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Racconti fantastici

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Il principino triste

C'era una volta in un castello un re ed una regina che avevano un figlio di nome Matteo.
Quest'ultimo era molto triste perchè i suoi genitori stavano divorziando.
Gli amici del re e della regina, li aiutarono a superare le loro difficoltà, ma non durò per sempre, infatti, dopo la terza volta si separarono definitivamente.
Matteo piangeva sempre, quando sentiva le cose raccapriccianti che i genitori si dicevano, ma lui non sapeva come fare e come aiutarli.
qual'è la morale di questo racconto che di fronte a molte difficoltà e di estrazioni sociale diverse, tutti proviamo lo stesso dolore che anche se poi il tempo lo fa superare ci segna per la vita.

   0 commenti     di: carlo pio musco


l'incanto raccolto

Narrate dalle cantilene femminili
e recitate ai bambini nelle lunghe serate invernali,
quella conoscenza,
inconsapevole atto di un unico accettato sapere,
diveniva per me, piccolo partecipante di un antico disegno,
ben più di una sequenza ritmata di suoni.

Era la melodia di un amore che srotolando la passione, il timore,
la paura che in essa ospitava, imbrigliava il mio essere,
ora invitandolo, ora atterrendolo.

Il sopraggiungere, poi, della controversa ed inquietante figura selvatica,
“l’Om Sarvaigru”,
abitante della regione Fragota,
forse un po’ ridicolizzato per sminuirne la portata aggressiva,
non taceva ancora lo spavento,
quando il percorrere accelerato dei miei passi sull’accidentato
e selvatico sentiero
della Strà Vegia d’an Ara,

o l’incedere del mio sguardo
sulle ciclopiche figure degli affreschi delle Chiese,
forse nel San Cristoforo,
temeva di incontrarne le tracce.



Il Principe Scomparso

Curhan si guardò attorno per l'ennesima volta.
Fin dove i suoi occhi da elfo riuscivano a spingersi, scorgeva solo enormi sequoie innalzarsi imponenti e maestose sul terreno scosceso e accidentato. Per quanto camminasse da ore, aveva l'impressione di trovarsi sempre nello stesso punto. Non l'avrebbe mai ammesso al compagno, ma sospettava di essersi perso. Del resto, aveva sempre avuto l'impressione che le foreste della Norvegia fossero un vero labirinto.
"Hai con te la mappa, Malhor?".
"Certo, non avrei mai lasciato la città senza portarla con noi".
"Riesci a capire dove siamo?".
Come ogni volta che gli veniva posta una domanda del genere, l'elfo rispose senza nemmeno fermarsi a riflettere.
"Troppo lontani da Nainiel".
Curhan sbuffò. Fra tutti i compagni che potevano accompagnarlo nei boschi che circondavano la città elfica, la sorte aveva scelto proprio Malhor Cuor di Leone, il più codardo fra gli elfi del crepuscolo.
Chiunque avesse visto Malhor per la prima volta sarebbe rimasto certamente intimorito dalla possente muscolatura dell'elfo, dalla corazza spartana, dai selvaggi capelli castani e perfino dagli aspri lineamenti del viso. Malhor aveva tutta l'aria di un guerriero ma Curhan sapeva bene, come ogni altro elfo che abitasse fra le mura di Nainiel, che nel cuore del compagno il coraggio abbondava quanto l'acqua in un deserto.
"Secondo me dovremmo tornare indietro".
Bisbigliando flebilmente, Malhor stette all'erta con fare guardingo. Qualsiasi posto diverso dalla propria casa - certe volte persino quella - gli sembrava una minaccia.
"Indietro?!".
Gli occhi verdi di Curhan traboccarono d'orgoglio, come un anfora piena fin oltre l'orlo. Qualsiasi cosa potesse anche lontanamente ledere il proprio onore di guerriero, infiammava immediatamente il giovane elfo. Per quanto fosse una spanna più basso di Malhor e di ben più esile costituzione, Curhan riuscì a spingere indietro il compagno con lo scudo, fino a bloccarlo contro un albero.
"Scappa v

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la desolazione

quando vidi quel deserto rosso, la malinconia mi entrò nell'anima squarciò il mio cuore già sanguinante quel deserto rosso era dentro di me, e non se ne andrà mai più. il vento si sollevò camminavo sola cn i miei tarli era gia marzo un marzo arido e tempestoso era il 20097anno solare l'umanità nel 20095 ha scatenato una tremenda guerra i pochi superstiti rimasti in questo arido deserto sono ormai privi di ogni sogno io non so perchè continuo a vivere ma forse si che lo so mi tengono in vita i ricordi della mia giovinezza, quando ero giovane facevo parte di un gruppo che aveva dato all'umanità l'indicazione della via da seguire per abbatere il sistema della globalizzazione e del capitalismo ma tranne pichi eletti nessuno ci ha dato ascolto!! ci hanno presi per pazzi mentre i pazzi erano loro che si ostinavano a sostenere il sistema! il mio gruppo i critical mass predicavano l'uso della bici che dal sistema era definita un mezzo obsoleto usando la bici tutti e per tutti intendo l'intera umanità non vi sarebbero state più guerre per il petrolio e non vi sarebbe stato più inquinamento, nel 20095 finito tutto il petrolio delle zone orientali gli occidentali anno attaccato anche noi italiani e il resto dell'unione cn la classica accusa di conplotto cn il terrorismo adesso nel 20097 siamo in pochi perche non tutti sono entrati nei boucher attorno a me dove prima sorgeva una splendida città di nome catanis vi e il deserto più arido che io abbia mai visto il mio bambino nato da poco non so se virà cosi a lungo da sapere cosa sia un un lago o un mare perche le potentissime armi anno distrutto e prosciugato ogni cosa ma il mio cure straziato dal tormento che e un po in tutti gli umani del 20097 nn ha limite e si acuisce ogni giorno perchè e stato scoperto un altro pianeta simile alla terra dove ci stanno deportando e mi chiedo ora che gli occidentali dominano il mondo l'italia ha firmato l'armistizio senza condizioni questo nuovo pianeta farà la stessa f

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   4 commenti     di: ELENA MACULA


La principessa dei fiori -5° capitolo

- la mamma di Angelo

Seduto vicino la stufa, prendo il libro che ho iniziato a leggere qualche giorno fa, la lettura mi tranquillizza rendendomi sereno, sembra di uscire della realtà e viverne una diversa. Sporadicamente m'immedesimo nella storia che leggo, spesso mi sembra di vivere le emozioni che l'autore trasmette.
Qualche volta però mi capita di addormentarmi senza accorgermi, sarà l'età, sorrido sottilmente, immaginando la faccia che farebbe qualcuno vedendomi in questa situazione.
Quando riapro gli occhi è l'alba, la luce attraversa i vetri, mi alzo e mi avvicino alla finestra, prima mi stiro come i gatti(dormire sulla poltrona non è comodo). Le ombre della notte si allontanano lentamente, nello stesso momento gli uccelli fischiettano alzandosi nel cielo, poi c'è quel corvo che tutte le mattine si fa sentire e non la smette mai fin quando non gli do da mangiare qualche mollica di pane; eccezionale il risveglio della natura avvisa tutti dell'arrivare del giorno. Dopo una decina di minuti inizio a sentire il rombo delle automobili che si mettono in moto, ci sono anche quelle che trovano difficoltà perché troppo fredde; se guardo l'alba sento il rinascere del giorno, il miracolo della natura che si rinnova sempre allo stesso modo, magari cambia il panorama in base al tempo, ma la gestualità degli uomini in parte è sempre simile.
Preso da questi pensieri mi sovviene ciò che ho deciso di fare oggi, il tempo scorre veloce e quindi devo fare tutto in fretta, oggi dovrò parlare con la mamma di Angelo la mia ex moglie.
Claudia, una donna quarantacinquenne ancora bellissima. Ci eravamo conosciuti da bambini, "per me fu subito Amore" lei sorella di un mio compagno di scuola, non è molto alta, capelli castani un fisico asciutto ben modellato, fianchi stretti e gambe che si lasciano guardare, anche il lato B non dispiace, gli occhi grandi e rotondi come i fari di una torpedo blu luminosi che quando la guardi in profondità, rimani inc

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La palla

Oggi è un mese che Adriana mi ha lasciato, portandosi via lo stretto necessario che è riuscita ad introdurre in due valigie.
È andata dalla madre, per ora.
Mi disse che quando se la sarebbe sentita, avrebbe provveduto a prendere tutte le altre sue cose.

Io non feci il minimo accenno di resistenza e d'opposizione a questo suo gesto che, da qualche tempo, ormai, stava maturando.

Il nostro rapporto, infatti, negli ultimi mesi, registrava quotidiani battibecchi e accese discussioni, che nascevano, sempre, da futili motivi.
Mi ha sopportato anche troppo a lungo. Per troppo tempo ha subito le mie stupide angherie, le mie provocazioni, il mio scaricare su di lei le mie angosce e le mie ansie.

Mi rendevo conto che sarebbe arrivato il giorno in cui, esasperata dal mio comportamento, mi avrebbe affrontato, com'è suo costume, per chiarire definitivamente il nostro rapporto.
Quel giorno giunse.
Era una delle, ormai consuete, noiose ed insulse domeniche, che trascorrevamo in casa, come due estranei.
Con fare deciso Adriana, richiama la mia attenzione e mi dice:
"Claudio, io ti ho tanto amato e ti amo ancora, ma non posso più assistere al disfacimento del nostro rapporto, senza vedere una possibilità di recupero. Non posso più combattere con una persona che fa di tutto per affossarlo sempre di più".
Seguì un'intensa pausa indotta dalla commozione di Adriana. Dopo pochi secondi, tratto un profondo respiro, proseguì:
"Claudio, non vedo la benché minima intenzione, da parte tua, di recuperare l'equilibrio e la serenità che ti ha sempre contraddistinto. Non mi fai partecipe dei tuoi sentimenti, non comunichi più, non mi consenti di aiutarti ed io, a questo punto, sono tanto avvilita che non vedo altra soluzione che quella di andarmene, per poi separarci.".

Cominciò a singhiozzare intensamente ed io continuavo a fissarla come se fosse un'estranea e parlasse di cose che non mi riguardassero.

"Vedo  che non te ne importa niente!  Sa

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   2 commenti     di: Sergio Maffucci


Una lettera di Charles Darwin

Emma, mia adorata,
domani il Beagle lascerà l'Australia per le isole dell'oceano indiano, il Capo di Buona Speranza, poi ancora il Sudamerica, le isole Azzorre, Plymouth.
Oltre l'ultimo porto ci sarà di nuovo e finalmente ogni luogo d'Inghilterra, i giardini di Shrewsbury dove la mia mano ha conosciuto per la prima volta la tua, le acque di quel fiume in cui ci specchiavamo camminando come figure di un sogno.
Ricordo il tuo viso chiaro, la nube d'oro dei capelli, lo sguardo che cadeva a terra in una timida dolcezza quando ti parlavo di mia sorella e di suo marito, del loro figlio di pochi mesi.
Pensavi in quell'istante a noi, al tempo che ci avrebbe contenuto, Emma e Charles, uniti e silenziosi aldilà di ogni vicenda, come chi dorma al fianco dell'altro solo sfiorandone il braccio, pensavi al tempo che ci avrebbe oltrepassato, al futuro che da noi sarebbe dilagato nei secoli: i nostri figli e poi i loro, le generazioni dell'uomo.
È tutto così vicino, Emma.
Lascia che ancora una volta io ti racconti del mio viaggio e dei suoi segni, che metta tutto questo ai tuoi piedi. Ciò che mi raggiunge e sconvolge il mio cuore tormentandolo o elevandolo non diventa infatti che un dono per te.
Dopo questo viaggio, cinque anni in cui l'incredibile del mondo ha mostrato senza alcun velo il suo volto splendido e feroce io non ho bisogno che di pace, come un bambino impaurito.
Perché ogni cosa possa quietarsi, restare indimenticabile, essere accolta pienamente e fruttificare.
Ascoltami, dunque.
Quando lasciammo le isole Galapagos per l'Australia, sapevo che il nostro viaggio era prossimo al suo termine.
Come altre volte, mentre sentivo la nave avanzare sulla immane pressione delle acque immaginavo l'oceano aldisotto dello scafo per migliaia e migliaia di piedi, i raggi del sole penetrarlo sin dove era possibile in larghe e mutevoli falde aiutando con il loro spettro, le loro energie le mutazioni, l'evoluzione delle creature che lo abitavano.
La piccola cabina di

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