username: password: dati dimenticati?   |   crea nuovo account

Racconti drammatici

Pagine: 1234... ultimatutte

Il mondo non è abbastanza

Una, due, tre, infinite volte compieva quel gesto malevolo di aspirare il fumo di una maledetta sigaretta. Ed ogni volta da quel balcone completava la sua opera. I peggior dieci minuti persi a crogiolare tra le paranoie ossessive che lo attanagliavano. Ancora una volta il telefono interruppe il suo viavai di informazioni estremamente pericolose. Rientrò di fretta, rispose, ammiccò un paio di volte, si recò all'uscio e s'incammino con passo svelto. Si domandava cosa potesse mai aver turbato la quiete di quella giornata, l'ozio quotidiano del dolce far niente. Era nevrotica l'ansia che iniettava nei suoi polmoni, ma quella volta non poteva divincolarsi, pur se appariva come un obbligo. Giunse frettolosamente nella sua abitazione: la trovò estremamente persa nel vuoto. Si tuffò su di lui, tra le sue braccia incredule, lo strinse ma lui non ricambiò l'abbraccio. Divenne seria, con le mani prese il suo volto attirando la sua attenzione degli occhi, gli si avvicinò e lo baciò. A nulla valse il vano tentativo di lasciare la presa; con un violento urto la scaraventò sul letto e cominciarono un'impetuosa unione. Che non durò molto. Di li a poco il gemito si trasformò in sussulto e dal sussulto divenne un esile ultimo respiro accompagnato da lancinanti sospiri di ultime parole "perdonami". Un frastuono riempì la stanza, grondarono lacrime, il suo corpo ancora adagiato in quella posizione così intima e misteriosa. Si rivestì, andò alle scale, ruzzolò. Si rialzò dolorante, avvicinò una mano al capo che rivelò un'evidente traccia di sangue e corse. Singhiozzava immensamente. -"L'ha fatto, ci è riuscita". Si accasciò per terra, ancora incredulo. Incrociò gli sguardi della folla che volontariamente si affrettava a cambiar direzione. "- È morta lo volete capire, mi ha usato. Non esiste più". Si rialzò con fatica e raggiunse il boschetto lì vicino dove si accasciò in un torpido pianto, mentre perdeva i sensi e il sangue ricopriva la guancia

[continua a leggere...]

   2 commenti     di: Felice Scala


Amnèsia

Pareti bianche, tende bianche, copriletto bianco : troppo caldo in questa stanza.
La mia prigione. L'unico luogo che conosco.
Da giorni il chiarore mi opprime. Mi alzo: come una lumaca appena uscita dal guscio avanzo nella stanza.
Socchiudo la finestra: sbarre grigie. Nebbia fuori e dentro di me.
Nel buio della notte un impulso a colori lampeggia.
Mi siedo sul letto. Chiudo e strizzo gli occhi : mi concentro.
Macchie informi, lampi di luce, nessuna immagine.
-Chi sono?
-Per chi esisto?
Ricordare, riconoscermi.
Le mie mani, il mio ritratto : pelle di serpente, linee viola gonfie intersecate fra loro, un solco sull'anulare sinistro.
-Fatemi uscire! Voglio andare via!
-Dove? Non lo so...
Mi accarezzo la testa : capelli rasi a pelle...
-Ahi!
Una cicatrice: una linea curva da un orecchio all'altro.
-Voglio vedere...
Mi alzo, vado alla finestra ma il vetro si offusca in continuazione.
Troppo caldo in questa stanza.
Ho deciso. Quando viene la signorina col grembiule bianco, sì quella gentile... quella che mi accarezza le mani, le dico:
-Uno specchio, dammi uno specchio.
Eccola, mi porta la cena.
Lo sapevo, non riesce a negarmelo. Sussurra:
-La prego non lo rompa, lo conosce il detto: sette anni di... Non mi sembra proprio il caso...
-Lasciami solo.
Lei esce.
Cosa mi succede? La mano esita, trema, perde forza : rinuncia.
-Cosa fai? Non hai il coraggio di guardare? Lo vedi, è meglio non sapere. La verità ti può uccidere.
- No... taci! Devo farlo. Devo conoscere la verità.
- Chi sei tu? Tu non mi appartieni. Tu sei l'alieno. Il visitor che è penetrato nel mio corpo.
Distolgo lo sguardo da quel viso riflesso ma il braccio, scheggia impazzita, torna indietro.
-Fermati, fermati. -grido alla mia immagine- Ti riconosco. La tua maschera mi può ingannare. Loro no, non possono mentire! Loro sono il mio subconscio esteriore. La parte più sincera di me stesso. I miei occhi blu.
Da domani ricomincio a vivere.



Concentrazione, invocare qualcosa che non può essere espresso in parole

"La lenta agonia di un fuggitivo, incapace di far chiarezza con se stesso. Il finto cuore di pietra. Le mani fredde. Sguardo perso, occhi distrutti dal tempo."

Una chiave, un filo, un nesso. Quale potrà mai essere il significato? Era in pericolo più che mai, forse una trappola, il camuffarsi sarà servito?
E che fine avevano fatto la precisione smisurata e la dedizione all'ordine in quella camera?
Breve resoconto: passato difficile, infanzia triste, carattere indomabile, quel segreto della normale diversità che gli aveva fatto perdere il senno: le cure, l'amore della sua bella amata, la crescita, la maturità, il nuovo crollo psicologico, la triste realtà di veder morire l'anima gemella, l'inganno, l'odio, la cattiveria sviscerale delle sue azioni, la fuga, la fortuna, l'incontro con persone del passato celanti parte del suo segreto, gli amici di famiglia, il ritorno di alcune vecchie azioni, paesi e lande desolate, la ricerca della verità, le paranoie che ritornano, gli indizi, il pericolo.
Dopo questo dilungarsi, si fermò. Scese dalla macchina, accese una sigaretta, cominciando a pensare a quella scritta piuttosto bizzarra, con quei codici.
Come nei più intricati rebus letterari in cui non vi era tempo necessario per spremere le meningi, anche lui faceva appiglio ai fugaci ricordi di quel breve lasso di tempo in cui la sua indole era sana e allegra.
Cosa poteva significare quella scritta, le prime tre lettere, intervallate da una dichiarazione d'amore perenne e duraturo e un codice, forse una password, una chiave d'accesso di un mondo ancora nuovo per lui.
L'unica cosa che capiva in quel momento era la F, l'iniziale del suo nome.
Risalì in macchina, percorrendo molte miglia. Non poteva permettersi di perdere così.
E il fuggitivo continuava la sua risalita.

Fine decima parte

   6 commenti     di: Felice Scala


Oltre la staccionata

Eccola la scogliera.
Imponente come un’espugnabile fortezza. Sotto i primi palpiti dell’alba Marty iniziò a scorgerne la sabbia color della neve. Lo stomaco si era ormai rivoltato come un calzino dopo ore di infinito tormento tra le onde dell’oceano. Aveva rimesso anche l’anima e faticava a mettere a fuoco le cose. “Chissà che razza di faccia avrò” pensò quasi divertito. Se solo avesse potuto specchiarsi era convinto di vederci riflesso una specie di cadavere ambulante, pallido e smunto come i ronzini che è solito incrociare lungo il sentiero che costeggia la fattoria. È proprio li, poco dopo il crocicchio della grande quercia, che aveva incontrato Caroline. Rimase folgorato all’istante: una dea bionda come il mare di grano che ondeggiava lieve alle sue spalle. Era meraviglioso osservare i suoi lunghi capelli luccicare al barbaglio delle stelle sotto il cielo di quasi estate. Distesi nel prato ascoltavano i sussurri del grande ruscello scambiandosi i sogni presso un punto qualsiasi dell’orizzonte oltre la staccionata della vecchia tenuta. “Ho deciso” disse una sera guardandola negli occhi “Tra due settimane parto per l’Europa. Ci ho pensato e mi sono detto che è il momento giusto”. Caroline lo guardò senza dire nulla. “La scuola è finita e prima dell’università credo che un’esperienza così possa farmi solo bene. Tu che ne dici? In fondo starò via solo per poco tempo. Lo sai anche tu come stanno le cose” . Lei continuò a tacere fino a quando non lo vide partire. Poi tornò a casa e si chiuse nella sua stanza ad aspettare. Anche Marty aspettava che il portellone si aprisse. Quanto desiderava mettere i piedi sulla terra ferma. “Ci siamo!” urlò il comandante. “Tenetevi pronti”. Il rumore del mare si fece più intenso mentre il portellone a prua si abbassava mostrando, in fondo, la bianca battigia. Bianca come la luce che s’accese improvvisa dentro Marty. Luce infinita che ti chiama. Ora sei già lontano, Mart

[continua a leggere...]



Microteatro parte 1: scriviamo la mia vita fingendo

PERSONAGGI:
- L'insicuro;
- La riccia;
- La testarda;
- Il simpatico;
- Il custode.
ATTO PRIMO
SCENA UNICA
Due sedie. L'insicuro e il simpatico discutono.
SIMPATICO: E così andrebbe a finire? Perché? Perché mai?
INSICURO: te l'ho detto migliaia di volte. Non ce la faccio.
SIMPATICO: PERCHE'? devi fregartene. Se va, bene, se non va, meglio.
INSICURO: meglio?
SIMPATICO: ah, scusa, ma ti sei visto? In questi giorni sei praticamente un cadavere.
INSICURO: no, non è vero.
SIMPATICO: VEDI? Vedi che neghi sempre l'evidenza?
INSICURO: io? Ce l'hai forse con me?
SIMPATICO(rivolgendosi al pubblico): ce l'ho forse con lui?
Il simpatico si alza dalla sedia e va dritto verso la prima fila. Indicando una ragazza riccia le chiede di alzarsi, e lei lo fa. Rivolgendo di nuovo lo sguardo verso l'insicuro:
SIMPATICO: era con lei che parlavo, idiota! come hai fatto a non accorgertene?
INSICURO(voltando le spalle) : FANCULO!
RICCIA( parlando all'orecchio con il simpatico) : posso tornare a sedermi?
SIMPATICO( con tono alterato): che domande sono mai queste? Si interrompe così una piece teatrale? CHE SVERGOGNATA!
(con tono pacato) però ti perdono, dai, vieni a sederti con noi.
INSICURO: e su quale sedia, furbone?
SIMPATICO: e menomale che doveva essere insicuro. Fottiti!
INSICURO: ma fottiti tu, stronzo!
SIMPATICO: come mi hai chiamato?
INSICURO: hai sentito benissimo. Ti ho chiamato stronzo. STRONZO. S- T-R-O-N-Z-O. Se vuoi te lo ripeto.
SIMPATICO: fallo.
INSICURO: STRONZO!
SIMPATICO(rivolgendosi alla ragazza, quasi incredulo): l'ha fatto di nuovo. (Alzando lo sguardo verso l'insicuro) Per questa volta sei perdonato, ma alla prossima non scappi. Ti ricordi ancora l'ultima volta eh? ( con sguardo compiaciuto si rivolge al pubblico mostrando i muscoli).
INSICURO: quale? Quella volta che sei finito in ospedale dopo che quei ragazzi rumeni ti avevano riempito di lividi? Oh, si che me la ricordo.
Il pubblico scoppia a ridere. Il simpatico arrossisce

[continua a leggere...]

   4 commenti     di: Andrea


Linea di aangue

Nella immensa città di San Francisco, nel 1997 viveva un piccolo boss locale di nome John Talbot, Un uomo di 51 anni dalla corporatura alta e forte, i capelli brizzolati, gli occhi blu e un carattere cinico e sarcastico.
John si occupava di contrabbando di armi e spaccio di droga, dirigeva i suoi affari assistito dal figlio Morris un uomo di 30 anni che gli somigliava molto nella persona e nella forza, ma dotato di un carattere ancor più feroce e maligno che spaventava tutti quelli che praticavano con lui, talvolta persino il padre. John aveva anche una figlia più piccola di nome Sarah, una bella ragazza molto somigliante alla defunta moglie, che contrariamente al fratello aveva un carattere dolce, un animo nobile, e la passione per l'arpa. Per non sporcare questa sua natura il padre la teneva nella sua villa e nelle migliori scuole private attorniata da personale e amicizie scelte e lontana dai suoi affari.
Per la protezione sua e di suo figlio John aveva al soldo 8 sicari denominati gli avvoltoi. Questi erano uomini scelti per la loro abilità nelle armi e nel combattimento corpo a corpo, vestivano in abito nero con cravatte gialle per creare una impressione di distinzione, ma al contempo di dejà vu, e svolgevano i lavori più delicati e rischiosi per conto del loro capo; non si allontanavano mai troppo dal boss e dai suoi due figli e vivevano con lui nella sua villa. I nomi degli avvoltoi erano: Harvey Preston, Lucas Dent, Dan Taylor, Marc Simpson, John Stark, Derek Madsen, Cormak Stevens, e Jerry lohan. Tutti loro erano uomini con un passato infelice alle loro spalle, fatto di abbandono minorile, maltrattamenti e povertà che avevano deciso di darsi al crimine per arricchire e trovare felicità, così erano diventati gli scagnozzi dello spregiudicato Talbot, il quale soddisfatto dei loro servizi sembrava trattarli con premura.
Il più caro e vicino al capo fra tutti gli avvoltoi era John Stark, un ragazzo di 28 anni, con capelli castani, occhi verdi e un

[continua a leggere...]



Nessun dorma!

L'osteria era un perfetto campionario della varia umanità del paese e così accanto al farmacista, di giorno impettito e di sera compagno di bisbocce, sedeva il salariato, rotto dalla fatica del lavoro nei campi; fianco a fianco stavano poi i cornificatori e i cornuti e spesso interpretavano entrambi i ruoli.
Benché si formassero dei gruppi, quando l'argomento di uno diventava interessante si perveniva a una formidabile compattazione e allora, fra frequenti innalzamenti di voce, risate sguaiate e moccoli ben aggiustati, la serata proseguiva come una grande festa, in una vera e propria simbiosi collettiva.
Del resto, i personaggi non mancavano, con le loro storie, in parte inventate, sì che l'impressione era di trovarsi a una corte dei miracoli.
Prendiamo il Guercio, tale Annibale Chiocchetti, ma chiamato così per via di quell'occhio che gli mancava, perso in guerra, e sostituito con una sfera di vetro non ben fissata e che ogni tanto, sporgendo eccessivamente dall'orbita, gli cadeva sul tavolo, dove saltellava fra i bicchieri e il fiasco di vino. Se non fosse bastata la menomazione a connotarlo, c'era il suo acuto spirito di osservazione: nulla e nessuno sfuggiva al suo sguardo. La circostanza non sarebbe stata una gran cosa, se non fosse stata accompagnata dai coloriti commenti che uscivano dalla sua bocca sdentata.
Né si accontentava di argute e ridanciane osservazioni, ma si divertiva a coniare nomignoli di ognuno e, quasi sempre, del tutto azzeccati.
Così l'affossatore comunale Ludovico Bianconi, il più cornuto in paese, era conosciuto da tutti, lui compreso, come Tricorno, mentre sua moglie, ninfomane emerita, era chiamata Unapertutti. Non c'era cattiveria, però, in questa esaltazione delle disgrazie e dei vizi altrui, ma solo un eterno spirito da ragazzini che con i lazzi e gli scherzi evadevano la monotona realtà quotidiana.
A volte, tuttavia, lo scherno incupiva o rattristava il soggetto preso di mira e alla fine la risata degli altri lasciava

[continua a leggere...]




Pagine: 1234... ultimatutte



Cerca tra le opere

La pagina riporta i titoli delle opere presenti nella categoria Drammatico.