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Racconti fantastici

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L'offerta

Che palle! NON NE POSSO PIU'!!!!!!
Anche la lavatrice si doveva rompere!
Ma guarda tu che sfiga!
Basta, lavatrici, frigoriferi, asili, pannolini... BASTAAAAAA!
E prepara la cena e disfa la cena. E scrivi la lettera e prepara il caffè al capo, e prenota i biglietti. E la metro che non arriva, e il posteggio... E... E... E...
BASTA!!!!!
Nel silenzio, interrotto solo dal profondo respiro della donna, una voce:
- Ehi...
- Chi è?
- Sono il diavolo
- Seee, e io sono la fata dai capelli turchini...
- No, no!!! Io sono il diavolo e tu sei tu!
- Dimostramelo!
- Che vuoi che faccia? Scompaio e ricompaio? Ti accendo la cucina a gas con lo sguardo? Vuoi che la lavatrice funzioni? Ecco, guarda funziona... Adesso mi credi. No aspetta, ecco... Scompaio... E... voilà... Ricompaio. Adesso mi credi?
- Okei, sei il diavolo che vuoi? Ma pensa te... Sei venuto a prendermi la mia anima in cambio della lavatrice? Un po' poco, non ti pare? La mia vita vale solo un bucato?
- No, sono venuto per un'altra cosa.
- Sono tutta orecchi e anche un pezzetto di narice, se vuoi.
- Che schifo!!!
- Preferisci la coratella?
- Dotata di humor... Interessante. Sono venuto a farti una proposta. Io sono vecchio e sinceramente mi sono rotto i coglioni. Ho fatto scoppiare guerre, pestilenze, morte, ho inventato il sesso, la droga, le armi. E adesso mi sono stufato. Mi sono comprato una bella isoletta su Antares IV, un bel bungalow. E lì voglio godermi la mia vecchiaia, ho 7000 anni di contributi, e devo dire che la mia pensione non è malaccio. E poi anche il posto che ho scelto è veramente bello. Il suo sole verde, il cielo rosa, il mare rosso...
- Che cazzo di colori!
- Lo so, ma il mio socio si diverte così.
- Il tuo socio?
- Sì, Dio... È il mio socio! Io mi occupo della parte commerciale, compro, corrompo, vendo, istigo. Lui invece fa l'architetto, l'arredatore, si insomma... D'altronde, se ha studiato da geometra... cazzo deve fare?. E poi, sì diverte così! Per lui arreda

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   6 commenti     di: viktor


Il vampiro Christopher Hancock, le origini - ultima parte

"Ottima scelta, ho creato uno splendido immortale".
Disse soddisfatta la donna dagli occhi di ghiaccio.
"Non avevi nessun diritto di farlo, dovevi lasciarmi crepare".
Mi resi conto di aver perso per sempre la possibilità di ricongiungermi ai miei familiari. La mia anima è stata dannata per sempre, rinnegato da Dio.
Sentii crescere in me rabbia e disperazione, ma più di tutto sentivo la sete infiammarmi la gola.
"Non essere in collera, quando ti ho visto ho subito capito che saresti stato perfetto... e poi mi ricordi tanto mio figlio, il mio povero Constant. Non potevo permettere che diventassi cibo per i vermi".
"Che diavolo vuoi da me? Nessuno ti ha chiesto di strapparmi alla morte, ho un tremendo bisogno di... non lo so cos'è... mi brucia la gola".
"Ti devi nutrire, andiamo".
Uscimmo, così facendo lasciai per sempre la casa in cui sono cresciuto e con essa lasciai anche la mia vita precedente, da allora non sono più voluto tornare a Eyam.

Quella notte aveva assunto un aspetto funebre, le stelle erano nascoste sotto un pesante cielo nero e uno strano odore di morte aleggiava nell'aria, inaspettatamente mi sentii parte di quella cupa atmosfera, ero perfettamente a mio agio e mi sentivo forte e indistruttibile.
Fu la notte del mio primo pasto, uccisi il mio primo essere umano guidato dall'istinto. Era una prostituta che si aggirava ubriaca in un sudicio vicolo. Conobbi per la prima volta l'eccitazione scatenata dall'odore del sangue caldo pulsare nelle vene. Non ricordo d'aver mai sentito un profumo tanto intenso e delizioso. Le fui addosso in un secondo, povera sciagurata, non ebbe nemmeno il tempo di reagire, ma se anche l'avesse avuto, niente avrebbe potuto contro la mia superiorità.
L'assalii alla giugulare, sentii il suo fluido vitale scivolarmi sinuosamente nella gola e riempirmi lo stomaco donandomi un sollievo indescrivibile.
Uccidere è semplice.
Scoprii che bere da un mortale è paragonabile al provare mille orgasmi contemporaneamen

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   9 commenti     di: Kartika Blue


Herules e le sue serpi

Quel gran mattacchione di Zeus, padre di tutti gli dei, trascorreva gran parte del suo tempo a cibarsi e divertirsi, lanciando fulmini e saette agli uomini e agli stessi dei, ridacchiando fragorosamente di loro. Un bel giorno, mentre il furbacchione usciva dalla divina dimora, con la sua dorata biga infuocata, trainata da dodici magnifici, poderosi e scalpitanti cavalli bianchi, per una delle solite scorribande, l'affascinante ninfa Leda, bellissima e incantevole moglie di Tindaro, mitico, potente e bellicoso Re di Sparta, si prese la rivincita. Approffittando della sua assenza, abbandonò sul giaciglio coniugale un cesto con dentro il piccolo Hercules. Il grande Zeus, imbarazzato, di nascosto prese il bambino e lo portò ai piedi del monte Olimpo, dimora privilegiata di tutti gli dei, abbandonandolo alla sua drammatica sorte. La moglie Maya, da dietro le tende della grande stanza scoprì tutto, sentendosi tradita e oltraggiata, decise di vendicarsi dello sposo infedele e farfallone. Il birbante Hercules, incurante degli intrighi dei genitori sanguigni, continuava a dormire beatamente, sognando eroiche imprese. Maya, per fare un dispetto al marito fedifrago, decise di eliminare il moccioso. Di nascosto, pose nella sua piccola culla a dondolo, le due serpi più velenose del fragoroso, burrascoso e incasinato Celeste monte Olimpo, le cattivissime, pettegole, sorelle gemelle, Tontina e Gobbina Opistoglife. Il pestifero Hercules, nel frattempo cresceva in fretta e diventava sempre più muscoloso e forte. Quando le vide strisciare sibilline dentro la culla, si mise a giocare con loro buttandole in aria e prendendole a sonore bastonate su ogni parte del corpo, le annodò assieme e modellandole a forma di palla le prese a calci, infine le scagliò con potenza contro il muro, facendole rimbalzare contro le pareti e il soffitto. Impaurite dalla forza fisica della piccola peste, le malcapitate bisce serpentine, Tontina e Gobbina Opistoglife, temendo il peggio, cercarono scamp

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Le quattro valli

1.
Nella foresta il vento sferzava e Sylos correva in cerca di un luogo per riposarsi, stremato dalla lunga corsa che aveva fatto a causa dei nemici che lo inseguivano. Era iniziato tutto 3 anni fa, quando Sylos aveva ancora 12 anni e da poco aveva appreso dai suoi genitori di non essere come gli altri, infatti secondo la leggenda delle quattro valli ogni 100 anni tra gli umani nasce un bambino appartenente alla razza dei maghi, uomini apparentemente normali, ma dotati di straordinari poteri. Sylos dopo aver ascoltato ciò chiede ai suoi genitori Selem e Mera cosa dovrà fare d'ora in poi, come apprendere i poteri e usarli; loro gli consigliano di andare dal sommo Lodred che conosce e sa tutto. Il ragazzo allora decise di recarsi all'abitazione del sommo ignaro di ciò che lo attendeva; giunto lì bussò alla porta e gli si presentò il domestico del sommo "Devo vedere il sommo Lodred, per chiedergli consiglio" disse Sylos poco prima che un vecchietto si materializzò dal nulla di fronte al ragazzo che indietreggiò spaventato. Lodred era di media altezza con una lunga barba e la testa rasata poteva avere al massimo 95 anni anche se agl'occhi di Sylos ne aveva di più " Io so perché sei qui, nella mia mente ho avvertito che saresti venuto" "Vuoi sapere cosa dovrai fare per apprendere e usare i tuoi poteri" "Tu come fai a saperlo? Sei un mago anche tu?" chiese Sylos "No. Sono un sommo e come tale so e conosco tutto" "Allora se sai tutto aiutami a risvegliare i miei poteri, ed imparare ad usarli" "Non è così facile, occorre molto tempo per risvegliarli e molto di più per saperli usare bene" "Tu puoi aiutarmi?" " Si, ma ad una condizione, devi giurarmi che li userai solo a fin di bene" Sylos rimase un po' perplesso, ma poi annuì "bene, Adesso che me lo hai giurato seguimi, perché prima dovrai conoscere la storia dei tuoi antenati" il ragazzo lo seguì, ma era molto inquieto perché aveva paura del destino a cui era legato. Sylos camminava a passi lenti e decisi

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   5 commenti     di: paolo


Bioanalizzatore

Harvey fu svegliato dal bioanalizzatore alle 7, con una dolce musica classica, ne era impostata una per ogni giorno della settimana, quella la amava particolarmente, anche se non ricordava chi fosse l'autore, non era scritto nel bioanalizzatore.
Sua moglie era già sveglia, il bioanalizzatore l'aveva svegliata 30 minuti prima, cosicché potesse preparare la colazione al marito e al figlio.
Andrew, si sarebbe svegliato a minuti, il bioanalizzatore aveva reimpostato un allegra canzone di un cartone particolarmente in voga al momento, dopodiché sarebbe variata con la sua crescita accompagnandolo gradualmente.
"Tutto in regola Harvey" La voce femminile del bioanalizzatore era piacevolissima, ricordava quella delle antiche addette ai call-center;aveva visto un video nel museo nazionale, e la cosa l'aveva fatto sorridere.
"Già"Chissà come si sarebbe comportato se avesse scoperto qualche variazione non gradita, di solito era tutto in regola, anche se osservando la proiezione sul muro, aveva notata un incremento della "PAURA" niente di cui preoccuparsi seriamente era solo uno 0. 25% , era ancora lontano da valori critici;il resto era nella norma, nessuna variazione, la televisione diceva che solitamente la paura e l'eccitazione aumentassero congiuntamente, non doveva preoccuparsi il bioanalizzatore l'avrebbe aiutato ad abbassare quello 0. 25%.
Arrivo anche il bambino in tavola, uno splendido ometto biondo di otto anni.
Il bioanalizzatore aveva programmato per tutta la famiglia la dieta più adeguata da seguire, seguendo i dati che riceveva mensilmente dal chip presente su ogni soggetto.
Era nella spaziosa cucina, la casa era moderna, bianca, classificata di tipo A1, il migliore dopo quelle speciali;aveva un vasto giardino che una volta a settimana veniva usato per un barbecue con i vicini.
"Andrew, vagone"Seguito da un leggerissimo allarme, svegliò di colpo il bambino, che si diresse verso il bagno;il primo allarme avvisava il bambino di affrettarsi, il seco

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L'ultima poesia

Quanto aveva scritto, una miriade di versi, un'impressionante continuo scavo dentro se stesso alla ricerca di un confine che mai aveva trovato, ora gli sembrava solo un lontano ricordo, un susseguirsi di parole che si incrociavano, si scontravano, si perdevano a brandelli nella mente.
Era un poeta, era uno di quelli che si erano illusi nel corso dell'esistenza di aver trovato il modo di comunicare, attraverso gli altri, con il proprio io, forse era solo un presuntuoso, o magari solo un illuso che aveva creduto di dare un senso ai giorni che passavano attraverso una ricerca interiore per giungere a capire il significato di ogni cosa. Tante domande di cui aveva creduto di trovare la risposta si erano rivelate solo l'inizio di una lunga e interminabile serie di quesiti irrisolti e ora che il tempo sembrava scandire le ultime ore, si chiedeva, quasi con angoscia, il perché di tanto affannarsi senza giungere a una conclusione.
Forse è un destino dell'uomo correre dietro ai miraggi della mente, forse è un riaffermare la supremazia, pretesa, ma tutt'altro che realizzabile, del singolo sul proprio destino.
Una volta, in un convegno a cui aveva partecipato con altri letterati, poeti, scrittori, filosofi affermati, uno dei presenti gli aveva chiesto se la poesia era il mezzo o il fine.
L'aveva guardato in volto, stupito, come se all'improvviso quella domanda fosse la risposta a tante altre ancora lì in sospeso, in attesa probabilmente vana di una soluzione.
Lui era rimasto attonito, poi aveva risposto che era l'uno e l'altro, un giudizio salomonico, anche se in realtà pensava fosse il mezzo per arrivare al fine. Nulla in effetti si svelava in quei versi che sembravano un treno che corre diritto verso la meta, quel limite estremo a cui pareva di essere prossimi ad ogni passo e ad ogni passo sempre più si allontanava.
Teorie, ipotesi, aveva concluso, ma per la prima volta si era incrinato qualcosa in lui, aveva compreso che la corsa ormai era senza fine.
Aveva c

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L'Isola dell'Oltre Orizzonte

Uno dei primi ricordi che ho della scuola è l'Isola Dell'Oltre Orizzonte. Mi pare che a parlarne fu la maestra di storia. Non ricordo il suo nome, solo le sue labbra sottili sottili che pronunciavano unicamente parole dolci, sempre rigorosamente a bassa voce. Ed una cascata di capelli ricci che le ricadevano sulle spalle.
Era una grande affabulatrice. Ci raccontò che l'Isola Dell'Oltre Orizzonte si trovava, appunto, oltre l'orizzonte della conoscenza umana, ed era quasi impossibile arrivarci perché l'unico modo per trovarla era non volerla trovare!
Noi rimanemmo molto sorpresi e lei, con lo sguardo rivolto verso un punto imprecisato fuori dalla finestra, spiegò che al mondo tutte le cose belle richiedono un piccolo sacrificio. E l'isola era davvero molto bella.
Quello sguardo perso nel vuoto riuscii a capirlo solo molti anni dopo. La tristezza non è concepibile per un bambino di sette anni, la si scambia per dolore fisico, per la bua. Poi si cresce e la consapevolezza che le ferite più profonde sono dentro, dov'è più difficile medicare, t'investe come un tir, e anche i dolci ricordi dell'infanzia si colorano di malinconia.
Parlò a lungo delle meraviglie dell'Isola. Narrò di animali parlanti, di sirene e di pirati. Ci racconto di una grotta dove passato presente e futuro non esistevano, o meglio c'erano ma fusi in una sola indeterminata sostanza. Parlò di una montagna altissima, il Tetto Del Mondo la chiamò lei, dalle cime innevate, dove nessuno ardiva avventurarsi. Disse che da quando esisteva l'Isola solo un uomo aveva osato sfidare il Tetto Del Mondo. Raccontò che era un uomo molto pauroso, che temeva addirittura la sua stessa ombra. Quest'uomo viveva sulla spiaggia, lontano dalla foresta (perché gli alberi lo terrorizzavano!) e si nutriva dei pesci che la marea trascinava tra le rocce.
La vita scorreva tranquilla quando un giorno una bellissima ragazza che abitava in un villaggio ai piedi del Tetto Del Mondo si avventurò fino alla spiaggia. L

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   2 commenti     di: Corrado D'Ardia



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