Salve, mi chiamo Artur, ho 69 anni e una storia da raccontare.
Questa storia è realmente accaduta e ha lasciato in me segni che non potrò mai cancellare, segni che rammentano la mia debolezza... la debolezza di ogni uomo che pensa di farcela con la propria forza.
Tutto ebbe inizio nove anni fa, quando ero un uomo diverso da oggi, quando pensavo che la vita era uno stupido scherzo, quando pensavo che il destino di ogni uomo era nascere, crescere tra mille difficoltà e morire nel dolore e nella consapevolezza di essere stato inutile, di non aver raggiunto un vero scopo che possa far nascere in te la soddisfazione di aver vissuto.
Premetto che fino a 10 anni fa ero ateo, confidavo fermamente nella scienza, nel progresso e in altri valori... ma non nella speranza, il più grande tra questi.
Il fallimento dell'impresa edile in cui lavoravo, il divorzio da mia moglie, la morte di mio figlio di soli dieci anni mi fecero cadere in una grave depressione.
Non avrei mai creduto che mi sarebbe successa una cosa del genere, pensavo di essere caratterialmente ed emotivamente abbastanza forte da superare ogni difficoltà... ma evidentemente mi sbagliavo; ora sono qui che scrivo, senza pensare troppo alle parole e alla correttezza delle frasi, per testimoniare la mia storia e farvi riflettere su cosa è giusto porre la vostra totale fiducia.
Era una sera d'estate, ero stato licenziato da un mese, lo stesso mese del divorzio e della morte di mio figlio.
Mi trovavo nel giardino di casa mia, seduto su una sedia a dondolo e avevo quasi preso sonno, quando sentii delle voci provenire dalla mia camera da letto; mi sembrò strano, visto che ero l'unico ad abitare li.. pensai fossero i ladri.
Andai a vedere, il televisore era acceso, sintonizzato su un canale che non era mia abitudine vedere e il volume era al massimo. Io lo spensi quasi indifferente, stavo troppo male per raggionare correttamente e me ne andai a dormire.
In piena notte, erano circa le due, sentii un rumore
La stanza era buia. Sempre buia. Smin non si muoveva mai da li. Stava costantemente attaccato al suo computer. Era un tossico del multimediale. Non parlava più con nessuno. Neanche con i suoi genitori. Si svegliava presto e trascorreva tutta la giornata davanti allo schermo. Rimaneva con la testa china fino a tarda notte. A volte non dormiva neanche. Smin era un ragazzo a posto prima di assuefarsi totalmente alla tecnologia. Aveva un sacco di amici, aveva anche una ragazza. Il pc era diventato il surrogato di ogni sua relazione interpersonale. Viveva per quello strumento. Era chiuso sempre in casa, non voleva vedere più nessuno. Molti dei suoi amici avevano provato a smuoverlo di li. Centinaia di chiamate, al telefono, al citofono, fuori dalla finestra. Lui voleva rimanere su quella sedia. Voleva soltanto la sua virtualita'.
Il tempo passava, e lui non combinava niente. Non lavorava, non studiava, non coltivava nessun affetto, nessuna relazione reale. Aveva solo la sua tecno-tossicita'. Fisicamente non era più lo stesso. Stare davanti allo schermo tutte quello ore gli aveva compromesso la vista. Si era ingobbito, aveva messo su venti chili. Tutti si chiedevano che cosa ci facesse tutto il tempo sul computer... Chattava, ma non con amici o conoscenti. Parlava con persone che sapeva non avrebbe mai potuto incontrare nella realta', nel quotidiano. Era terrorizzato dai contatti umani, non ne voleva più sapere di avere a che fare con l'umanita' in genere.
Il motivo è ignoto. Non si sa come mai questo ragazzo con una vita regolare, con una stabilita' affettiva e una normalita' disarmante avesse chiuso i rapporti con il mondo. No, non ne voleva sapera più nulla. Non c'entravano delusioni, inculate, prese in giro. Non aveva avuto nessun problema con nessuno. Smin aveva preso la sua decisione, aveva firmato il suo contratto con l'asocialita'. Come ho detto prima, chattava. Stava su un sito molto famoso per i patiti del web. Parlava con tantissime p
"In quanti sono?" La domanda resta senza risposta. Dall'edificio nessun cenno, l'appello ad arrendersi era caduto nel vuoto, dopo un breve silenzio echeggiarono numerosi colpi di arma da fuoco e un rumore di vetri in frantumi. In Piazza Savonarola non si era mai visto un simile dispiegamento di polizia. Le voci corrono e dietro le transenne la folla di curiosi era tale che gli agenti faticavano a contenerla. "Ci sono dei morti?" Nel ripostiglio, poco più di un armadio, si respira a fatica, sembra impossibile che uno spazio così angusto possa contenere due corpi. La paura fa miracoli. Le raffiche avevano lasciato il posto al silenzio interrotto solamente da grida incomprensibili e da una voce prepotente che alternava ordini a minacce. Aveva fatto appena in tempo a spingere Sara e chiudersi alle spalle il battente, a salvarli era stato il vetro della finestra che per un istante aveva riflesso l'immagine di due uomini armati che si facevano largo tra la fila in attesa. Non aveva pensato a nulla, aveva solo dato retta al suo istinto. Sara tremava e non riusciva a smettere di piangere. "Stai zitta, se ci scoprono, ci ammazzano". Per tutta risposta sentì un liquido caldo sulla gamba e l'odore acre di urina, Sara tentò di giustificarsi, Filippo la strinse ancora più forte ripetendole di tacere. Le labbra erano talmente vicine che le parole sembravano sbatterci contro. Adesso sentiva quel corpo aderire al suo, la paura non gli impediva di provare emozioni sempre più forti. Il buio era totale, non c'era spazio per nessun movimento, era difficile anche respirare, l'aria era poca e la polvere accumulatasi negli anni non aveva apprezzato quell'intrusione. Il forte odore di urina era l'unico segno vitale, qualcosa cui aggrapparsi per continuare a sentirsi vivi. Ogni rumore anche il più piccolo trasformava la paura in terrore e il silenzio non migliorava le cose. Si sforzò di essere razionale, doveva rimanere concentrato, lucido, se voleva salvarsi, doveva ragionare, dove
[continua a leggere...]In quei giorni il telefono squillava continuamente, Roman si precipitava a rispondere, parlava a voce bassa, non riuscivo a capire cosa dicesse. La signora mi chiedeva se avevo notato qualcosa di strano in casa, perché il figliolo era più taciturno del solito. Un giorno, a tavola, Roman ci disse che il movimento studentesco che si riuniva clandestinamente, aveva notizie incoraggianti. Operai e giovani volevano manifestare e scendere in piazza contro il governo. "Potete venire anche voi-disse-quanti più siamo meglio è! anche tu piccolo puoi venire a gridare che hai fame!". Disse rivolgendosi a Samuel. Ci informò che la manifestazione era pacifica, che dovevamo solo urlare e cantare. Naturalmente bisognava trasferirsi in una grande città, per passare inosservati, in mezzo alla folla. Nel nostro piccolo paese, ci avrebbero subito messo in galera prima ancora di scendere per strada. La signora Alina aveva una sorella, a Timisoara, che lavorava in ospedale, faceva l'infermiera, non si vedevano da tanti anni e sarebbe stata felice di accoglierci. Bisognava predisporre tutto, organizzarsi per il viaggio in treno. Io ero desiderosa di partecipare, avrei portato il piccolo con me, era giusto? Forse si! doveva tenerlo ben stretto nella memoria, questo viaggio! Il mio pensiero ogni tanto.. però vacillava.. pensavo che sarebbe stato pericoloso portare Samuel nelle piazze a manifestare. Forse stavo già perdendo il contatto con la realtà. Sognare rende tutto più fluido, conduce in un universo imprevedibile, ignoto, come una notte senza luna nel deserto. È da ingenui pensare che tutto possa cambiare scendendo in piazza, che i tempi duri possano finire. . chissà.. l'immaginazione è come un incantesimo. Per me sarebbe bastato poco per avere una vita migliore, avevo desideri semplici, passioni e ambizioni limitate. Ora non possedevo neppure questo. Riflettevo e i dubbi si dissipavano.. cosa mi sarebbe potuto succedere? Niente! assolutamente niente, era una manifes
[continua a leggere...]È un non vivere questo, pensava.
Da tre mesi come morto dentro. Senza di lei.
Perso nei meandri dei pensieri, dei sogni, dei ragionamenti e delle congetture d'ogni tipo che gli solcavano la mente, arandola per lei.
Preparando un terreno che non verrà mai fecondato.
Il treno fischiava lontano, si avvicinava, ma era ancora perso nell'orizzonte.
In quello spazio sconfinato ai suoi pensieri ed ai suoi desideri.
Non riusciva a non pensarla, lo sguardo sempre lontano, verso est.
Verso quel grigio così triste circondato d'erba, con i contorni sfumati, quei due binari che si perdevano verso l'infinito.
Verso tutto ciò che desiderava.
E in quei momenti spiegare a sè stesso il fiume di sentimenti e pensieri che lo attraversavano, era impossibile.
Lui per primo si stupiva dell'intensità, dello spessore del suo Amore.
Giacchè altro non poteva essere, se non Amore.
"Le convinzioni, più delle menzogne, sono nemiche pericolose della verità".
Nietzsche, gli risuonava sempre nella mente.
Riportando continuamente a galla tutti gli errori che aveva commesso con Giselle.
La gelosia, la mancanza di fiducia, il rancore per tutti gli errori sbattutigli in faccia, seppur commessi a fin di bene.
Il cercare a tutti i costi di riaverla. Com'era.
Un sogno diventato umano dunque. E con le sue fattezze. Ed impossibile.
Aveva fatto e detto tutto, ed il contrario di tutto, pur di non perderla.
Ma era più forte di lui.
Quando gli sembrava di averla riconquistata, il suo carattere riusciva a farla scappare nuovamente.
Porgendole inconsapevole la sua verità, quella che lei gli sputava in faccia per ritornare a volare..
Così tante volte.
Ed ora sentiva che non sarebbe mai più tornata.
Aveva tentato con tutte le sue forze di dimenticarla, di comprimere, di ridurre con uno sforzo supremo tutto questo sogno, a niente.
Ma non gli era riuscito, non riusciva a cancellare quei suoi occhi neri. Profondi.
Non poteva lasciare quella
Con l'arrivo del nuovo anno, la pioggia di bombe su Castelforte migliorò e di molto le sue prestazioni.
Una donna con quattro bambini si recò in un casolare nascosto tra gli ulivi, per trasformare in pane, la bella farina bianca di cui disponeva.
Si preparava a sfornare quando dal cielo arrivò la bomba aerea. Due bambini erano stati fatti a pezzi. La Poveretta ne raccolse i brandelli e li depose nella madia. Col triste carico sulla testa e due figli attaccati alla gonna ritornò al paese. Il dolore le fece compagnia durante il tragitto. Le belle verdi colline erano state spelacchiate dalle seimila bocche da fuoco, che vomitavano il loro orrore.
La giovane donna, il marito e i due figli fuggivano, sotto le cannonate, per raggiungere la grotta dove c'era la salvezza. Fu costretta a fermarsi per guardare il marito, centrato da una scheggia. No. I cani e i corvi non avrebbero fatto scempio di quel corpo caldo. Stava sistemando le ultime pietose pietre, quando arrivò la classica ciliegina sulla torta.
Un'esplosione terribile che vanificava il suo lavoro e i due figli gravemente feriti.
Uno dei due s'era avvinghiato a lei e con uno sforzo ai limiti del possibile, la donna se lo caricò sulle spalle. S'incamminò, mentre l'Altro urlava - Mamma non mi lasciare- -Torno subito a prenderti- Fu la promessa. Giulia mise in salvo il primo figlio. Tornò indietro dal Secondo, che era stato abbandonato. Lo troverà morto e dispiaciuto.
Triste incombenza quella mattina di gennaio, per il giovane soldato dai capelli biondi. I primi raggi del sole arrivarono assieme al proiettile che esplose.
Dei cinque soldati tedeschi quattro si salvarono. Il quinto aveva il ventre aperto e le budella che fuoriuscivano. Urlava... urlava... urlava. Urlava troppo quel soldato tedesco. Dopo essersi fatto il segno di croce, il suo camerata dai capelli biondi Lo giustiziò in un "amen". In quel di febbraio del 44, ci fu il finimondo.
I civili scappavano da tutte le parti e i militari,
“Non è certo per me, lo capisce…. se dipendesse da me aspetterei, ma sa’….. gli altri condomini ci tengono, ne fanno una questione di principio, di decoro del palazzo, e insomma…. ambasciator non porta pena, ecco”.
Ma che cazzo stai farneticando, vecchio bastardo? Lo so’ che ci godi a mettermi in difficoltà, ti fa sentire importante essere il capocondomino di questa fottuta palazzina piena di dignitosissimi impiegati, pensionati, commercianti; tutti sempre molto precisi nei pagamenti, inappuntabili nel rispettare le scadenze, e sempre favorevoli a qualsiasi spesa tesa a migliorare il decoro dello stabile, e quindi anche il loro.
“Si certo, lo so che non dipende da lei signor Copello, ma lo sa che mi ero opposto fin dal principio a questa spesa, e lei sa anche il perché”.
“Ma andiamo, signor Motta, un cancello elettrico e le telecamere a circuito chiuso davanti al portone sono di gran classe, e poi servono alla sicurezza di tutti”.
Alla sicurezza di tutti? Brutto stronzo…. servono solo a farvi sentire tutti soddisfatti del vostro nuovo giocattolo, ed a far sembrare questa palazzina di periferia abitata da quei ricchi la cui apparenza inseguite da una vita, illudendovi che sia sostanza.
“Si, ma io quei mille e trenta euro non ce li ho, capisce? Non li ho!!!”.
“Ma cosa vuole che siano mille e trenta euro, mi sembra una quota ragionevole per una simile miglioria, e poi…non pretenderà certo che siano gli altri a coprire la sua parte, no?”.
No che non lo pretendo, maledetto idiota, ma non li ho, lo capisci? Non li ho!
Sento il suono della sua voce sempre più lontano, ed anche la sua immagine sembra sbiadire mentre parla.
Mi rendo conto che in realtà non può capire, non può sapere, non può intuire cosa significhi dover lottare per sopravvivere giorno dopo giorno anche solo per conservare un po’ di dignità.
Non può sapere cosa significa dover cambiare strada per non passare davanti al macellaio al quale devi pochi euro,
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