username: password: dati dimenticati?   |   crea nuovo account

Racconti drammatici

Pagine: 1234... ultimatutte

Pazzia

E le ombre che si sciolgono, faranno da cornice in questo vento freddo. Dove tu viaggi, dove tu ami. Tu contempli la pelle, tu osservi l'asfalto. Diurno delirio, notturno ragionare di una mente distorta. Ubriaca vaga e ubriaca giace. Indifesa la mia anima trova delirio piacente, trova pazzia amata. Distesa al suolo io sudo grida dalla pelle. Armata di graffi uccido queste pareti, io evoco il mio cuore. Saprai sfamarti della luna e io del vento che taglia e geme e soffia. Ubriaco come la mia anima.



E=mc2

Sto nuotando. Ma non sento il tepore dell'acqua intorno a me. Ad essere sincera non sento nulla. Ecco, questa deve essere la sensazione che devono provare gli astronauti quando fanno le loro evoluzioni galleggiando nella totale assenza di gravità, solo che io non compio evoluzioni, me ne sto immobile, e la gravità mi inchioda.
Non vedo nulla, né colori, né ombre, né immagini, in compenso però ho un udito finissimo, posso sentire anche i sussurri dietro le porte, come quel personaggio di una serie televisiva di quando ero bambina. Come si chiamava?... ah ecco, ora ricordo, " La donna bionica", solo le che lei però vedeva anche a chilometri di distanza e correva più veloce del vento. Io no.
Ma non è stato sempre così, ci sono stati giorni in cui io vedevo, camminavo, ridevo, parlavo, vivevo. Ma è stato tanto tempo fa, oppure no. Non lo so più.
All'inizio ho cercato di tenere il conto del tempo che passava attraverso i rumori e i suoni che mi circondavano, poi, ad un certo punto tutto si è fatto confuso, e non sono più riuscita a distinguere il rumore stridente del carrello delle medicazioni del mattino da quello più ovattato del carrello delle medicazioni della sera, ed anche le voci intorno a me non hanno più seguito un mutare cadenzato dal tempo.
Potrei essere qui da un giorno, oppure da un anno, per me non fa nessuna differenza. Sono come un gigantesco feto immerso nel liquido amniotico, solo che ora per me nascita e morte coincidono.
Non sento dolore, né fame né sete, ma soffro ugualmente. Soffro perché sento la solitudine, la paura, la precarietà.
Quello della memoria è un meccanismo strano, posso ricordare perfettamente le filastrocche imparate all'asilo, i paradigmi dei verbi irregolari, i versi iniziali dell'Iliade e della Divina Commedia, ricordo perfino il nome del mio primo grande amore: un bimbetto di 7 anni biondo e dalle ginocchia perennemente sbucciate... ma non ricordo come ho fatto a trovarmi qui.
In queste lunghe ore

[continua a leggere...]

   0 commenti     di: Simona Durante


L'Odore della Pioggia

 La malconcia porta di legno si aprii e io, finalmente, fui fuori. Il vento della notte mi colpii violentemente alla faccia e mi riparai sotto la leggera maglietta del pigiama. Gli scarponi che avevo frettolosamente infilato nel buio erano gelati. Intorno a me l'aria odorava di pioggia. L'odore della pioggia, quell'odore umido che mi prendeva le narici e quello stesso odore che non avrei mai più sentito.
Qualcosa di freddo e umido mi sfiorò la mano : era il naso di Diana, il mio cane e il cane più bello mai esistito sulla terra. Le presi la testa fra le mai e le sussurrai, quasi potesse capirmi, quanto le volessi bene e che mai l'avrei lasciata sola.
Una promessa che non mantenni.
Ripresi a camminare. Con il mio cane al seguito.
Passai davanti alla porta della stalla e il rumore dei campanacci che ne proveniva dall'interno mi riempì il cuore di una felicità assoluta e provai a sentire l'amore sconfinato che provavo per tutto ciò, senza riuscirci : troppo grande. Provai ad immaginare gli animali all'interno che si muovevano e i più piccoli che bevevano il latte dalle loro mamme.
Arrivai alla piccola fontana fai da te e mi specchia per qualche secondo. Diana ne approfittò per abbeverarsi.
Proseguimmo fino a un piccolo ruscello e ascoltai il rumore monodico dell'acqua ma allo stesso tempo affascinante, un rumore che non avrei mai più sentito. Lo attraversai con l'agilità dell'abitudine.
Conoscevo quel sentiero a memoria, avrei potuto farlo ad occhi chiusi senza problemi. Ne conoscevo ogni filo d'erba, ogni sassolino. Tutte le volte che l'avevo percorso, e quella sarebbe stata l'ultima volta ma io di ciò non ne avevo alcuna coscienza.
L'odore dell'erba fresca mi arrivava dolcemente alle narici facendomi sognare. Iniziavo a rilassarmi.
Da lì a poco avrebbe piovuto, si sentiva nell'aria; l'odore della pioggia.
Finalmente giunsi alla mia meta : la cima.
Lì l'aria era molto forte e mi scompigliava i lunghissimi capelli neri. L'erba era alta lì più

[continua a leggere...]

   1 commenti     di: Traumer


Il corridoio di specchi

Rara dolcezza della vita! Gli aguzzini che mi avevano imprigionata seppero strapparmi, nonostante le mie suppliche, le mie continue richieste di non farlo più, urla di terrificante forza e altre espressioni di dolore con le loro severe mani e la loro arte raffinata che sapeva scaraventarmi fuori dai piaceri abituali: i dolci piaceri in cui nuotavo tutto il giorno.
Sotto le loro cure sputavo più saliva che lacrime. La soluzione ai quei dolori non erano che i piaceri successivi, amplificati e grandiosi, che mi avrebbero dilettato con la loro forza mortale e piacevolissima. E durante la tortura, potevo ripetermi: finir, finir e poi ti daranno da mangiare, da dormire su morbidi cucini, e tutto il resto. Avrei avuto infatti sempre grandi lussi ogni giorno, grandi piaceri, le migliori bevande da bere. E si veda in quei piaceri e in quelle voluttà solo il significato di un principio di magnifica durezza: “C’è speranza dopo la tortura!”. La mattina mi si avvicinarono gli aguzzini mentre io ancora mi crogiolavo tra bottiglie di champagne e cuscini e altre meraviglie di lusso.
Scesi dal divano-letto e mi preparai e entrare nella sala torture, che mi aveva accolta tante volte.
Ma proprio vicino alla stanza asettica e brillante che mi ricordava le ore di quella vita densa di sofferenza, la vita che mi aveva ospitato e che avvinceva e distruggeva nelle sue varie forme di sottile strazio, feci il gesto. Proprio davanti alla terribile stanza ebbi il fulmine di coraggio, come una scarica elettrica, un impulso magnetico. Una scioltezza, una velocità nei movimenti inconsueta, mi fece rizzare la schiena: afferrai una spranga di ferro che di solito usavano contro di me e colpii il primo di loro. L’altro cominciò a cercare di fermarmi, ma colpii anche lui. E ora picchiavo i corpi svenuti dei due aguzzini ed ero come pazza. Maledivo tutto e tutti urlando, e quando arrivarono i due “guardiani” colpii anche loro con una specie di furia paurosa, e li atterrai come gli a

[continua a leggere...]

   1 commenti     di: Yuri Bizzoni


Solo

Jonas scostò la tenda da un lato e sbirciò fuori.
“Jo-nas Jo-nas Jo-nas”
La folla acclamava il suo nome. Sembravano impazziti.
Era pronto per stupirli. Era da tempo che non provava quel numero ma l’occasione lo richiedeva. Sicuramente sarebbero rimasti a bocca aperta. Rimanevano tutti a bocca aperta quando faceva il “triplo jonas incrociato”.
Era un numero che si era inventato lui anni addietro e da allora in tanti avevano cercato di copiarlo ma senza riuscirci. Era la sintesi di tutto ciò che aveva imparato durante i lunghi anni di apprendistato con leggende del settore. Tutto ciò che aveva mai appreso condensato in una singola esibizione di un minuto e mezzo.
Chiuse gli occhi e visualizzò mentalmente la routine. Doveva essere tutto scolpito perfettamente nella sua mente. Bastava la minima esitazione e il numero sarebbe stato un clamoroso fallimento.
“Sei pronto? ”, disse una voce alle sue spalle.
Era Jenna, una delle ballerine. Aveva sempre avuto una cotta per lei. D’altra parte tutti avevano una cotta per lei perché era di gran lunga la più bella, la più aggraziata e la più, diciamo, disinibita di tutto il corpo di ballo.
In tanti, tra i membri del gruppo, raccontavano di scorribande sussuali con lei, vere e proprie maratone che duravano per intere notti. Jonas non ci aveva mai provato, era troppo timido e intimidito da quello che dicevano gli altri. Però, forse anche proprio per quello, lei era particolarmente affezionata a lui e lo incoraggiava sempre quando ne aveva bisogno.
“Sì, credo di sì. Tanto è come andare in bicicletta no? ”, disse senza alzare gli occhi, “Non si scorda mai, giusto? ”
“Giusto! ” disse Jenna sorridendo teneramente. Gli diede un bacino sulla guancia. “Falli secchi campione”.
Mentre aspettava che il presentatore annunciasse il suo nome, Jonas si rese conto che gli tremavano un po’ le gambe. Era da tanto tempo che non gli succedeva. All’inizio della sua carriera succedeva sempre e

[continua a leggere...]

   1 commenti     di: davide sher


Diventare Dio

Questa è opera di fantasia. Tutti gli avvenimenti e i personaggi sono immaginari. Ogni riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale.

La scala a pioli è alta e stretta, bucherellata dai tarli, resa viscida dallo sterco degli uccelli.
Continuo a salire verso la luce grigia che piove dalla botola là in alto.
I muri della torre sono di pietra scura, sporchi di polvere centenaria.
Mi sento sfinito, eppure continuo a salire aggrappandomi al legno fragile e tarlato.
In uno stato di tensione intollerabile mi concentro nello sforzo. Il prossimo gradino resisterà sotto il mio peso?
Salire in queste condizioni è pericolosissimo. Ad ogni passo il gradino può spezzarsi e rischio di cadere sfracellato.
Ancora uno sforzo. Ancora un altro.
Sento una sensazione di ansia infinita dentro di me, mista a sfinimento e paura.
A intervalli, le travi sottili e tarlate sorreggono alcune tavole che formano una specie di pianerottolo sfondato e cadente in più punti.
La poca luce che piove dall'alto rischiara le pareti anguste della torre alle quali è appoggiata un'altra scala.
Fino a quando durerà?
Con una sensazione di angoscia mi aggrappo ai gradini.
Continuo a salire e sento che la mia vita è appesa a un filo...
Non ha senso tutto questo.
É un sogno che si ripete ogni altra notte e mi fa risvegliare in un bagno di sudore freddo.
Che significato può avere? Ogni volta è un continuo spingersi su per scale insicure verso le sommità delle torri, verso soffitte, granai, celle campanarie...

*****

Dipingere mi fa sentire un Dio nell'attimo della creazione. Mi eleva dalle miserie della vita umana.
In quei momenti io immagino Dio come un supremo artista che ha creato l'universo per gioco. L'universo non è niente altro che il sogno e il gioco di un Dio.
Nessuno sa cosa provo quando stringo fra le dita un pennello. Toccarlo, mi dà brividi di voluttà. É come se toccassi un giovane sesso femminile, ma di più ancora.
É una esaltazione e un'estasi

[continua a leggere...]

   0 commenti     di: sergio bissoli


Glauco: terza parte

Erano passati tre anni, finita la guerra in giro erano rimaste più armi che roba da mangiare. In casa nostra eravamo ormai allo stremo e cominciavamo a non esser più sereni. Le cose andavano così: con quel poco che c'era, prima mangiava mio padre, poi mia madre e mia nonna (mia nonna quasi niente in realtà) e poi noi figli grandi, che dovevamo fare i lavori più pesanti, e infine le mie sorelle e i bambini più piccoli, se e quel che loro restava.


La fame d'allora, io me la ricordo bene, bisognava provarla per capirla: era come un busto che ti stringeva il torace e non ti mollava se non lo allentavi un po', e non lo allentavi se non mangiavi almeno qualcosa. Non importa cosa, non importa come. E quando qualcuno mangiava e tu invece no, l'avresti ammazzato! Padre, madre, fratelli e sorelle, era una gara unica: prima veniva lo stomaco, chiuso fino alla gola, poi la bocca e la lingua. Ricordo ancora bene le liti per un pezzo di pane raffermo, se e quando lo si trovava, e ricordo che, quando l'avevo in bocca, dovevo prima aspettare che si rammollisse almeno un po', e poi lo facevo sciogliere lentamente, senza masticarlo, così che durasse un pochino di più. Ricordo anche i cachi mangiati ancora duri, perché non si riusciva ad aspettar che maturassero, e le croste bruciate di polenta, scalpellate via dal fondo del paiolo, contese tra noi ragazzi e ragazze come veri bocconi del re.


Io allora lo guardavo mangiare, mio padre Egidio, mezz'ora prima di noi, insieme alla mamma e alla nonna. E mi dava un fastidio tremendo vedere come non si trattenesse, nonostante avesse poca fame, dal consumare anche l'ultimo boccone che aveva nel piatto. Mangiava quanto noi mangiavamo in due, e avevamo diciotto o vent'anni, del tutto incurante di quanto restasse poi da spartire per gli altri, cioè noi. Mi vergognavo da matti per lui e cercavo il modo di rimediare alla sua indifferenza.


Cibo serviva, cibo io portavo. Di nascosto. E di nascosto lo distribuivo ai miei fr

[continua a leggere...]

   6 commenti     di: mauri huis



Pagine: 1234... ultimatutte



Cerca tra le opere

La pagina riporta i titoli delle opere presenti nella categoria Drammatico.