username: password: dati dimenticati?   |   crea nuovo account

Racconti drammatici

Pagine: 1234... ultimatutte

L'Odore della Pioggia

 La malconcia porta di legno si aprii e io, finalmente, fui fuori. Il vento della notte mi colpii violentemente alla faccia e mi riparai sotto la leggera maglietta del pigiama. Gli scarponi che avevo frettolosamente infilato nel buio erano gelati. Intorno a me l'aria odorava di pioggia. L'odore della pioggia, quell'odore umido che mi prendeva le narici e quello stesso odore che non avrei mai più sentito.
Qualcosa di freddo e umido mi sfiorò la mano : era il naso di Diana, il mio cane e il cane più bello mai esistito sulla terra. Le presi la testa fra le mai e le sussurrai, quasi potesse capirmi, quanto le volessi bene e che mai l'avrei lasciata sola.
Una promessa che non mantenni.
Ripresi a camminare. Con il mio cane al seguito.
Passai davanti alla porta della stalla e il rumore dei campanacci che ne proveniva dall'interno mi riempì il cuore di una felicità assoluta e provai a sentire l'amore sconfinato che provavo per tutto ciò, senza riuscirci : troppo grande. Provai ad immaginare gli animali all'interno che si muovevano e i più piccoli che bevevano il latte dalle loro mamme.
Arrivai alla piccola fontana fai da te e mi specchia per qualche secondo. Diana ne approfittò per abbeverarsi.
Proseguimmo fino a un piccolo ruscello e ascoltai il rumore monodico dell'acqua ma allo stesso tempo affascinante, un rumore che non avrei mai più sentito. Lo attraversai con l'agilità dell'abitudine.
Conoscevo quel sentiero a memoria, avrei potuto farlo ad occhi chiusi senza problemi. Ne conoscevo ogni filo d'erba, ogni sassolino. Tutte le volte che l'avevo percorso, e quella sarebbe stata l'ultima volta ma io di ciò non ne avevo alcuna coscienza.
L'odore dell'erba fresca mi arrivava dolcemente alle narici facendomi sognare. Iniziavo a rilassarmi.
Da lì a poco avrebbe piovuto, si sentiva nell'aria; l'odore della pioggia.
Finalmente giunsi alla mia meta : la cima.
Lì l'aria era molto forte e mi scompigliava i lunghissimi capelli neri. L'erba era alta lì più

[continua a leggere...]

   1 commenti     di: Traumer


Abissi di paura

Estratti repertoriati del diario di Nathaniel Crowe, rinvenuti nei pressi di Cala Scirocco, Isola di Montecristo

(Reperto A)
Forse sto per farcela. Finalmente il sogno di una vita, di studi approfonditi e ricerche infinite sta per regalare i frutti sperati. L’antro è piuttosto stretto ma me lo aspettavo. Dovrei percorrere ancora una distanza di circa trecento metri, dopodiché, secondo la mappa disegnata dal professore, dovrei ritrovarmi direttamente nella grotta della Villa, la misteriosa spelonca nella quale, ormai è certo, la famiglia Spada nascose il proprio prezioso, immenso tesoro.
Per fortuna ho con me la torcia, spero che la luce sia sufficiente per consentirmi di percorrere l’intero tratto che mi divide dalla fortuna che sto per abbracciare. Credo di aver percorso circa duecento metri, eppure la stanchezza inizia a farsi sentire. Il cunicolo presentava un diametro all’incirca di un metro per cui i primi passi sono stati difficoltosi, ma non impossibili. Improvvisamente il tunnel ha iniziato a scendere con pendenza maggiore e la circonferenza si è ristretta. Ma non posso tornare indietro. Ormai sono arrivato fin qui. Devo procedere, a qualsiasi costo.

(Reperto B)
Era un piovoso mattino, il solito piovoso mattino londinese quando di buonora il professor Milton mi convocò a casa sua. Mi presentai trafelato, la sua voce eccitata e scossa m’indusse a ritenere che dovesse comunicarmi qualche evento di particolare importanza, di quelli che non possono attendere oltremodo.
Entrai che sedeva dietro la scrivania, con un cenno mi invitò a sedere di fronte a lui. La governante mi porse una tazza di thè bollente ed ascoltai quanto il professore avesse da riferirmi.
“Mio caro Nathaniel,” esordì “tu sai quanti anni ho dedicato allo studio di questi testi”.
Compresi subito a cosa si riferiva. Per l’ennesima volta mi mostrò i libri e le cartine della misteriosa Isola di Montecristo, nell’Arcipelago Toscano, luogo arcano ed oscuro, l

[continua a leggere...]



Il mondo non è abbastanza

Una, due, tre, infinite volte compieva quel gesto malevolo di aspirare il fumo di una maledetta sigaretta. Ed ogni volta da quel balcone completava la sua opera. I peggior dieci minuti persi a crogiolare tra le paranoie ossessive che lo attanagliavano. Ancora una volta il telefono interruppe il suo viavai di informazioni estremamente pericolose. Rientrò di fretta, rispose, ammiccò un paio di volte, si recò all'uscio e s'incammino con passo svelto. Si domandava cosa potesse mai aver turbato la quiete di quella giornata, l'ozio quotidiano del dolce far niente. Era nevrotica l'ansia che iniettava nei suoi polmoni, ma quella volta non poteva divincolarsi, pur se appariva come un obbligo. Giunse frettolosamente nella sua abitazione: la trovò estremamente persa nel vuoto. Si tuffò su di lui, tra le sue braccia incredule, lo strinse ma lui non ricambiò l'abbraccio. Divenne seria, con le mani prese il suo volto attirando la sua attenzione degli occhi, gli si avvicinò e lo baciò. A nulla valse il vano tentativo di lasciare la presa; con un violento urto la scaraventò sul letto e cominciarono un'impetuosa unione. Che non durò molto. Di li a poco il gemito si trasformò in sussulto e dal sussulto divenne un esile ultimo respiro accompagnato da lancinanti sospiri di ultime parole "perdonami". Un frastuono riempì la stanza, grondarono lacrime, il suo corpo ancora adagiato in quella posizione così intima e misteriosa. Si rivestì, andò alle scale, ruzzolò. Si rialzò dolorante, avvicinò una mano al capo che rivelò un'evidente traccia di sangue e corse. Singhiozzava immensamente. -"L'ha fatto, ci è riuscita". Si accasciò per terra, ancora incredulo. Incrociò gli sguardi della folla che volontariamente si affrettava a cambiar direzione. "- È morta lo volete capire, mi ha usato. Non esiste più". Si rialzò con fatica e raggiunse il boschetto lì vicino dove si accasciò in un torpido pianto, mentre perdeva i sensi e il sangue ricopriva la guancia

[continua a leggere...]

   2 commenti     di: Felice Scala


La città è un mostro dai mille tentacoli

<Ho le mani piene di sangue cazzo. E poi dove sono, che cazzo di vicolo è questo?>
Mi sono ritrovato qui con le mani sporche di sangue. Qui a terra in questo vicolo.
È notte.
Prostitute
Tossici
<Hei amico, dove scappi, non vuoi divertirti un po' questa sera>

La città è un mostro dai mille tentacoli.
Scappa, lontano scappa.
Di chi è questo sangue, di chi è!!
Non sono ferito, ho i pantaloni che indossavo oggi al lavoro.
Sono nella via principale della città.
Vetrine di vestiti alla moda, in cui specchiarsi.
Faccia da spettro, occhi di morte
Una coppia di adolescenti mi guarda spaventata, hanno interrotto le loro effusioni e si sono spostati.
Emano angoscia.
Luce blu.
Manette

Il parco giochi, mio figlio sull'altalena, ride felice, lo guardo dondolarsi. Il mio ragazzo sta crescendo.
-Forza Peter, spingi quell' altalena, vola lontano


Francesca amore mio, come sei bella oggi, la tua pancia che cresce. Nostro figlio che nasce, i tuoi capelli decorazioni lunari. Sorridi.
I tuoi seni, che sono miei
Andiamo Francesca ti porto al mare, non stiamo qui oggi.

E tu chi sei?
Lasciatemi cristo. Lasciatemi.
<Signor Jackson stia calmo>
<Chi siete? Chi cazzo siete voi?!>
<Lasciatemi andare, la mia famiglia mi sta aspettando Oggi è il compleanno di mio figlio. Per favore!>
Il dottor Philips, dentro il suo camice blu, barba incolta, figlia di notti insonni, non riesce a capire.
<Signor Jackson, lei non si ricorda nulla vero>
<Cosa dovrei ricordare, maledetto bastardo fammi uscire>

Una gabbia di pareti bianche mi rinchiude, sono due anni che sono qui, da quel maledetto giorno.
Queste pareti che si stringono attorno alla mia testa.
Spremono i miei ricordi.

Casa
<Francesca, amore sono tornato.>
Un silenzio si estende per la casa come muffa sulle pareti
Il cuore mi pompa dentro al petto, fino ad esplodere
Sangue
Corpi sventrati
Peter e Francesca sono stati uccisi.

Rewind
<Francesca amore sono tornato>
il cigolio di un

[continua a leggere...]



Il giovedì, una città.

Miriam cammina rapidamente  lungo via Giolitti. Un'andatura a zig zag fra le vetrine che si guardano dai marciapiedi opposti. Marco la segue da dieci minuti, da quando ha lasciato il bancone del bar Dolceamaro a Guido, per il  cambio. Gli ha chiesto il favore di anticipare il turno perché sa di poter intercettare Miriam all’uscita dalla  clinica privata.
Guido è il padrone ma anche un amico, un vecchio amico e non è stato difficile convincerlo. Solo sette anni fa  Guido organizzava i turni dello spaccio nel quartiere dove Marco si procurava da vivere per sé e per la madre. Poi Guido puntò più in alto,  passò alle staffette di coca  tra la Turchia e Brindisi. In tredici mesi era riuscito a mettere da parte un discreto capitale ma non ancora sufficiente per aprire un’attività pulita. Serviva almeno il doppio, per un anticipo ai fornitori e per una garanzia  in banca. Non fu difficile per Guido legarsi a doppio filo con quelli dello “strozzo” che facevano incetta di capitali sporchi e li riciclavano nel giro d’usura. Bastava solo aver pazienza e rispettare le regole. Se dopo due mesi ti abbassavano la percentuale di qualche punto, con la scusa che il commerciante non era stato puntuale, si doveva tacere e soffocare i moti di rabbia, specie quando sapevi per certo che il commerciante, quello, aveva pagato fino all’ultimo soldo il debito e gli interessi. 
Adesso è fuori, Guido, fuori dal giro ed il bar va bene anche grazie a Marco che non l’ha mai deluso per come rispetta le regole e l’amicizia. Fu lui stesso a proporre alla madre del ragazzo il lavoro al bar sapendo che gli avrebbe anche risolto i problemi con l’assistente sociale per la relazione finale. 

Quella sfasatura di dieci minuti fra i turni di marco e Miriam,  li  ha sempre costretti a chiedere piaceri ai colleghi per anticipare o posticipare  il cambio, di lei o di lui. Ma stamattina Marco l’ha chiamata poco prima delle undici, per dirle  che si sarebbe t

[continua a leggere...]

   1 commenti     di: Carlo Diana


Ventisettembreduemilanove

Ciao Vincenzo,
anzi ciao Enzo. È così che ti facevi chiamare, così che amavano chiamarti tutti. È già passato un anno, un incredibile, lunghissimo anno. E non ci sei più. Dove tu sia finito non saprei dirlo, il perchè neanche. Non avrebbe alcun senso cercare di rispondermi. So soltanto che esattamente un anno fa, il ventisettembreduemilanove ti ho perduto per sempre. E nessuno potrebbe capire, nessuno. Il dolore che si prova. Il vuoto, la solitudine, l'amarezza, l'odio. Ho odiato il mondo, la vita, tutte le persone che mi circondavano, per molto, troppo tempo. Nessuna di loro, niente, mi sembrava dovesse meritare attenzione. In fondo sono state la mia salvezza e tu lo sai bene. Addio Enzo, addio. Perchè sei andato via in autunno? Amavo così tanto questa stagione. E le foglie morte, raccontarti di noi due per mano in riva al mare senza smettere di ridere. Perchè proprio in autunno? Quante volte ho desiderato di svegliarmi, che sciocca, e trovarti in camera, come sempre, con la tv accesa e il telecomando a terra. I tuoi libri, le poesie, i cd ordinatissimi e la tua mania di conservare tutto. Nessuno potrebbe capire, nessuno. O forse si, ma non saprei condividere il mio dolore. Che ora ho imparato a custodire gelosamente, come un dono, come qualcosa che non si chiede, di cui tu sola conosci il potere devastante, la capacità di distruggerti fin dentro l'anima. E ho desiderato di morire con te. Cos'altro altrimenti? Cosa avrei potuto desiderare se non annientarmi. Ma ho saputo allontanare anche questo. L'istinto si domina, il dolore un po' meno. Questo ti succede quando non credi più a nulla, quando tutto è lontano da te, non hai la forza di reagire, di sperare, di avere fiducia, tantomeno fede. Quella non mi ha mai aiutato, mai mi aiuterà. So che se fossi qui mi diresti di non essere così ingenua, così stupida. Ma non ci sei, altrimenti avrei amato quelle parole una ad una. Tutte. Come mai prima d'ora. Sopravvivere a te è sopravvivere ad una ragione di

[continua a leggere...]

   2 commenti     di: Riccardo


Mondo Sommerso

Sommersa. Il fumo d'improvviso si fece più fumo. Non so come spiegarlo. È una sensazione che solo se sei lì in quel posto puoi capire. I polmoni diventano neri, gli occhi grigi, i capelli madidi di sogni infranti, il cervello diventa poltiglia. I pensieri sgorgano come mare di petrolio. Tutto così intaccato. Mio Dio... come ne usciremo. Ne usciremo vivi? Non lo so... non ho mai saputo niente.
Vedo la mia città così grigia, il mio mondo così sporco. Apro la finestra e sento la gente parlare. Lì fuori c'è vita falsa. È la morte che arriva al sospirare di ogni parola, al sospirare ed al respirare. Incredula rimango immobile, non riesco a fare nulla. Non parlo e non mangio. Ma! Parlo!
E mangio anche! Sciocca. Sciocca e stupida. Ho gli occhi appannati. Vedo bianco e livido.
Vedo livido. Vedo lividi enormi e pesti. Il dolore pervade le strade. Così nere... così. Senza nome è il mondo. Senza faccia e dignità. Senza noi. Ci vorrebbe luce. C'è ma non la vogliamo... sciocchi.
I piedi pesanti camminano sul dolore. Un dolore nero ed oppresso. Il sorriso nasconde dolore. Chi non sorride in realtà è felice? Il sorriso delle persone è falso: vogliono nascondere il dolore che portano dentro. L'ho sempre pensata così. Ridi per nascondere. Da come ridi capiscono i dolori che ti hanno trafitto, oltrepassato e i dolori che stai sentendo nell'attimo, in quel momento sputato di respiro, non durerà che un secondo di più. Il secondo in più che mi serve per esaminarti fino alle viscere. Mi serve per esaminarti l'anima..
Ho visto anime sudicie. Poche pure ma molte oscure. Ho visto cose da capogiro e da svenimenti che neanche la memoria è in grado di riprodurre. Dov'è il problema?
Se riesci a vedere così in profondità. Devi temere della gente così. Una passata di sguardi e ti leva l'anima, la condiziona. E lentamente la divora.
È l'essenza dell'essere il mare. È parole mai dette, è me è te. È parole senza senso con un senso più profondamente

[continua a leggere...]

   3 commenti     di: Federica.



Pagine: 1234... ultimatutte



Cerca tra le opere

La pagina riporta i titoli delle opere presenti nella categoria Drammatico.