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Racconti drammatici

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IL GUSTO DELLA VITA

(Gerardina)

Gente che va e che viene, senza sosta e senza riguardo per chi soffre. Vengono preparati come per una festa o un incontro conviviale senza invito; col sorriso idiota stampato sulle facce e profumati, come travestiti in calore. Si siedono sui letti, alzano la voce come se fossero al bar, con uno sguardo globale e compassato alla camerata ed ha chi sta rantolando, pronto ad esalare l'ultimo respiro.
Io me ne sto per i casi miei, nell'attesa paziente della mia ora, godendomi qualche infermiera decente e le carezze di mio figlio, che spera ancora di riportarmi a casa per il novantacinquesimo compleanno. Povero figlio mio! Non ho sbagliato a volergli tanto bene da dare l'impressione di preferirlo agli altri, ma era solo un modo di ricompensarlo per tanta dedizione. L'unica cosa che mi dispiace è di non avere con me la mia Gerardina, con le sue chiappe dure ed il sorriso di Sisina, una simpatica contadinotta dell'agro, che sapeva ben soddisfare le mie esuberanze giovanili. Non è che Maria, l'ostetrica paganese, non sapesse fare all'amore, ma non aveva estro e pensava esclusivamente al suo piacere. Tanina, invece, una splendida trentenne del mio paese, sapeva come accendermi: misteriosa e graffiante, giocava con i miei capelli biondi, alitandomi sull'orecchio come una gattina in amore. Ma la più spregiudicata era Nobile, una brunetta senza scrupoli, che correva dietro tutti i pantaloni del quartiere. Olga, poi, era la "Maddalena" della situazione, per lei ogni occasione era buona per "festeggiare" alla sua maniera. Bianchina era una bambola tascabile, bruna, delicata e piccolina, sospirava come Giulietta da Rimini davanti al suo Romeo. La sua vocina era tutta un fremito, quando veniva a prendere il piacere nel folto giardino di mio nonno, profumato d'aranci e biancospini.
Ma ecco l'infermiera che ritorna, speriamo che non aggiunga altre flebo a questa che sta finendo.
- Eccolo qua, il mio simpaticone!-
- Cosa posso fare p

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   3 commenti     di: Franco pastore


Lo strazio di Anna

L'afflitto sguardo di Anna non cessava di scrutare l'irto monte sovrastante il paese. Il suo sfortunato sposo doveva essere lì, nascosto in qualche umida spelonca, in perenne fuga dall'umana giustizia.
L'altrui infamia non gli aveva lasciato scelta: sotto la pesante accusa di un omicidio mai commesso, Salvatore aveva intrapreso l'ardua via dei monti, per i quali errava ormai da più di un anno. Tale sorte crudele aveva diviso i due giovani innamorati a soli due anni di felice matrimonio, seminando ancora una volta tremendi odi, destinati a causare profonda sofferenza. Non si vedevano ormai da mesi, l'azione repressiva delle forze dell'ordine non dava tregua! La recrudescenza del banditismo aveva portato il governo ad adottare pesanti misure atte a debellare il fenomeno: aumento della pubblica forza, massiccio intervento dell'esercito, arresti finalizzati all'isolamento dei banditi, utilizzo di informatori. Gli incontri furtivi divenivano sempre più rischiosi...

Il foglietto ingiallito stava lì, fra le mani del freddo brigadiere che lo esaminava attentamente; la scrittura a stampatello diceva così:- mia adorata Anna, tra queste impervie montagne e in così penoso stato, sei tu la mia unica consolazione! Il nostro amore, la tua dolce immagine, sono le sole cose a infondermi un po' di speranza. Da mesi mi braccano come una bestia e non faccio che spostarmi continuamente... ho pensato ad un luogo sicuro per incontrarci tra due giorni all'alba: ci troveremo in località ''coro 'e monte''. Non aver paura tesoro mio! La persona a cui ho affidato questo messaggio è del tutto fidata, non avremo brutte sorprese... ti abbraccio forte e ti attendo, a breve mia dolce salvezza-. Il brigadiere posò il messaggio colmo di soddisfazione, si rivolse poi con poche parole al traditore:- ripresentatevi tra una settimana esatta per ritirare la taglia, ma badate di non farne parola con nessuno! Ora andate a consegnare il messaggio a quella donna-. Si incamminò

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   5 commenti     di: Sergio Manconi


Litho

Andammo a dormire alle dieci di sera, come ormai facevamo tutte le sere da circa un mese a quella parte.
Tu avevi un pigiama in due pezzi, bianco, con un disegno argentato di una coppia di orsi che guardano il cielo: "starry starry night", come il titolo della canzone di McLean.
Hai sempre amato ogni tipo di musica, e in campo artistico non ho mai conosciuto una persona che ne sapesse quanto te di cantanti e canzoni. Eri una specie di guru in materia, eppure sono convinto che proprio quella lì non la conoscevi (non la conoscevo neanche io fino a qualche giorno fa).
Ci stendemmo sul letto senza infilarci nelle lenzuola, era la prima settimana di maggio e il freddo che spesso avvolgeva la tua casa perdeva pian piano vigore. Tu eri sdraiata su di me, torace contro torace, in una posizione che vista da fuori sarebbe sembrata ridicola; somigliavi a una bimba di pezza gettata bocconi su un uomo. A me però piaceva tanto e ricordo che ti abbracciavo sempre forte, con braccia e gambe insieme, in quel misto di comicità e romanticismo che ci è sempre stato proprio. Io ti amavo, Chiara. Io ti amavo, e tu lo sapevi, te lo ripetevo ogni giorno al mattino, rendendo grazie a quel sorriso che mi donavi ogni volta al risveglio. Io ti amavo ma quella volta non te lo dissi, né tu lo chiedesti come spesso facevi nel letto "mi ami? mi ami? mi ami?", ripetendo sempre la stessa domanda fino a quando o dicevo di sì o ti mandavo al diavolo. Tu ti divertivi tantissimo. Io mi impegnavo a fare il finto offeso.
Quella sera era diversa, Chiara, lo si vedeva dai tuoi occhi grigi, lo si capiva dai tuoi affanni mentre cercavi di addormentarti, lo si sentiva nella tua voce mentre mi parlavi del lavoro, raccontandomi la tua giornata passata a lezione da Andrea.
Mi hai detto che il tempo è infinito, che i Greci lo avevano capito, e che conservavano questo sapere nei loro miti e nei loro racconti. Hai raccontato anche tu, poi; la favola di Filemone e Bauci, due anziani innamorati da più

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   1 commenti     di: Antonio Perrone


Cacciando via la luna

Se ne stava lì. Sotto le bianche lenzuola di cotone del suo letto.
La testa schiacciata contro il cuscino ed i lunghi capelli corvini a coprirle il viso triste e umido di lacrime, solleticandole il naso leggermente aquilino.
Quella notte non aveva dormito. La luna aveva bussato cosi tante volte contro la finestra di quella camera da letto da rubarle il sonno ogni qual volta, aveva avvertito i suoi occhi venirne sommersi.
Che bastarda che era stata la luna quella sera! Lei l'aveva guardata un unica volta, una sola timida sbirciatina, dandole il permesso di essere ospitata nella sua iride azzurra ed essa si era arrogata il diritto di entrare nella stanza senza averne avuto il permesso.
I vetri della finestra, troppo sottili, non le avevano impedito di rimanere fuori e dopo tanto picchiare contro le imposte chiuse per farsi aprire, aveva fatto violentemente irruzione tra quelle quattro strette pareti pitturate di rosa, penetrando da una piccola fessura della tapparella socchiusa, infilandosi subdolamente nel letto accanto a lei.
Aveva dormito abbracciata a quel corpo di donna nudo dalla testa ai piedi, per tutta la notte, ma lei, al contrario non era riuscita a chiudere occhio.
Era troppa la luce che amava quell'astro splendente. Troppo il bagliore che le feriva gli occhi traditi dal pianto. Pesante il bagaglio di dolore e spine che aveva posato sul cuscino accanto al suo volto.
Bugiarda quella luna! Menzognera e falsa come colui che gliela aveva promessa.
Lui, stupido uomo insipido che l'aveva ingannata con le sue bugie infami.
Lei fragile farfalla che gli aveva creduto ciecamente e si era lasciata acciuffare per la punta delle labili ali, senza sapere di venire aggiunta ad una collezione di giovani vittime, schiacciate dal peso di una colpa che non avevano mai commesso.
La luna. Avrebbe voluto strapparla in mille pezzi, ridurla in tanti coriandoli e rispedirla nel cielo a fare compagnia alle invidiose stelle.
Frantumata e defraudata. Dentro e fu

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   3 commenti     di: Eleonora Rossi


Ana-fine

In quei giorni il telefono squillava continuamente, Roman si precipitava a rispondere, parlava a voce bassa, non riuscivo a capire cosa dicesse. La signora mi chiedeva se avevo notato qualcosa di strano in casa, perché il figliolo era più taciturno del solito. Un giorno, a tavola, Roman ci disse che il movimento studentesco che si riuniva clandestinamente, aveva notizie incoraggianti. Operai e giovani volevano manifestare e scendere in piazza contro il governo. "Potete venire anche voi-disse-quanti più siamo meglio è! anche tu piccolo puoi venire a gridare che hai fame!". Disse rivolgendosi a Samuel. Ci informò che la manifestazione era pacifica, che dovevamo solo urlare e cantare. Naturalmente bisognava trasferirsi in una grande città, per passare inosservati, in mezzo alla folla. Nel nostro piccolo paese, ci avrebbero subito messo in galera prima ancora di scendere per strada. La signora Alina aveva una sorella, a Timisoara, che lavorava in ospedale, faceva l'infermiera, non si vedevano da tanti anni e sarebbe stata felice di accoglierci. Bisognava predisporre tutto, organizzarsi per il viaggio in treno. Io ero desiderosa di partecipare, avrei portato il piccolo con me, era giusto? Forse si! doveva tenerlo ben stretto nella memoria, questo viaggio! Il mio pensiero ogni tanto.. però vacillava.. pensavo che sarebbe stato pericoloso portare Samuel nelle piazze a manifestare. Forse stavo già perdendo il contatto con la realtà. Sognare rende tutto più fluido, conduce in un universo imprevedibile, ignoto, come una notte senza luna nel deserto. È da ingenui pensare che tutto possa cambiare scendendo in piazza, che i tempi duri possano finire. . chissà.. l'immaginazione è come un incantesimo. Per me sarebbe bastato poco per avere una vita migliore, avevo desideri semplici, passioni e ambizioni limitate. Ora non possedevo neppure questo. Riflettevo e i dubbi si dissipavano.. cosa mi sarebbe potuto succedere? Niente! assolutamente niente, era una manifes

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   9 commenti     di: antonina


Gelosia

"Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio"
È un proverbio noto a tutti, ma io preferisco avvalermi solamente della prima parte soltanto. Non sono un tipo geloso, non lo sono mai stato. Mi piace fidarmi delle persone a tal punto che le mie ragazze, non vedendo in me tracce di gelosia, arrivano a pensare che non provi niente per loro. L'animo delle donne è davvero complicato, un uomo, ed io su tutti, non riesce proprio come si possa arrivare a simili conclusioni da tali constatazioni. Non ci si può fare niente: io sono fatto così, in fondo basta non dare peso a questa cosa, basta capirlo. Sono sempre stato così e sempre lo sarò. Ora, però, che mi soggiunge una volta...

Quell'anno come gita scolastica avevano scelto Parigi. Grande scelta, non c'è che dire. Io e la mia ragazza frequentavamo la stessa scuola, ma in classi diversi, sicché dovetti andare non accompagnato. Non era una bella prospettiva: un viaggio nella città dell'amore senza compagna. Sei giorni, comunque, sarebbero passati in un attimo e al mio ritorno avremmo festeggiato un anno di relazione, un gran traguardo, no? Fu una gita piacevole e oltretutto un giorno girando per gli angoli meno conosciuti della città trovai un piccolo mercatino e ad una bancarella una serie di bandane. La immaginai già legata ai capelli di Lei, che li portava legati molto in basso, lasciando la massa di capelli molto voluminosa fino all'altezza delle spalle. Quelle bandane colorate avrebbero ulteriormente valorizzato quei favolosi capelli. Ne scelsi una in cui prevaleva il verde, un verde chiaro, quasi acqua marina. Il colore dei suoi occhi.
Tornato a casa non mancava altro che festeggiare quel fatidico anniversario. La portai fuori a cena, chiaramente cenetta a due al lume di candela in un locale très chic (da notare il francese che avevo imparato in quei pochi giorni). Tutto perfetto. Parlammo del più e del meno per tutta la sera, subii l'interrogatorio sulla gita, anche perché, io non mostravo alcun segno di

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   0 commenti     di: Simone Riccomi


Il Pianto

A pochi metri da me c'è una ragazza che piange e non saprà mai che sto scrivendo di lei, come io non saprò mai perchè piange. Si stringe le gambe al petto, solleva la testa al cielo, poi la riporta giù e la lascia cadere sulle braccia, parla al telefono, ma non è chi vorrebbe che fosse. Forse è un'amica che la consola, oppure sua madre che le dice di guardare avanti, sicuramente è qualcuno che la aiuta perchè si è tolta gli occhiali e si sta asciugando le lacrime, ora sorride, si è qualcuno che le vuole bene e le dice che passerà, qualsiasi cosa si può affrontare. La telefonata termina, me lei guarda ancora il cellulare in cerca di una risposta al suo dolore che però non arriverà da un freddo strumento elettronico. Si scosta i capelli dal viso, si rimette gli occhiali, guarda dritto davanti a lei, prima o poi starà bene, lei lo sa, ma ora è così difficile crederlo perchè sembra che sia tutto grigio, senza sfumature allegre. Ora sembra impossibile che un giorno sorriderà di quelle lacrime, versate da sola, in un giardino di città, ignara di chi la osserva e vorrebbe dirle che un giorno tutto questo sarà piccolo o forse no, ma sarà comunque passato. Piange ancora e io seduta qui vorrei abbracciarla, senza dire nulla, semplicemente donarle un po della mia gioia. È così ingiusto che mentre io sono felice ci sono persone che soffrono tremendamente. Lei è come me, è come tutte le donne, è come tutti gli uomini che soffrono per motivi che agli altri possono sembrare banali, ma per chi soffre è il centro del mondo in quel momento, è l'unica cosa a cui riesci a pensare, la ritrovi in ogni cosa, quel motivo di sofferenza ti si ripresenta in ogni momento della giornata per giorni e giorni. Il vento le muove i capelli, le accarezza il viso, anche lui sembra volerla consolare, com'è bella anche se piange. A volte mi soffermo ad osservare chi piange, i lineamenti distorti dal dolore sono i più veri che una persona avrà mai, nemmeno quando sorr

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