante preghiere.
Arther, imparò come coltivare i campi, da Jarek, e molto spesso si dirigevano al villaggio di Buvah per vendere i prodotti al mercato.
Dopo la morte dei suoi genitori adottivi, Arther, si ritrovò solo, con una fattoria da mandare avanti. Cercò di guadagnare qualcosa commerciando quello che coltivava, ma i commercianti locali avevano formato una coalizione per tagliarlo fuori dagli affari, patendo la fame.
Arther, sapeva che il mercante Julius Fark, era l'artefice della sua rovina, perchè produceva le stesse cose che produceva Arther, e Julius non voleva concorrenza.
Quella notte Arther, si diresse alla fattoria del signor Julius, e sapeva bene che la fattoria era sorvegliata dai suoi scagnozzi. Aspettò pazientemente che le guardie si dessero il cambio ed entrò di soppiatto arrampicandosi sui balconi della casa.
Una volta dentro Arther, si accorse che qualcuno era sveglio, ma non sapeva chi fosse. Così decise di seguirlo. Era molto buio e non riusciva a vedere chi fosse, finchè quella figura non si avvicinò alla finestra. Era una giovane donna, molto bella, che

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   0 commenti     di: .:Spartacus:.


Alla ricerca della tua isola

Nel 2002 a fine aprile ho navigato da Port Colon (Panama) fino alla Jamaica. Mi ha sempre affascinato il mondo dei pirati e cosi' decisi di fare rotta verso il mitico Morgan's Harbour in Jamaica. Purtroppo non fu una navigazione semplice, anche perche' avevo a bordo due israeliani privi di esperienza. Incontrai mare formato e onde incrociate per le prime 24 ore, dopo miglioro' di poco la situazione; stremato decisi di consegnare il timone a Davide. Non ricordo se furono 4 o 5 i giorni di navigazione, ma quando arrivammo nel lungo canale che ci portava al Morgan's Harbour l'unica cosa che desideravo era una coca-cola fresca (avevo vomitato per due giorni); la seconda che sbarcassero immediatamente i miei due ospiti, che sollievo un po' di pace in barca.
Nei giorni successivi consolidai l'amicizia con Carlos, che fortunatamente oltre a parlare quella lingua strana (patwah), parla anche spagnolo. Uscendo dal marina mi recai (era domenica)al villaggio vicino, sconsigliato da Carlos mi fermai in un bar gestito da due ragazze; immediatamente attirai l'attenzione di diverse persone, alcune delle quali si dimostrarono subito ostili nei miei confronti, ma le due ragazze del bar e un tipo che lavorava al marina presero subito le mie difese, dopodiche' Mary la più giovane delle propritarie mi fece conoscere un tipo dalla corporatura grossa, che inconfutabilmente doveva essere il boss del paesino, aho! Dal quel giorno che mi videro girare per il villaggio con lui mi rispettavano tutti. Cari amici miei a parte NAUSICA, dhai si scherza! Dicevo ue' la' la situazione non è tanto piacevole per noi "bianchi". Non si scherza la Jamaica e soprattutto Kingston sono pericolose.
FINE PRIMA PUNTATA

Seconda Puntata: Ricerca di un pezzo di ricambio nella capitale.
... continua SECONDA Puntata.
Brevemente vorrei ritornare a Colon, una cittadina squallida degradata e pericolosa, l'unica nota positiva era la presenza di svariate iguana sul prato del marina, la mia barca era ormeggiata

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   0 commenti     di: Isaia Kwick


Io e le zanzare.

Va bene cosa volete che vi dica è più forte di me, non ho paura dei topi, non ho paura dei serpenti non ho paura dei pipistrelli ma è più forte di me appena sento zzzzz, zzzz, zzzzz, ecco incomincio a far girare le mani di qua e di la che assomiglio Bruce Lee nel film dalla Cina con furore, ormai è diventato un incubo. sono capace a stare sveglio tutta la notte con la luce accesa e con l’ammazza mosche in mano alla ricerca di zanzare appoggiate alle pareti certe volte sembro Superman per come li vedo a distanza ma appena arrivo lì sferro il colpo e sono già scappati hanno un’abilità per scappare sembra che ci sia qualcuno nascosto con un joystick della play station in mano che appena alzo la mano per colpire tà gli danno il via e volano.
Un giorno d’estate insieme ad amici decidiamo di farci una settimana all’isola di Favignana, eravamo in quattro e come sempre ci capitava da giovani partivamo allo sbaraglio senza prenotare e senza mai sapere cosa trovavamo però avevamo la Fiat 128 habart rossa fiammante riempiamo il cofano con i nostri bagagli equipaggiamento per immersioni e per la pesca subacquea e via con la speranza di trovare una camera d’albergo libera (in pieno agosto puoi capire), comunque sia partiamo, prima tappa Trapani decidiamo di arrivarci in tarda serata così dormivamo in macchina in attesa del traghetto che partiva alle 05, 00 di mattina, tra me e me pensavo iniziamo bene dormire in macchina non è che mi piaceva tanto ma si tra ragazzi tutto questo è normale, comunque trovato un piazzale in terra battuta sperduto nelle vicinanze del porto ci fermiamo per dormire. Ah ecco tra un sonnellino e una manata in faccia di qua arriva l’ora di salire sul traghetto.
Favignana eccoci qui che bella quest’isola ancora selvaggia e si selvaggia perché non troviamo una camera per la notte e adesso che facciamo ci guardiamo e decidiamo dopo esserci informati ci fanno sapere gli isolani che in fondo la scogliera c’è la parte selvaggia

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Il mio vicino di casa

Il mio vicino di casa, per otto mesi, nel 1994, fu il dottor Matthew con la sua numerosa famiglia.
Quanti fossero in famiglia, o più precisamente, quanti figli avesse il dottor Matthew, era difficile dire, perché, ogni tanto, arrivava a Matany un ragazzetto o un bambino, per noi nuovo, che prendeva alloggio nella sua casa: anche quello era un suo figlio.
Gli anni ‘90 sono stati gli anni tristissimi, per le conseguenze dell’ AIDS, che hanno seminato, in Africa, morte forse come nessun'altra epidemia o guerra o calamità precedente.
In ogni famiglia c'erano dei morti per quella malattia, talvolta così numerosi che molti villaggi si svuotarono lasciando come abitanti solo i nonni con i loro piccoli nipoti.
Molti superstiti venivano accolti dai parenti, e così faceva il dott. Matthew che accoglieva tutti, parenti vicini e lontani e ovviamente i suoi figli “illegittimi”, parola però sicuramente fuori luogo in Africa.
Quando arrivai a Kampala, prima di intraprendere con la mia famiglia il viaggio per Matany, ebbi un breve colloquio con il direttore dell'Ospedale, il dott. Daniele, in partenza per il Nord Europa per un Master di medicina. Nelle consegne che mi faceva sugli obiettivi, peraltro numerosi, che dovevo consolidare a Matany, c'erano anche dei consigli e delle avvertenze. Tra queste, due parole importanti furono spese per il dottor Matthew che, in sua assenza, diventava il nuovo direttore dell'Ospedale.
Il messaggio principale era di tenerlo d'occhio, farlo lavorare, impedirgli il più possibile di avere altri interessi al di fuori dell'Ospedale.
Il dottor Matthew non era certo un personaggio losco, anzi tutt'altro. Valente chirurgo, veramente dalle mani d'oro, era decisamente abile in ogni campo della chirurgia generale. Era inoltre simpatico, un vero gentleman; piaceva moltissimo alle donne e lui aveva per loro un gran debole.
Era giunto a Matany alla metà del 1989 e avevo fatto appena tempo a conos

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   0 commenti     di: Antonio Sattin


Sotto natale... Parte 2

Scendo di fretta le scale, proprio un fulmine. Lo vedo già bello carburato, il vecchio compare Omar, mi sa tanto che oltre la sera si è già fatto anche il pomeriggio, lo stronzo. Salgo in macchina perchè il freddo non lo sopporto proprio, neanche per i due secondi del tragitto.
"Ohhh finalmente si rivede... ehh?".
"Te lo detto che non tiravo buca, sono di parola". Rispondo io secco.
" Ehi calmino, dai, allora pronto per spaccarti la testa?".
"Si dai, ma proprio con quelli della piazzetta... ".
"Non ti preoccupare, ho già pensato a tutto io, loro sono diciamo i nostri babbi natale... hanno un bel po' di cose da regalarci". E quando dice regalarci, Omar diventa sempre un po' strano. Gli viene una faccia, una faccia da volpe. Ma è sempre stato così quando poteva guadagnare qualcosa sulla pelle degli altri. Sin da bambino. Sempre. Anche quando c'erano di mezzo quattro cazzate, tipo due figurine, una bottiglietta di cola. In tutto. Poi per un' attimo riprende il discorso:
"Comunque si va al Vortice, ci si fa un po' di birre li, i piazzettari ci offrono quello che ci devono offrire e poi teliamo, e poi su dai, vediamo come va la serata... e in qualsiasi caso ho sentito anche lo Smilzo e Crossi..."
Ottimo. Il ritrovo degli stronzi. No, diciamo, non proprio. Lo Smilzo e Crossi erano vecchie amicizie, diciamo, amici da campetto. Uscivamo assieme a loro quando eravamo proprio piccoli piccoli, quando ancora non si erano intromesse determinate questioni. Più o meno fino ai sedici anni. Ognuno aveva poi preso la sua strada e per una decina di anni c' eravamo persi di vista. Con loro. Omar, è sempre stato in mezzo ai coglioni... I due suddetti elementi li avevamo ripescati una sera che eravamo andati a ballare in un posto e da li avevamo riniziato a frequentarci ancora tutti, come i vecchi tempi quando eravamo pischelli. Smilzo era chiamato così non perchè era magro, ma perchè prima era un ciccione-obeso, ed era un modo "di classe " per prenderlo per il cul

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   4 commenti     di: aleks nightmare


Poco tempo

Al mio risveglio la testa ancora mi faceva male. Per quanto tempo ero rimasto privo di sensi? Dove mi trovavo? Avevo ancora tempo a sufficienza per trovarla? Sotterrato da una valanga di interrogativi ai quali non avrei mai avuto risposta, ho fatto appello alle forze che mi rimanevano per cercare di sollevarmi da terra e mettermi in piedi. Solo alzandomi mi sono reso conto che ero a piedi nudi. Una volta assunta la posizione eretta, sempre in preda ad uno stato confusionale totale, ho cercato di capire dove mi trovavo e che cosa ci fosse intorno a me. Non subito sono riuscito in questo secondo intento. I miei occhi, nonostante fossero già in parte abituati all'oscurità, non riuscivano a riconoscere altro che pareti rocciose e alcune sorgenti luminose sparse qua e là, in vesti di fiaccole. Ho impiegato poco a capire che, in effetti, oltre ad un misto di polvere, ragnatele e sporadici cumuli di macerie, non c'era altro intorno a me.
Avevo freddo, come adesso. Il mio corpo debole tremava per la bassa temperatura. Mi sono avvicinato ad una parete, composta da enormi blocchi di pietra umida e gelata. Ne ho toccato uno ma ho subito ritirato la mano perché quel gesto mi aveva provocato un ulteriore brivido in tutto il corpo. Prolungando la panoramica visiva, ho realizzato immediatamente che nessuna finestra era alla portata del mio sguardo. Né chiusa, né tantomeno aperta. Solo oscurità. In mesta conclusione mi sono risvegliato stordito e congelato in un buio e stretto cunicolo dal soffitto alto a dir tanto due metri e mezzo, a piedi nudi e vestito di soli stracci.
Ero in preda al panico. E lo stato d'animo era ancor più giustificato dalla drammatica consapevolezza del fatto che lei aveva bisogno di me. Mi sono sforzato di smorzare la disperazione, riuscendo a stento nel proposito. Soltanto dopo diversi secondi, mentre ancora stavo cercando di mettere a fuoco più elementi possibili all'interno del mio campo visivo, ho deciso di voltarmi. Con mio stupore, una

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   1 commenti     di: Gabriele Lunghi



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