username: password: dati dimenticati?   |   crea nuovo account

Racconti drammatici

Pagine: 1234... ultimatutte

Glauco: terza parte

Erano passati tre anni, finita la guerra in giro erano rimaste più armi che roba da mangiare. In casa nostra eravamo ormai allo stremo e cominciavamo a non esser più sereni. Le cose andavano così: con quel poco che c'era, prima mangiava mio padre, poi mia madre e mia nonna (mia nonna quasi niente in realtà) e poi noi figli grandi, che dovevamo fare i lavori più pesanti, e infine le mie sorelle e i bambini più piccoli, se e quel che loro restava.


La fame d'allora, io me la ricordo bene, bisognava provarla per capirla: era come un busto che ti stringeva il torace e non ti mollava se non lo allentavi un po', e non lo allentavi se non mangiavi almeno qualcosa. Non importa cosa, non importa come. E quando qualcuno mangiava e tu invece no, l'avresti ammazzato! Padre, madre, fratelli e sorelle, era una gara unica: prima veniva lo stomaco, chiuso fino alla gola, poi la bocca e la lingua. Ricordo ancora bene le liti per un pezzo di pane raffermo, se e quando lo si trovava, e ricordo che, quando l'avevo in bocca, dovevo prima aspettare che si rammollisse almeno un po', e poi lo facevo sciogliere lentamente, senza masticarlo, così che durasse un pochino di più. Ricordo anche i cachi mangiati ancora duri, perché non si riusciva ad aspettar che maturassero, e le croste bruciate di polenta, scalpellate via dal fondo del paiolo, contese tra noi ragazzi e ragazze come veri bocconi del re.


Io allora lo guardavo mangiare, mio padre Egidio, mezz'ora prima di noi, insieme alla mamma e alla nonna. E mi dava un fastidio tremendo vedere come non si trattenesse, nonostante avesse poca fame, dal consumare anche l'ultimo boccone che aveva nel piatto. Mangiava quanto noi mangiavamo in due, e avevamo diciotto o vent'anni, del tutto incurante di quanto restasse poi da spartire per gli altri, cioè noi. Mi vergognavo da matti per lui e cercavo il modo di rimediare alla sua indifferenza.


Cibo serviva, cibo io portavo. Di nascosto. E di nascosto lo distribuivo ai miei fr

[continua a leggere...]

   6 commenti     di: mauri huis


Un sospiro di sollievo

Vinnie Santoro si bloccò su due piedi nel bel mezzo del vicolo scuro. Non gli era appena tornato in mente di dover comprare le sigarette, non aveva realizzato di colpo quanto fosse dura ed ingiusta l'esistenza. Non aveva neanche pestato una merda. Si era fermato col cuore in gola e il respiro strozzato perché la morte l'aveva raggiunto.
Il vicolo era una venuzza infetta tra due sanissime e vigorose arterie, un budello ingombro di immondizia che persino i topi di fogna disprezzavano. Al di fuori di esso la città era inondata di luce come il tappeto rosso di un gran gala, ma in quel passaggio infernale era notte fonda per via degli alti edifici che lo piantonavano e delle scale antincendio che rubavano anche quella miserabile lacrima di sole che si protendeva in un moto di assoluta pietà.
Incurante del puzzo di urina e decadimento, Vinnie rimase fermo a fissare il nulla. Non aveva visto niente, in effetti, né l'oscurità l'avrebbe permesso, ma quando aveva udito il suono dei passi che echeggiava lungo il vicolo dall'altra estremità non si era fatto alcuna illusione. Conosceva quel suono, suono di suole dure su cemento marcio, il tocco disgustato di scarpe buone fuori luogo. Non c'era verso che un alto dirigente si trovasse a passare di lì, né che un poveraccio avesse fatto fortuna e fosse tornato a raccattare i cartoni nei quali aveva dormito fino alla notte passata. A quei tempi un ricco non posava mai i piedi sulla strada ma solo sui tappetini della sua Mercedes Benz; quanto alla fortuna, beh, semplicemente non esisteva.
Solo la morte poteva aver deciso di passeggiare da quelle parti, e solo perché ci stava passando lui.
La sfuggiva da settimane, ormai, tanto che ci aveva fatto abitudine. Era cauto quando scendeva dal letto, quando infilava le chiavi nella porta di casa, quando se ne stava seduto al bancone di un bar; sceglieva le strade più isolate e lorde, perché se è vero che per i più erano quelle maggiormente pericolose, per lui erano u

[continua a leggere...]



Sogno di un passato lontano

"Ma nonna non posso portarti fuori!"
"Ti prego tesoro, è il mio ultimo desiderio, portami via da qui, poi mi riaccompagni stasera, promesso"

È così che si trovano a vagare per un boschetto verde e rigoglioso, con la carrozzina per nonna Tina e un piccolo badilino pieghevole legato dietro lo schienale.
Solo ora Janine si rendeva conto di quanto quel luogo fosse magico in tutte quelle sfaccettature di vita (e morte). Il verde era prepotente attorno al sentiero sterrato dove la sedia a rotelle aveva qualche difficoltà a proseguire dritta senza tremare ogni secondo per sassolini o i piccoli rametti caduti dalle piante che coprivano anche le loro teste.
Tina in quella piccola parte di mondo si sentiva a casa, era libera, libera di piangere, di ricordare e rilassarsi.
Procedeva lungo il sentiero sterrato, tutto attorno a lei era verde e rigoglioso, tutto era vivo e i pochi raggi di sole che raggiungevano il sottobosco conferivano a tutto un'aria quasi fatata.
E ricordava, ricordava di quell'amicizia troppo forte per essere dimenticata, quel bene così forte che non avrebbe mai potuto scordare nemmeno col passare di 60 anni esatti quel giorno. Sessant'anni senza lei, una vita senza la sua migliore amica, 21, 900 giorni dove il suo angelo l'aveva guardata da lassù.
Janine la accompagnò in un punto esatto sulla destra della stradina e inizio a scavare col piccolo badile in un punto sotto una roccia ricoperta interamente di muschio. Dissotterrò una valigetta marrone in pelle e la porse alla nonna poi la guardò negli occhi mentre i suoi si riempivano di lacrime. Le diede un bacio sulla fronte e si allontanò ripercorrendo la strada dell'andata.

Tina spinse la sedia a rotelle poco più avanti e poi chiuse gli occhi e i ricordi tornarono a ravvivarle la mente.

Correvano, correvano veloci, quasi come il vento che scompigliava i loro capelli mori e biondi mentre i loro occhi ammiravano tutto attorno a loro e i loro due giovani cuori, senza che se ne a

[continua a leggere...]

   1 commenti     di: Giulia


GIULIA 1 Presentazione parte II

Nessuno mai si premurò di indagare su di un fatto così apparentemente strano e inusuale, anche perché, contemporaneamente, Giulia cominciò a perdere l’uso della vista.

C’è invero tutta una letteratura scientifica che spiega come una piccolissima anomalia genetica, possa inevitabilmente condurre alla cecità totale, una persona altrimenti perfettamente sana; il fatto è, che, per il momento almeno, non c’è via di scampo né possibilità di guarigione, e Giulia a neanche quattro anni, restò al buio, per il resto dei suoi giorni.

Ci sono cose che si accettano, magari dopo un macerante percorso di dolore, ed altre che invece si rifiutano in toto, la mamma di Giulia dopo aver percorso il calvario di medici, ospedali, specialisti omeopati, santoni guaritori, viaggio ed immersione nelle “sante” acque di Lourdes, crollò; “astenia depressiva” fu la diagnosi, e le conseguenze furono, in questo ordine: rottura dei rapporti affettivi col marito e conseguente separazione, allontanamento dalla città, o meglio “fuga”, con ritorno a casa della vecchia madre, in un piccolo borgo del Salernitano; perdita del lavoro. Ed ora è lì, in campagna, in perenne stato vegetativo, accudita dai vecchi parenti come fosse una neonata, incapace perfino di nutrirsi.
Non che al padre sia andata molto meglio, perso l’aiuto economico dello stipendio della compagna, ha dovuto cedere l’appartamento ad una coppia subentrante, sia fra le mura di casa che nel mutuo; ha accettato, su consiglio del primario dell’Ospedale Civile che la piccolina venisse portata in una struttura per nonvedenti ( si, perché non sono ciechi, bensì nonvedenti!) ha poi, accettato dalla sua azienda, un trasferimento a Napoli, dove avrebbe potuto rimanere, se non altro, più vicino alla sua Giulia.

continua...

   8 commenti     di: luigi deluca


Era mio padre

Ero molto stanco. Avevo lavorato fino a tardi e arrivai a casa a mezzanotte passata.
Mi mossi nel buio della casa; vi abitavo da abbastanza tempo da orientarmi anche senza luce accesa.
Mi spogliai e andai a lavarmi. Poi m'infilai sotto le coperte.
In quel momento udii un tuono infrangere il silenzio di quella notte, e la donna con la quale convivevo da più di cinque anni, si girò sul fianco e mi salutò.
Ricambiai e mi distesi anche io.
Assonnata mi disse: "Oggi pomeriggio ti ha cercato una donna..."
"Chi era?"
"Ha detto di chiamarsi Linda."
Il mio sguardo si pietrificò, e ringraziai di essere al buio.
"Cosa voleva?"
"Ha detto se potevi fare ritorno giù in Campania. Ha detto che un certo signor Daniele sta per morire. Ha lasciato il recapito telefonico e mi ha detto di riferirti che l'indirizzo è sempre lo stesso."
Deglutii e subito mi mancò il respiro. Rimasi in silenzio finché lei mi domandò: "È qualcosa di grave, è qualcuno che conoscevi?"
Esitai.
"No, tranquilla", continuai ponendomi al lato opposto al suo. "Torna pure a dormire."
In quel momento un lampo m'illuminò il viso, e tutto mi ritornò in mente come un boomerang.

Me ne stavo seduto sulle scale a studiare una poesia quando udii delle grida provenire da casa. Mi precipitai dentro: nell'ingresso papà aveva preso mia sorella per il collo e aveva cominciato a schiaffeggiarla, mia madre gridava di lasciarla andare. Corsi contro mio padre e lo presi per le braccia, ma i suoi muscoli erano più formati di quelli di un bambino di dieci anni quale ero io. Così mi afferrò e mi scaraventò contro il muro.
Quando caddi a terra dolorante, era come se tutto si fosse placato. Cessò tutto, tranne il pianto di mia madre e mia sorella che una abbracciata all'altra, singhiozzavano.
Io avevo i lacrimoni anche se non volevo darlo a vedere.
Mio padre mi fissò spaventato. Poi mi venne in contro e mi tese una mano. Non volevo restituirgli il gesto, ma avevo paura. Così allungai la

[continua a leggere...]

   9 commenti     di: Roberta P.


Ferite di guerra

Era una primavera fatta di tiepidi giorni quella del 1940, una stagione come si deve, con le rose che sbocciavano vellutate e rigogliose e il grano che svettava verde nei campi. Sarebbe stato un anno come gli altri, se non si fosse avvertito nell’aria il cupo brontolio, come di un temporale estivo, di una tragedia che sembrava avvicinarsi ineluttabilmente.
Già si combatteva in Francia, anzi le truppe tedesche erano ormai dilagate nel territorio d’oltralpe, dopo aver fagocitato la Polonia ed aver annichilito il Belgio e l’Olanda. Insomma la guerra lampo sembrava dar ragione ancora una volta all’ometto con i baffi che strepitava a Berlino proclami su proclami e che con sicumera si sentiva padrone del mondo.
L’Italia, alleata della Germania, pareva in attesa, come una spettatrice interessata, ma che non aveva nessuna voglia di pagare il biglietto.
Benito Mussolini tentennava, si barcamenava, ma più passava il tempo e la vittoria della Germania sembrava certa, più si crucciava di non essere della partita, di non avere il suo angolo di gloria.
Gli italiani, in verità, non è che tenessero molto a scendere in campo, peraltro a fianco di quell’alleato di cui non serbavano un buon ricordo fin dalla prima guerra mondiale.
La propaganda, però, agiva sottilmente: non era forse vero che in Etiopia ci si era coperti di gloria? Le nostre tradizioni romane non ci solleticavano a prendere parte a un conflitto dall’esito ormai rapido e sicuro? La nostra Marina non era la più forte del Mediterraneo e la nostra aviazione, quella della grande trasvolata di Balbo, non era ammirata in tutto il mondo?
Queste argomentazioni, opportunamente insinuate nelle coscienze, cominciarono a dare i loro frutti e piano piano molti finirono con il convincersi che la guerra sarebbe stata una semplice passeggiata, una delle tante parate così ben architettate da Starace.
Abbracciò quest’idea anche Annibale Chiocchetti e come lui quasi tutti i giovani del paese, che sembrav

[continua a leggere...]



Due ragazzi morti nel Parco seguito

Nonostante i tentativi della Magistratura, di preservare le famiglie dei due giovani, dalla curiosità a volte anche morbosa, dei media di ogni genere, a circa due settimane dalla loro morte, si è saputo in giro chi fossero i due ragazzi vittime di questa assurda tragedia; i loro veri nomi sono girati velocemente con effetto tam-tam e le due famiglie si sono ritrovate, nonostante il legittimo e incommensurabile dolore, a dover affrontare il fastidio della stampa impietosa.
Il nostro giornale, si distingue per il rispetto del dolore, ed offre alle famiglie coinvolte, il proprio sentito cordoglio.
Resta comunque aperta la legittima domanda dei nostri lettori:
perché un ragazzo di 17 anni e una ragazza di 15, provenienti da tranquille famiglie della media borghesia cittadina; ragazzi che, a detta dei conoscenti e dei compagni di scuola non mostravano apparenti segni di disagio o squilibrio, perché dunque, ragazzi così sono ricorsi ad una soluzione talmente drastica come appunto il suicidio?
Dato che è questa l’ipotesi più accreditata dalle risultanze delle indagini.
Il nostro giornale è disposto ad accettare la collaborazione di chiunque, conoscendo i giovani in questione, possa aiutarci a rispondere a questa dolorosa domanda
(E. M.-M. A.)


°°°°°


Abbiamo ricevuto in redazione, giusto ieri, una lettera manoscritta, l’abbiamo fotocopiata e immediatamente dopo, passata alla Magistratura, poiché, se le analisi e gli accertamenti di autenticità ci daranno ragione, si tratterebbe di un documento autografo, vergato proprio dai due giovani così tragicamente scomparsi.
Solo dopo che il Magistrato ci avrà dato la necessaria autorizzazione, provvederemo, nel rispetto della dignità delle famiglie delle vittime, a renderla pubblica.
(E. M.-M. A.)

   1 commenti     di: luigi deluca



Pagine: 1234... ultimatutte



Cerca tra le opere

La pagina riporta i titoli delle opere presenti nella categoria Drammatico.