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Racconti drammatici

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Davanti alla luce

Era uno sguardo allenato alle atrocità del mondo, quello che scorreva l'orizzonte sfuggente di uno spazio recintato da spine, analizzandone con scrupolo la struttura anomala, differenziata da curve inspiegabilmente non lineari.
La necessità di sopravvivenza lo imponeva sadica e la sua serva, la fame di conoscenza, offuscava occhi che non provavano più pietà per un universo che si era sempre mostrato con ostilità, nei confronti dei suoi bisogni più elementari.
Un lampo diverso, scoccato dal fango della vita, attirò la sua attenzione famelica, e l'insieme di ossa, tenute assieme da scarni legamenti attaccati a muscoli e nodi di grasso sanguigno, scattò teso e deciso verso la fonte della nuova luce, la quale prometteva di essere la chiave che avrebbe aperto la porta per fuggire da un dolore senza fine, confinato con lui nell'antro dell'aspettativa di morte, certa solo della propria atrocità. L'energia della spinta fece scivolare il corpo, sofferente dietro a quel cercare furioso, fino a fargli sfondare col muso l'ultimo ostacolo di feci, impastate di argilla e piscio, che celava il prezioso brillio e quegli occhi, dall'avamposto della disperazione che ansimava, misero a fuoco, con un'occhiata rapida, il nuovo bagliore affascinante e misterioso.
La delusione gli sorrise sprezzante, in un tremito che percorse tutto il suo piagato corpo, dal naso fino alla coda, aggiungendo un'altra ferita alla sua affievolita speranza: aveva trovato un'altra perla inutile, e la sua fame lasciata sola si vendicò, con un lancinante crampo di solitudine, spingendo i suoi occhi a cercare di nuovo, tra il liquame spento di quell'angusto e lurido porcile.

   0 commenti     di: massimo vaj


Blue hoar

Si ritrovarono invecchiati.. dopo anni di battaglie tra di loro,
di rinunce.. erano indeboliti..
sedevano davanti alla tele per caso videro una puntata di
molti anni fa, già era andata in onda qundo erano
giovani e raggianti..
A quel tempo il loro amore era tanto forte
da tenere a bada i loro caratteri,
lei vedendo quel dibattito cucinava e sbraitava contro la
televisione.. già.. e diceva:
"come fa una persona, una donna, a farsi togliere la libertà
e tutto ciò a cui tiene da un uomo!!
è colpa sua avrebbe dovuto lasciarlo già molto tempo fa!"
Ora composta stava su quel divano marroncino, coperto da un
lenzuolo forse più vecchio di loro e rovinato dall'ombra,
già.. povera.. era un divano che mai avrebbe comprato da giovane,
svaccato affianco c'era il marito.. si.. lui si sentiva
più forte che mai.
Le cadde una lacrima, non sapeva il perchè.. un filo di luce trapelava
dalla finestra illuminando le polveri sospese davanti al televisore,
pensò fosse quello.. poi poco a poco ricordò com' era il sole,
poi ricordò i campi della sua lontana terra, le risate e
la sua voglia di vivere infine ricordò che già aveva visto
quella trasmissione.
Scoppiò in lacrime.. già quella donna, quell'anziana donna nel
televisore, era diventata lei. Ed anche per lei era ormai troppo
tardi..
A fatica si alzò, coi crampi allo stomaco per la tristezza,
adndò verso la cucina.. a bere un po' d'acqua.
Li vide un coltello era quello che usava sempre il
marito quando insieme cucinavano, e si rese conto che nemmeno
più in quello era libera nè brava come un tempo.
Chiuse forte il pugno, quello sinistro, e piegò il braccio,
così vi ci appoggiò la lama e leggera la fece scivolare più volte.
In poco si sentì tranquilla e potè sorridere come un tempo,
era anche di nuovo morbida come quando giovane si coccolava
ed amava col marito. Si spense.
Lui così la amò e la strinse come un tempo
la baciò sulla

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   0 commenti     di: andrea macario


Storia di Nessuno che ha incontrato il Niente

Questa è una storia di poche pretese. Anzi, comincia come tante le altre: Vi una persona, un luogo e un tempo. E in questa, come in tante innumerevoli occasioni, si interrogano, si analizzano, si conoscono.
Solo una sottile ombra la differenzia dalla realtà e il noto: la situazione. La situazione in cui questi tre elementi s'intrecciano. Come un una foglia morta fuori stagione, come una persona che è nata dalla madre sbagliata, o come un segnale errato che ha scatenato una carica suicida in guerra, questa storia è sbagliata nel momento che è cominciata. L'assurdità, la coincidenza e la sfortuna si sono incontrati insieme, per caso, forse. O forse, più giustamente, per sbaglio. E adesso, un UOMO, il cui nome è insignificante, ha incontrato un LUOGO in uno spazio proibito, in un TEMPO dove mente e corpo si perdono come gocce di lacrime, disperse nell'eterne distese oceaniche di Europa. L'infinito è una luce troppo brillante per un mortale, il cervello umano troppo fragile per così tante informazioni, cosi tante immagini del nulla assoluto. Questo uomo capitò in un luogo dove l'Infinito e l'Eterno si scontrano con giochi di colori che non ci possiamo neanche immaginare, con colori che l'uomo non ha mai visto ne mai doveva farlo. Questa indifesa creatura vide, e soffrì, succube di un cervello impaurito, capace solo di rigettare l'impossibile comprensione di quelle immagini. Ma come distruggere tale ricordo? Come cancellare tale splendore? Piangevano i suoi sensi, rimbombava nel cuore l'anima.
Il povero umano tanto gridava di dolore quanto di terrore, così che le sue grida disperate furono trasportate dai venti solari, riempiendo di tenebrosi sentimenti i campi dell'ombra. Persi nel tempo, da millenni eterni. Sopravvivenza azzannò la disperazione, e la voce venne soffocata dal bisogno di riprendere fiato. Cancellare il terrore con la logica.
Ma in questo istante di silenzio, in quel secondo così caro ma perso nel diagramma del tempo, il disperato si ac

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Il suicidio di Ada F. ( terza parte)

La terza raccomandata arrivò fino ad una cittadina siciliana, nota località vacanziera e venne consegnata a tal Giovanni Lorusso, agente immobiliare, piccolo proprietario di appartamenti che locava con profitto durante le vacanze estive, amico stretto di alcuni politici locali che lo favorivano introducendolo in occasioni utili ai propri affari.
Lorusso era un personaggio alquanto noto nella sua cittadina, presente in tutte le circostanze pubbliche di rilievo, riusciva a farsi invitare a pranzi e cene con grande destrezza, anche per merito del suo carattere loquace, ma sempre attento a non parteggiare manifestamente per chi fosse più forte o più importante di lui. Sapeva celare bene la propria ambizione... Insomma, era un uomo che stava in equilibrio in una contesto sociale in cui facilmente " si momorava".
La raccomandata proveniente da una zona così lontana d'Italia, lo stupì di molto. Tranne qualche viaggio per affari a Roma, Lorusso conosceva soltanto Torino e Milano, né a dire il vero il resto dell'Italia aveva per lui un particolare interesse. Non era un viaggiatore, nemmeno per turismo. Né gli interessavano le bellezze artistiche.
Le uniche bellezze cui era sensibile erano quelle femminili, per avvicinare le quali gli erano più che sufficienti, durate la lunga estate sicula, la bella e lunga spiaggia locale, la impressionante scogliera e, di sera, i vari locali che si affacciavano luccicanti sul lungo mare. A quarantacinque anni Giovanni Lorusso, benché non potesse definirsi a pieno titolo un " bell'uomo ", onorava la categoria dei siciliani galanti e conquistatori. Gran parte del suo fascino gli derivava dal suo modo di parlare, con un accento regionale appena appena rilevabile e dal fatto di saper ascoltare. E le donne, si sa, amano chi le sta ad ascoltare...
Durante l'inverno , invece, quando le serate incombevano umide e battute dal vento, Lorusso se ne stava rintanato nel suo ufficio e

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Foglie di poesia

Sento ancora fischiare quel maledetto treno e rivedo lo sfasciarsi della bella primavera.
Non sapevo il perché o il come, né cercai di farmene una ragione.
La bottiglia di mandarinetto non riuscì ad ottundere i miei pensieri.
Tre anni di coccole, di progetti e d'amore, volatilizzati dietro a quel suo:
"Non ti importa niente di me, altrimenti mi seguiresti all'inferno."
Non lo so se il tempo sia galantuomo, ma come terapeuta non è male, quando si è giovani.
 
" Pronto, non si sente bene, ripetete con calma per favore."
"Sono io, ti voglio vedere, sabato, solito posto e solita ora."
Un clic, il suono della sua voce.
Nel cuore, brividi alla ricerca di una risposta diversa.
Andare o non andare all'appuntamento?
 
È bellissima, è lei.
Mi viene incontro di corsa.
Un saltello e mi balza addosso... come la ragazza di tanti anni fa.
Vuole essere perdonata, pur sapendo che non l'ho mai condannata.
La stringo a me, quasi a toglierle il respiro, non ho alternative.
Mano nella mano, ci incamminiamo lungo il viale.
 
"Questi alberi maestosi erano fanciulli, quando mi volevi bene."
"Sei sempre bella, come ti senti?"
" Come quelle foglie che non vogliono staccarsi dai rami, ho freddo, accarezzami."
"Ami sempre le foglie cadute?"
"Si, in ognuna di esse è scritto un verso di poesia."
"Eccola la nostra panchina, che squallore! Il solito Barbone che si scola l'ennesima bottiglia."
" Ciò che per noi è squallido, per gli altri potrebbe essere stupendo."
"È vero, sai che non ci avevo pensato, adagiamoci sull'erba, sono stanca."
" Ti ritrovo più bella di prima."
 
"Dillo ancora che sono bella, sono vanitosa e amo sentirmelo dire."
"Lo sai che sono geloso, tu sei sempre bella e a me piace ripetertelo."
"Ancora, ancora, dimmelo e smettila con le mani, no, no, continua."
"Ho prenotato una camera al Victoria Hotel, letti separati, staremo più a nostro agio."
" Mi toccherà unire i due letti, siamo adulti e a noi è dovuto quel qualcosa in più

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   8 commenti     di: oissela


A 13 anni soldato

Oggi è il primo giugno del duemilaotto, sono con mia madre, al calduccio fra le sue braccia rovinate da trent' anni di lavoro nei campi di grano; oggi è il mio compleanno.
Dodici anni fa nacqui a Naypyidaw, la capitale di Myanmar, con il nome di Kirikù, avevo undici anni quando il due Maggio si è abbattuto su di noi il Ciclone Nargis che ha spazzato via la mia baracca, mio padre, i miei migliori amici e la mia sorellina ancora in fasce.
Da quel funesto giorno mia madre non è più in sé, delira, urla, piange e si scortica il viso con le sue lunghe unghia che un tempo erano sempre pulite e curate; ma oggi sembra che si sia calmata, mi stringe a se, mi molla un bacio umido sulla mia guancia sudata e poi mi sussurra, quasi cantilenando, che da domani sarei dovuto andare a lavorare nella casa di un ricco signorotto in periferia, come domestico, perché non abbiamo più soldi e se non paghiamo l'affitto del magazzino del pesce in cui viviamo, ci cacceranno via.
Cerco di opporre resistenza ma ho sempre saputo che non avrebbe mollato, allora non discuto oltre, perché prevedo che mi arriverà un ceffone.
Mi sveglio al sorgere del sole, mi siedo sul mio pagliericcio umido e mi lavo la faccia con dell'acqua che mia madre era andata a prelevare nel pozzo in centro; mi vesto e poi esco, trovo mia madre sull'uscio mentre saluta il proprietario del magazzino, un'omone basso e tozzo.
Io e lei ci incamminiamo per le viuzze desolate che portano direttamente in un villaggio al centro di una foresta pluviale; nel nostro cammino abbiamo incontrato un imponente albero del mango, con i frutti dolci e succosi e ne abbiamo prelevato qualcuno per il nostro piccolo viaggio.
Dopo un'ora piena di cammino finalmente siamo arrivati alla casa del mio futuro padrone, una piccola struttura di tre piani cementata e rozza, ma si può considerare una residenza per ricchi dalle nostre parti.
Non c'erano porte, solo una specie di tenda fatta di foglie di banano, mia madre si avvicina

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Lo sa, ma non vuole dirmelo

Gli appuntamenti erano fitti, tra la giornata di lunedì e quella di venerdì mi restava giusto il tempo per guardarmi allo specchio e giocare con l'orecchino regalatomi da zio Tom. Passato il primo giorno della settimana, capii che la situazione stava cimentandosi sull'inverosimile, nel senso che se realmente mi ritrovavo nella realtà ero uno stramaledettissimo uomo fortunato: chi l'avrebbe mai detto che al primo colloquio di lavoro mi avessero preso? Eppure ero giovane, diciottenne, la mia vita la passavo tra il pub di Mostro Joe e le sbronze nella West Side. Non potevo rendermi conto della mia bravura, se non nel momento in cui le ragazze mi si avvicinavano senza alcun ritegno e, molto probabilmente, senza nessun preconcetto tradizionalista del cazzo il quale prevede che il sesso fa male "all'integrità della bontà d'animo". Come potevo rendermi conto della mia bravura attraverso questa idiozia? Semplice, ero bello. Ma certo: il colloquio era ricco di donne ma pure ricco di uomini, esperti, geni senz'altro, anche molto scrupolosi e pignoli direi. Però ero bello, ed ogni mia singola sfumatura errata ed ogni pezzo sbagliato della mia personalità, del mio carattere e della mia professionalità - se non della mia esperienza - passavano in secondo piano - perché appunto ero bello. Attenzione: non ero bella, ma bello. Sono un uomo. Può risultare strano agli occhi e alle orecchie di qualcuno che legge una cosa del genere: "un uomo sfonda nel campo del lavoro (qualsiasi lavoro) per la sua bellezza!" È un'oscenità? Non direi! Le donne sono belle e da un momento all'altro si ritrovano a ballare presso un programma televisivo che due giorni prima l'aveva ben inquadrata a fare la lap dance in un locale stracolmo di rozzi cittadini della contea, sbavosi, con birra e cannocchiale indirizzato verso le parti medio-alte e medio-basse del favoloso corpicino femminile. E perché mai non può essere bello un uomo? No, mi chiedo: una donna realizza i suoi sogni (?) grazie all

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   0 commenti     di: Claudio Morgese



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