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Racconti d'avventura

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C era una volta

un giorno d"inverno una bambina decise di scendere in giardino, lei sentiva sempre rumori di notte e un bel giorno decise di uscire a vedere cosa ci fosse. si avvicino ad un albero grande e sentiva che li arrivavano i rumori, dopo un attimo l"albero inizio a parlare e gli disse che era il suo angelo custode che lo manda... la piccola ELISA era impaurita ma poi si calmò e capi che lui era l"amico che lei tutte le sere sognava.. la notte cala e lei si addormenta accanto a lui. l"albero la protegge con i sui rami ed è cosi che lei si sentiva la bimba più felice del mondo. sapeva che aveva un angelo accanto a lei e non doveva più avere paura della notte

   4 commenti     di: annalisa


LA FUGA : i brani più toccanti

Propongo alcuni brani del mio primo romanzo LA FUGA che ora è giunto alla seconda edizione:
Quell’appartamento era proprio il mio nido. Mi muovevo a piedi nudi sul parquet tra vecchi mobili presi al mercatino dell'usato, ricordi di viaggi, cuscini cangianti, candele e foto in bianco e nero sulle pareti coloratissime. Dalla cucina arrivava un buon odore di biscotti alla cannella appena sfornati e una sinfonia di Beethoven si diffondeva ovunque, era una musica piena, limpida, a tratti intensa, quasi violenta e, subito dopo, lieve, delicata come un soffio.
Mi sdraiai tra i cuscini sul grande divano rosso, mangiavo biscotti e leggevo la biografia di Evita Perón, che tanto mi coinvolgeva. Era un momento perfetto, pur nella sua semplicità.
Avevo dato forma, colore e odore a quelle stanze; erano il mio rifugio quando cercavo riparo e intimità dalle urla della città che si agitava fuori.
Durante la mia convivenza con Alex non ero mai riuscita a crearmi un posto che mi aderisse perfettamente, nel nostro appartamento scolorito regnava il disordine, la musica era sempre troppo alta, i libri sparpagliati ovunque e le valige pronte per le previste fughe del mio uomo.
Di ritorno da quei viaggi solitari portava sempre con sé qualche novità, nuova energia, una rinnovata sensibilità, e allora, mi scaldava, mi nutriva e mi amava disperatamente, fino poi ad avere ancora bisogno di quel caos interno e cercare nuove strade tra i fili taglienti della sua inquietudine.
Dal computer arrivò l'avviso che stavo ricevendo della posta elettronica, pigramente mi alzai, certa che si trattasse di lavoro, aspettavo giusto delle comunicazioni dall'ufficio.
Lessi chi era il mittente e tutto si fermò, una feroce nostalgia mi graffiò dentro.

«Elena,
come si spiegano a parole le emozioni?
Come si traduce lo sguardo rassegnato e dignitoso di questa gente? E i colori di un tramonto? L' odore della terra dopo un temporale? L'emozione che dà

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URCA: incipit

Una voce irruppe nel buio.
"Ehi Mayo, sei sveglio?"..."Mayo, mi senti?"...
"Che c'è Autilo?"
"Scusami, ma non riesco a dormire".
"E io cosa ci posso fare?"
"È da un po' di tempo che voglio soddisfare una curiosità: cosa significa il tuo nome?... Mayo".
"Dico, ma sei matto? È notte fonda. Ti sembra questa l'ora per una domanda del genere?"
"Su, non ci vuole tanto a rispondere".
"Porca vacca. Poi prometti che mi lasci dormire?!"
"Prometto".
"Mio padre era uno studioso di antropologia. Ebbe l'ispirazione da una popolazione che abitava il continente americano più di mille anni fa, molto prima della desertificazione: i Maya. Così si chiamavano".
"Ah... Beh, è bello, sembra una cosa importante..."
"Tu piuttosto, rompiscatole, Autilo, cosa cavolo significa?"
"Lo sapevo che me lo avresti chiesto. Viene da un vecchio racconto che mia madre, che faceva la bibliografa, trovò rovistando fra pile di vecchi libri sopravissuti al tempo. Era stato scritto da un tale Jules Verne. Raccontava di una città sottomarina, come la nostra. Di un capitano, Nemo, e del suo
sommergibile, il Nautilus".
"Come mai non ti ha chiamato Nautilo allora?"
"A mamma non piaceva la enne iniziale, le sembrava un'accezione negativa; lei era un po' superstiziosa, così decise di chiamarmi Autilo".
"Una città sottomarina?! Qualcuno, già in quel tempo lontano, aveva intuito che si può vivere sotto il mare?"
"Già, pare proprio di sì. Prima dell'Era Caotica".
"Va bene Autilo. Adesso che abbiamo soddisfatto la nostra curiosità, lasciami dormire".
"D'accordo Mayo, scusami. Buonanotte".
"... notte..."

Per sapere come continua puoi richiedere URCA in libreria o acquistarlo in rete... Buona lettura

   2 commenti     di: Rudy Mentale


Incontro ravvicinato - II parte

Qualcuno attraversò di corsa il campo, trai lampi colorati che ci bersagliavano, mi sembrò al momento un pilota, aveva una tuta argentea, poi ci ripensai, quando l'immagine era già scomparsa: quel pilota era troppo alto, troppo magro e aveva due occhi enormi in una testa triangolare. Forse... ma l'immagine dell'uomo che correva era durata solo un attimo. Pensai d'essermi sognato tutto, era solo un pilota che correva veloce mentre luci colorate e intermittenti pulsavano: ma perché un pilota avrebbe dovuto attraversare il campo mentre tutti eravamo impegnati con le riprese?
Pensai che chiunque fosse, ormai l'avevo ripreso e anche gli altri l'avevano sicuramente ripreso, e proprio mentre stavo pensando questo vidi la mia telecamera distorcersi, come in un effetto speciale, forse era la vista a darmi alterazioni. Ma no, anche al tatto divenne molle e gelatinosa e mi sfuggì di mano. La lasciai cadere mentre un lampo nero sembrò colpirmi in pieno volto ed ebbi pure io la sensazione di contorcermi, di divenire molle, poi cominciai a precipitare velocemente, sempre più velocemente...

Quando mi ripresi ero sdraiato su un lettino da campo. Molte altre persone prive di sensi erano sdraiate su altri lettini. Intorno a noi uomini con tute anti contaminazione procedevano con strani movimenti.
Quelle tute le avevo già viste, ma solo nei film catastrofici, quelli che parlano d'infezioni virali, d'ebola, d'influenza aviaria e altre amenità.
Con sforzo mi alzai sul lettino. Subito un medico (?) in tuta mi si avvicinò, non riuscivo a distinguere il suo volto dalla visiera che aveva un effetto specchio.
Iniziò a parlarmi e la sua voce mi giunse digitalizzata: "Per sicurezza stiamo decontaminando sia voi sia il luogo del contatto. Entro mezz'ora sarà tutto finito. La prego d'aver pazienza."
Mi ributtai sul lettino e quando riaprii gli occhi ero ancora sul quel prato, era mattina inoltrata, accanto a me c'erano gli altri che avevano partecipato al contatto.
Il genera

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La mia Luna (Cap. IV Aguglia Imperiale)

Percorse il tratto di strada che separava l’Hotel Royal dalla periferia di Noli in men che non si dica, ma sapeva di essere in ritardo quando, lasciata l’auto nelle vicinanze del molo, intravide da lontano la propria imbarcazione.
Il Pursuit 2560, ormeggiato nel piccolo porticciolo turistico, era attrezzato di tutto quanto di meglio si potesse trovare in quel momento per la navigazione e la pesca d’altura. Le risorse economiche di Richard avevano loro permesso di acquistare un fuoribordo con motore Volvo 8. 1 a benzina, capace di sviluppare 425 HP, con una velocità di crociera di 32-35 nodi.
La dotazione di bordo era comprensiva di Radar, GPS e scandaglio, ma il vero fiore all’occhiello era Patrick, il capitano tuttofare che gestiva la barca con lo stesso amore con cui una mamma accudisce il proprio piccolo.
Se avesse dovuto considerare il periodo di pesca in acqua dolce sommato al periodo di pesca in mare, Thomas avrebbe potuto dire di aver pescato assieme a quel giovane ragazzo da circa 20 anni e in tutto questo tempo ciò che li aveva da sempre legati, era stata una sana e fraterna amicizia con una perfetta sintonia di idee.
Avvicinandosi alla barca Thomas cominciò con lo sguardo a cercare le due persone di cui Richard gli aveva parlato. Il suo orologio segnava le 15. 40, ma non vedeva nessuno ad attendere il suo ritardo, se non Patrick che già lo stava salutando calorosamente.
<<Ciao Capitano, ho preferito arrivare in leggero ritardo per essere certo di trovarti sveglio, mi hanno detto che dormi poco la notte per poi poltrire di giorno!>> disse Thomas alzando il braccio per ricambiare il saluto.
<<Ti ringrazio per il pensiero, ma vorrei farti notare che sono in piedi da circa dieci ore e che da un’ora continuo a cercare di chiamare un cellulare che emette sistematicamente un segnale non raggiungibile>> rispose Parick mentre stava allentando la cima di poppa.
<<Ehi Patrick!>> continuò Thomas, mentre osservava l’amico intento agli ultimi pre

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Atlantide (Prima parte)

Un vento impetuoso schiaffeggiava la superficie dell'oceano aprendo in essa effimeri squarci e facendone sgorgare lacrime di candida schiuma. Un unico manto di nubi scure copriva il cielo fin dove vista umana potesse allungarsi, lugubre sudario che metteva fine al gioco di successione tra giorno e notte, risolvendolo in un'unica, eterna oscurità. Si sarebbe potuto dire che in quel luogo non v'era notte come nel deserto non attecchiva la vita, che fosse una condizione naturale ed immutabile. Appropriata, addirittura.
Sulla riva, lambito dalle dita più impavide che il mare protendeva, giaceva il corpo inanimato di un uomo vestito di stracci appesantiti dall'acqua e recante ferite ancora fresche sulle mani e sul viso. Un granchio stava per saggiare la sua consistenza con una chela quando un tremito lo scosse da capo a piedi e gli occhi gli si spalancarono. Privo di forze, il viso in parte affondato nel suolo molle, per lunghi momenti si contentò di scrutare la piccola fetta di mondo che gli era concesso di vedere.
Che si trovasse su una spiaggia era ovvio, e notò anche un piccolo molo di legno al quale erano attraccate diverse barche da pesca. Dove si trovasse quella spiaggia e a che città appartenesse quel modesto porto non riusciva proprio ad immaginarlo.
Con un sforzo immenso di volontà, pregando di non avere niente di rotto, incominciò a puntellarsi prima sulle spalle e le ginocchia, poi sui gomiti ed infine sulle mani, trovando che mettersi in piedi non fosse mai stato tanto difficile e che, a ben vedere, era un operazione abbastanza complessa da meritare qualche trattato ad essa dedicato. Barcollò e si tenne forte la testa perché temeva che potesse esplodergli, socchiuse gli occhi per ridurre il dondolio che minacciava di farlo vomitare. Quando finalmente trovò una sufficiente lucidità e riuscì a stare del tutto eretto, poté vedere qualcosa in più del luogo nel quale era naufragato.
<<Dove diavolo sono finito?>> chiese a nessuno o al ven

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Mi piace fare i tuffi dagli scogli

Mi piace fare i tuffi dagli scogli.
È una scemenza, lo so, ho più di cinquant'anni e una discreta trippa, maniglioni dell'amore soprattutto, fatti crescere con costanza e applicazione mediante assunzione di innumerevoli biscottini inzuppati nel caffelatte alle ore più strane, quindi non c'è nessun ideale estetico o sbruffonesco in ciò. Non è nemmeno che io sia un tuffatore, ho cominciato troppo tardi, perchè andavo quasi sempre dove c'era la sabbia, quindi...
Il fatto è che, quando mi costringono ad andare al mare, allora, dopo che mi sono rotto per bene le balle di "snorklinare" in giro per il fondo, rompendo a mia volta le balle a pescetti, conchiglie e ricci marini vari, qualcosa devo pur fare. Non è che possa stare in eterno sotto l'ombrellone a riempire schemi di parole crociate sempre più complicate o a leggere libri di cui mi frega anche relativamente poco. Io, i libri, li leggo volentieri quando non ho il tempo di farlo, ma se mi metti sotto l'ombrellone e mi dici adesso leggi, è dura!
Allora prendo, cammino un po' e finisco sempre negli stessi posti, in prossimità di scogli che, guarda un po', sembrano guardarmi a loro volta e dirmi:- guarda che acqua splendida che c'è qui sotto, si vede il fondo che neanche alla tv... ma tanto tu non ce la farai mai a scalarci e a tuffarti in questo paradiso-. E mi guardano la pancia, effettivamente con la tartaruga un po' al contrario, e mi guardano le gambe, effettivamente un po' troppo striminzite per ciò che ci sta sopra, e scuotono la testa...
E allora mi fanno incazzare! Allora diventa un fatto personale. Faccio finta di niente ma comincio a ronzargli attorno in cerca di una via per salire. All'inizio la cerco facile, perché mica mi voglio far male, soprattutto senza neanche essermi tuffato, ma se non ce ne sono, allora studio bene anche quelle più impervie, facendole prima mentalmente, e poi provandole un po' alla volta, centimetro per centimetro, perché una cosa è immaginarle e un'altr

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   6 commenti     di: mauri huis



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