Il silenzio tra i due uomini la fece da padrona fino all'arrivo in vetta della montagna, dove Jennifer li attendeva già da un paio di minuti, sempre controllata a vista da quattro uomini. Era stanca, confusa e ancora impaurita dal ricordo della lancia puntata contro la sua gola, ma nonostante questo riuscì a farsi forza nel vedere Liam concentrarsi su di lei. Quest'ultimo la guardò per un attimo con intensità, come a voler memorizzare ogni minimo particolare del suo corpo (che peraltro già conosceva), dopodiché spostò l'attenzione nuovamente su Lescard, fermo qualche metro più indietro.
"Una sola condizione signor Fletcher," dichiarò l'uomo alludendo al discorso avuto in precedenza. "Il sacrificio di una miserabile vita in cambio del potere che può offrirle quest'isola. Ci pensi!"
-Non posso fare una cosa simile! Jenny è troppo importante per me!-
"No che non lo è," rispose Lescard dimostrando ancora una volta di riuscire chissà come ad intercettare i suoi pensieri. "E lo sa bene anche lei malgrado cerchi di convincersi del contrario."
Il muro che nella mente di Liam stava a dimostrare tutto l'amore che provava per Jennifer aveva iniziato a sgretolarsi già da tempo, e quell'ultima frase costituì un ulteriore mazzata che andò dritta a minarne le fondamenta, facendolo traballare paurosamente.
"Quale sacrificio?" s'intromise Jennifer sempre più smarrita. "Liam, di cosa state parlando?"
"Sta' zitta Jenny," la rimproverò lui con durezza, senza nemmeno guardarla. "Non è il momento delle domande." Il tono la mortificò in una tale maniera che non riuscì ad aggiungere altro.
"Ha ragione Alain," annunciò Liam vergognandosi di ciò che stava per dire. "È inutile continuare a mentire, anche perché vedo che non le sfugge nulla."
Sul viso perfetto dell'uomo iniziò a formarsi un sorriso di trionfo, compensato dalla smorfia di terrore che invece distorse i dolci lineamenti di Jennifer.
"Perdonami tesoro," aggiunse amaramente, senza però riuscir
cammini tra la folla, ogni singolo muscolo è teso e pronto a scattare. Cerchi la tua preda ma sai che ogni angolo, tetto, cumulo di fieno o panchina può esserti fatale. Senti i battiti del tuo avversario controlli lo scorrere del tempo, molte le possibilità tanti i tentativi dieci soltanto i minuti per primeggiare sui tuoi antagonisti, perchè basta un avvelenamento, uno stordimento, un'uccisione contesa o un colpo di pistola all'ultimo secondo per mutare l'esito di uno scontro senza esclusione di colpi. Voi la chiamate finzione, gioco o perdita di tempo. Per milioni di noi, tutto ciò è amicizia, passione, competizione estro e ossessione perchè in un mondo in cui gli altri seguono ciecamente la verità, si piegano alla morale e alle leggi noi "Agiamo nell'ombra per servire la luce. Siamo Assassini. Nulla è reale, tutto è lecito."
Era una gelida giornata d'inverno quando decisi di voler attraversare quel bosco che tanto mi incuriosiva, quello che si trovava dietro la spiaggia dell'isola di Mayland, dove abitavo con mia nonna e mia sorella minore Juditte.
Erano appena le sei ma, per non farmi scoprire da nonna e da Juditte, era già fin troppo tardi. Mi lavai, mi vestii e cautamente mi avvicinai alla porta. Mi sentii chiamare.
-Alexia- era Juditte.
-Cosa c'è Juditte?-
-Niente.-
-E perché sei sveglia a quest'ora? È presto.-
-Ho avuto un incubo, sono venuta in camera tua ma non c'eri, volevo solo un abbraccio.- mi sciolsi. La sua voce calda e non molto acuta mi fece addolcire il cuore. Mi avvicinai e la strinsi a me.
-Dove stai andando?- chiese incuriosita.
-In spiaggia, torno verso le otto, per la colazione.- dissi, mentre le stampavo un bacio sulla fronte.
Accennò un sorriso.
Ricambiai e chiusi la porta dietro di me.
Erano passati dieci minuti, ma sapevo che per arrivare alla spiaggia ci voleva altrettanto tempo. Ero troppo eccitata e incuriosita, tanto che iniziai a correre rischiando di inciampare tra i sassi.
Ero arrivata in spiaggia, avevo il fiatone. Mi distesi sulla sabbia fredda e fissai il cielo ancora scuro.
Erano passati circa cinque minuti, penso. Mi alzai e iniziai a correre verso la fine della spiaggia. Vi era una rete metallica, molto alta ma non molto spessa.
Provai ad arrampicarmi, ma arrivata ad una certa altezza, le mie mani stavano bruciando poiché troppo forte era la stretta che avevo utilizzato per arrampicarmi.
Scesi giù con un salto, affondando le scarpe nella sabbia.
La rete si estendeva per circa venti metri e ai due poli vi erano due alberi. Oltre questi ultimi e la rete metallica non vi era altro modo per raggiungere i boschi, così decisi di arrampicarmi su uno dei due alberi. Erano comunque alti, ma sicuramente erano più spessi della rete metallica e nonostante non fossi in grado di arrampicarmi riuscii ad arrivare dall'altro l
Va bene cosa volete che vi dica è più forte di me, non ho paura dei topi, non ho paura dei serpenti non ho paura dei pipistrelli ma è più forte di me appena sento zzzzz, zzzz, zzzzz, ecco incomincio a far girare le mani di qua e di la che assomiglio Bruce Lee nel film dalla Cina con furore, ormai è diventato un incubo. sono capace a stare sveglio tutta la notte con la luce accesa e con l’ammazza mosche in mano alla ricerca di zanzare appoggiate alle pareti certe volte sembro Superman per come li vedo a distanza ma appena arrivo lì sferro il colpo e sono già scappati hanno un’abilità per scappare sembra che ci sia qualcuno nascosto con un joystick della play station in mano che appena alzo la mano per colpire tà gli danno il via e volano.
Un giorno d’estate insieme ad amici decidiamo di farci una settimana all’isola di Favignana, eravamo in quattro e come sempre ci capitava da giovani partivamo allo sbaraglio senza prenotare e senza mai sapere cosa trovavamo però avevamo la Fiat 128 habart rossa fiammante riempiamo il cofano con i nostri bagagli equipaggiamento per immersioni e per la pesca subacquea e via con la speranza di trovare una camera d’albergo libera (in pieno agosto puoi capire), comunque sia partiamo, prima tappa Trapani decidiamo di arrivarci in tarda serata così dormivamo in macchina in attesa del traghetto che partiva alle 05, 00 di mattina, tra me e me pensavo iniziamo bene dormire in macchina non è che mi piaceva tanto ma si tra ragazzi tutto questo è normale, comunque trovato un piazzale in terra battuta sperduto nelle vicinanze del porto ci fermiamo per dormire. Ah ecco tra un sonnellino e una manata in faccia di qua arriva l’ora di salire sul traghetto.
Favignana eccoci qui che bella quest’isola ancora selvaggia e si selvaggia perché non troviamo una camera per la notte e adesso che facciamo ci guardiamo e decidiamo dopo esserci informati ci fanno sapere gli isolani che in fondo la scogliera c’è la parte selvaggia
Anno 1963 quando il mare era ancora incontaminato e non esistevano colate di cemento sulle spiagge.
LA PARTENZA
Aspettavo con ansia il tredici giugno, giorno in cui chiudevano le scuole, la mia casa diventava in questo periodo una fucina di energia creativa. Iniziavano i preparativi per le vacanze estive. La mia famiglia assieme ad altre dieci del paese erano consuete passare i mesi estivi al mare. Mio padre aveva acquistato a Cagliari una grossa tenda da campo, si comprava facilmente in quei negozietti dietro il porto in via Sardegna, sempre pieni di indumenti e vettovagliamenti militari. Per poter piantare la tenda nella sabbia e renderla più solida aveva fatto costruire, dal fratello falegname, uno scheletro di legno i cui assi s'incastravano nella sabbia in pochi minuti, poi la tenda veniva adagiata sopra e zavorrata con dei sacchetti riempiti di sabbia.
I sacchetti venivano legati a delle funi che cadevano ai lati dell'impalcatura, cosi, anche se avesse soffiato un forte vento la tenda non si sarebbe mossa. A fine stagione, la tenda veniva lavata e poi riposta nella "cassa del mare" in soffitta. Il compito di separare gli ambienti interni nell'abitacolo e la disposizione dei pochi mobili era riservato a mia madre che, con tanta pazienza, cuciva delle lenzuola colorate e ricavava, in breve tempo, dei teli che separavano i vari spazi. La sala da pranzo era un rettangolo di sabbia, occupato da un grande tavolo di legno e da due panche disposte a destra e a sinistra del tavolo, dove prendevamo posto noi dieci figli, alternandoci uno grande ed uno piccolo per evitare che si ribaltassero, per il peso non ben distribuito; mio padre assieme a mia madre stavano a capo tavola, uno di fronte all'altro. Un altro spazio fungeva da camera da letto, era molto ampio, specie al mattino quando arrotolavamo le stuoie che avevamo disteso per la notte. Per cucinare era stato ricavato un angolo, dove troneggiava una vecchia cucina a gas con quattro fornelli ancora ben funziona
Finiva il mese di luglio di quell'anno particolarmente impegnativo in cui Carlo aveva dato tutto se stesso al lavoro. Alla famiglia come al solito un po' meno.
Quasi dieci ore al giorno tra ufficio e clienti da visitare per quasi tutto l'anno lo avevano di certo provato parecchio.
Carlo, cinquant'anni passati mentre gli mancano ancora molte lune per i sessanta, innamorato del suo lavoro è proprio un self made man. Dopo aver ricoperto incarichi importanti come dirigente presso multinazionali ha deciso a cinquantadue anni suonati che era il momento di mettersi in proprio.
Lo fa con due ex suoi colleghi che decide di prendere come soci alla pari, come d'altronde nel suo generoso carattere.
Una piccola azienda con dieci dipendenti tra cui i suoi tre figli a collaborare con lui che lo coinvolgono ancora di più. Personaggio molto conosciuto e ben considerato nel proprio settore e nella sua terra d'origine.
Dopo anni di assenza da vacanze e riposo decide che è il tempo di fare una pausa di riposo e riflessione.
Quindi telefona al suo carissimo fraterno amico Enzo.
Enzo, un siciliano trapiantato a Milano da una vita. Anche lui uomo arrivato, presidente di una banca estera, anche lui schiavo del lavoro accetta di buon grado questa inusitata proposta ma ad un patto.
Sempre schiavi della programmazione ad ogni costo decidono che dovrà essere una vacanza all'insegna dell'avventura.
Senza aver interpellato su questo ultimo importante punto le rispettive mogli, come ormai accadeva da tempo immemorabile, decidono che si va all'avventura.
Ci si imbarca dalla Sardegna per la Corsica, ovviamente nessuna prenotazione. Solo una cosa certa, la data di partenza e quella di rientro e via per questa avventura che vedremo poi rocambolesca, per certi versi un po' pazza e certamente inusuale per i due.
Mogli al seguito, caricate le due macchine ovviamente strapiene di valige voluminose contenenti di tutto e di più delle mogli, come se la vacanza dovesse durare sei mesi anz
In quel giorno, si proprio in quell'esatto giorno di primavera, anche se a quelle latitudini non vi è una grande differenza di temperatura;Grayson parlava di primavera, ne parlava come fosse importante quel giorno per quella tale cosa, possibile solo in quella data era possibile fare ciò che bramava da anni?
Grayson si avviò su per il monte, già da piccino sapeva che era pericoloso andare fino a lassù, ma lui scelse quella data par farlo e lo fece senza titubanza alcuna. Non era la cima il luogo più pericoloso di quella montagna ma bensì a mezzo cammino da essa, nel punto in cui si sente già il cambiamento di temperatura e l'aria si fa man mano più rarefatta; è lì il punto più pericoloso e Grayson ci sta per arrivare. Un vecchio colombiano gli diceva di non andarci mai in quel luogo maledetto, anche perchè se non conosci i sentieri ti ritrovi in Brasile e le guardie ti uccidono. Ma se non perdi l'orientamento e segui il tuo itinerario rigorosamente è certo che non sarai ucciso dalle guardie ma dovrai seguire ciò che il vecchio ti disse una volta, una sera mentre tu eri sopra al ramo della sequoia. "Lasciati sempre la luna alle spalle". Grayson notò che la propria ombra rispetto alla luna era disegnata a picco sul suo corpo, indefinitiva non vi era ombra alcuna, attese; alla luna non offriva mai le spalle, la sua ombra non si allungava, rimase fermo impietrito le fronde degli alberi iniziarono a schiaffeggiarsi le une con le altre le punte dei rami superiori stridevano come un branco di capre sgozzate le ombre degli alberi iniziarono a disgiungersi separandosi lentamente dalle piante, fu travolto da un vortice spettrale di sagome indefinite che lo accolsero nel loro templio. Era il 30 aprile 1966 e Grayson scomparse nelle tenebre mentre in California nasceva una nuova chiesa, quel giorno il sole non regalò ombre ai palazzi signorili di San Francisco.
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