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Racconti fantastici

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Il babau-parte seconda

Nella bieca oscurità di quella casa fatiscente Alder stava rintanato a rimuginare non riuscendo a capacitarsi di cosa potesse aver fermato la sua mano, anzi le sue affamate fauci. Quel bambino era nelle sue mani, poteva agevolmente mangiarlo e prendere il portagioie, ma qualcosa glielo aveva impedito, non qualcosa di esterno perchè il ragazzino era del tutto indifeso, era stato qualcosa che veniva da lui, da dentro, una specie di sensazione mai provata prima.
Improvvisamente una voce terribile lo richiamò: era il re delle ombre che gli ricordava che il nebbioso e freddo inverno stava per terminare, poi il sole di primavera avrebbe reso più difficile il suo compito, perciò doveva sbrigarsi oppure sarebbero stati guai per lui. Allora Alder preoccupato interrogò la scatola dei presagi, un vecchio talismano che rivelava i segreti e ne udì il responso: tu in tutto questo tempo, simulando un comportamento paterno ti sei divertito a nutrirti dell'amore del ragazzo, perchè come una droga ti da un senso di euforia e grandezza. Ma questo sentimento ora combinandosi con i tuoi poteri, ti sta crescendo dentro come un cancro finchè non si impadronirà completamente di te e ti tramuterà in ciò che hai imitato: un essere umano con dei sentimenti.
Al sentire ciò Alder ebbe un brivido di terrore.
Taglia corto con questo gioco è pericoloso, concluse la scatola, elimina subito il ragazzino.
Il giorno dopo Alder chiamò di nuovo Marc con l'intento di attirarlo nella vecchia casa, ma il fanciullo gli venne incontro con un album di foto di famiglia e incominciò a sfogliarlo.
Alder notò che era intriso di emozioni, sentimenti, ricordi, amore e non resistendo allo stimolo non potè fare a meno che prenderlo in mano e assorbire quelle energie che lo pervasero completamente. Così anche quella giornata trascorse tra piccole magie, giochi e svago e alla fine Marc tornò a casa sano, salvo e divertito.
Ma di notte Alder si intrufolò in casa di Marc ed entrò nella camer

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Il ritorno della primavera

Tanti e tanti anni fa in un bosco impenetrabile vivevano due bellissime fanciulle.
Nessun essere umano le aveva mai viste, solo gli animali del bosco avevano questo privilegio. In quel bosco, grazie alle due meravigliose fanciulle, persisteva un profumo delicato di fiori e di freschezza.  Il clima  era mite, la pioggia sottile e gradevole, le giornate luminose e tranquille.  Il vento accarezzava le foglie producendo una musica dolce che rallegrava i cuori di tutti gli animali del bosco.  Le due fanciulle si erano rifugiate in quel luogo perché anni prima un terribile tiranno che dominava il mondo, voleva ucciderle, per vendicarsi dei suoi genitori, perché..., ma se lo desiderate, leggete quello che segue...

Questo tiranno si chiamava Inverno, era un malvagio e perverso despota. Infliggeva al mondo punizioni terribili: inondazioni, tempeste di neve, freddi glaciali. Tutti i popoli della terra lo temevano perché il suo potere era incommensurabile e le sue vendette atroci.
Chiunque osava ribellarsi a lui veniva rinchiuso nelle segrete del castello, queste erano stanze buie, umide, abitate da enormi ratti. In una di queste erano rinchiusi due compagni di Inverno che anni prima avevano regnato insieme a lui.
Le cose andavano molto meglio quando Autunno e Estate governavano con Inverno. Il mondo conosceva giustizia ed equità. Ma quando Autunno e Inverno si innamorarono di Estate e questa ricambio' solo l'amore di Autunno, Inverno esplose in tutta la sua furia, il ghiaccio copri quasi tutto il pianeta e solo la pazienza e il calore di Estate lo convinsero a ritirarsi pian piano ed a liberare la terra da quella distruzione.
Passo' un periodo di apparente tranquillità, ma Estate non poté più nascondere ad Inverno che  presto lei e Autunno sarebbero diventati i genitori di due gemelle, questi impazzi'. Scomparve per moltissimo tempo, dieci anni, nei quali nessuno seppe dove fosse finito, molti credevano, o meglio, speravano fosse morto.  
Senza Inverno n

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   1 commenti     di: cesare righi


Tattiche sparse

Tattiche sparse



-l'apparenza inganna?-



Non smetteva di piovere, e la cosa di certo non migliorava l'umore, ma d'altronde che funerale sarebbe stato, senza una pioggia leggera e costante, che copriva lacrime e faceva da sottofondo alle parole del prete.?
Pioveva anche dai miei occhi, con la stessa lentezza e costanza, il volto fermo in quell'espressione rigida che lasciava intendere quanto poco quel che stava accadendo intorno a me fosse importante, fermo a guardare il legno dove lei era rinchiusa.
L'ospedale, la chiusura della bara, la messa, la marcia lenta al cimitero... tutte queste cose le avevo sopportate, ma quando la bara comincia a scendere sottoterra, allora ti accorgi che è davvero arrivato il capolinea per quella persona, e anche per una parte di te.
Non c'è ritorno una volta ricoperta la cassa, anche l'ultimo attimo di vicinanza viene sotterrato e ti ritrovi davvero senza più qualcosa, senza possibilità di riprendere quel che è caduto fin là sotto;fu allora che crollai, in ginocchio come se mi avessero segato i tendini delle gambe con un sol colpo.
Albert, come gli si confà, venne lì e si inginocchiò di fianco a me, senza pronunciare niente e senza guardarmi, o almeno così immagino stesse facendo, dato che in quel momento la mia percezione sensoriale era annullata.
Stette lì fintanto che io, tornato a "sentire", mi girai verso di lui; il suo volto, la sua espressione, era la solita maschera seria, ma fu rassicurante vederla e sentirla familiare, ora che avevo perso quella che era la mia famiglia, ora che lei era stata sepolta assieme a tutto quell' amore che pensavo la rendesse immortale... Patricia... mi sanguina il cuore... mi manchi...
mi alzai, senza che Albert mi aiutasse (seppur straordinariamente gentile per l'occasione, era comunque Albert), non salutai nessuno che non fosse la mia defunta moglie, e uscii dal cimitero lasciandomi alle spalle la mia v

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   1 commenti     di: andrea mansi


La terrena triade del morto vivente

Sono morto nel 98
e nacqui nel 48,
così per la cabala
sono proprio io
il morto che parla
grazie alle scritture

Dopo tante gran palle (l'Einstein spirituale, il novello Platone, il moderno Noè, il vincitore di un triplice nobel in contemporanea!) mi mancava soltanto questa, davvero allucinante, ma è l'unica verità e non certo una palla.
Rappresento, infatti, l'unico uomo sulla terra in vita apparente (o il morto vivente) dal giugno 1998 quando, in seguito all'abbandono filiale, il mio spirito vitale (esuberante di amor) si rifiutò di continuare a vivere questa squallida esistenza terrena e, pertanto, se ne uscì dalla sua casacca corporale.
Senza più spirito, quella quintessenza vitale che ti fa amare, caddi in severa depressione e, senza più le ali della pressione spirituale che ti fa volare, cominciai a precipitare nel vuoto abissale.
Proprio quando stavo per sfracellarmi sul suolo (la materia è finita nello spazio infinito) del precipizio terreno e non certo infernale (non lo meritavo), un angelo in volo, con il suo ardito intervento, mi prese a volo e, tenendomi ben stretto nel suo amorevole abbraccio, proprio in un lampo mi portò in paradiso.
Intravidi mio padre (Angelo Raffaele) in questo esalante (non certo esilarante) volo, già angelo in terra sotto mentite spoglie, anche lui dipartito anzitempo per le amarezze della vita ('o tuosseche arruvin 'o fegat), scatenandosi addosso una rara malattia... la cirrosi psicosomatica.
Non avevo ancora messo piede sulla celeste dimora quando, seppur tramortito (e un po' rimbambito) da potenti neurolettici (moditen depot) somministrati in maniera selvaggia, le preghiere urlate (come suo solito) di mia nonna Rosina, richiedenti l'intervento divino, proprio all'istante mi risvegliarono dal buio depressivo.
Ma appena sveglio ecco di nuovo anche i lamenti (per non dire tormenti) di mia madre Antonettina (le donne in "ina" sono tutte terribili!) che già in terra mi avevano scatenato l'eterna insonnia

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la locomotiva

- E salverei chi non ha voglia di far niente e non sa fare niente (F. Battiato) -
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"Unz unz unz ehi, sta arrivando sul terzo binario, tutto colorato e graffitato, l'Interregionale delle 6. 45 per Milano Centraaaaaaaaleeeeehhhhhhhh unz unz unz ok, è in ritardo di dieci minuti ma tanto la coincidenza per Pavia sul tronco lato Milano sta aspettando voi, dormiglioni! Nel frattempo che dite, ci ascoltiamo i Casinò Royale? Treno per Babylon Buooon viaggio!"

Mì, da quando le ferrovie hanno deciso di levare gli annunciatori meccanici senti un po' cosa mi tocca sopportare! Giuro, sono quasi trent'anni che faccio il capostazione in questo buco di città (che poi io al concorso lo pure scrissi: destinazioni gradite Chivasso o Settimo) e ne ho viste di tutti i colori, prima annunciavamo i treni noi ferrovieri (annuncio formale e impersonale, mi raccomando!), poi ci hanno messo quella voce automatica (nessun bisogno di raccomandazioni) e ora, di punto in bianco, buttiamo anni ed anni di esperienza nel cesso assumendo questi ragazzini ad annunciare i treni in arrivo, in partenza e i ritardi! Questo, per esempio, se ne viene in stazione vestito come un carrettiere ma tiene scritto "impiegato" sul libretto di lavoro, con quei capelli biondi raccolti come una femmina, che ai veri uomini a vent'anni i capelli cadono, e si mette a gridare dagli altoparlanti già la mattina presto che io c'ho troppo sonno! E parla, parla, senza un minimo di professionalità, tra l'altro. Ma sapete come dice per avvisare i viaggiatori che arriva un treno sul binario due che non si ferma in stazione? Si avvisano i signori viaggiatori che è in arrivo l'Eurocity Vattelapesca sul binario due allontanarsi dal binario due? No! Lui dice "Ehi gente, occhio che adesso arriva, sparato come un proiettile, uno di quei treni che la nostra stazione non se la cagano neanche di striscio fate che stare attenti al binario due, ok?" Tut

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82, Washington Road (Episodio 15)

Leon era del tutto incapace di provare dispiacere, né la paura, lo sconforto e la tristezza trovarono posto in lui mentre ascoltava il racconto degli unici sopravvissuti di Rockford. Aveva avuto amici, in città, aveva una casa, un lavoro, ma niente contava quanto Laila e lei era lì, accanto a lui, e di tanto in tanto gli sorrideva di sottecchi perché, sapeva Leon, anche per lei era lo stesso, anche lei non provava dispiacere.
<<Ma tu, voi... insomma, cos'è successo qui?>> chiese Meltzer impaziente, smanioso di spiegazioni.
Le dita di Leon si intrecciarono un po' di più in quelle di Laila, in cerca di forza, perché in fondo doveva confessare che erano stati loro due a liberare l'inferno a Rockford. <<Stamattina>>, cominciò, poi esitò perché non sapeva che giorno fosse. <<Ieri, forse due giorni fa, abbiamo raccolto una chiave, una chiave di questo posto. Cercavamo qualcuno per restituirla ed abbiamo trovato uno strano ascensore che ci ha portati giù, dentro dei laboratori deserti. Abbiamo premuto un bottone, era difficile resistere, ci... chiamava.>>
La sua voce si affievolì, le parole si fecero troppo pesanti. A lui non dispiaceva ciò che era accaduto, perché ne era uscito vivo e con Laila ancora al suo fianco, ma poteva capire che per chi lo ascoltava era difficile mandar giù qualcosa del genere, dover accettare che tutto quel male fosse stato liberato per caso o, peggio, per curiosità.
<<Siete stati voi, allora? Li avete liberati voi?>>
Le mani di Sonny Meltzer si strinsero forte sul fucile, sembrava sul punto di fare fuoco. Inaspettatamente, fu Kurts a distendere gli animi, l'uomo che aveva fissato Leon per tutto il tempo come se ai suoi occhi apparisse come un problema filosofico, quasi che osservandolo potesse comprendere ogni verità sulla vita e la morte.
<<Loro non hanno colpe>>, minimizzò. <<Sono stati attirati con l'inganno, un inganno architettato da cose che non possiamo nemmeno immaginare. Quei demoni sono stati liberat

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Punto atto e tatuato, L'incontro con l'Uomo-dalla-treccia-canuta (parte 1)

Dal blog-novel http://puntoattoetatuato. blogspot. it/

3 dicembre 2011. Venezia, Campiello san Rocco. Da più di mezz'ora Aurelio aspettava nel luogo dell'appuntamento, la vetrina del negozio di tatuaggi. "Insisto perché tu arrivi puntuale", gli venne raccomandato con insistenza, ma del tatuatore non vi era ombra. Per mantenere la parola, Aurelio dovette fiondarsi dal treno, uscire di gran fretta dalla stazione e farsi d'un fiato tutto il tragitto, ponti compresi. A linea d'aria gli sarebbero bastati quindici minuti scarsi, ma la poca dimestichezza con la città gli fece perdere spesso la via, impiegando il quadruplo del tempo.
Ora stava lì, spazientito ad aspettare. Con un piede si appoggiava al muro del sotoportego adiacente all'ingresso del negozio. Stava immobile, proteg-gendosi dal soffio di quel vento dicembrino, che penetrava attraverso le fib-bie delle scarpe, i jeans, il cappotto grigio doppiopetto.
Insofferente, estrasse dalla tasca un foglio. Era la locandina del negozio, che due settimane prima lo incuriosì terribilmente, mentre in quel momento, ri-letta nella gelida solitudine, infondeva unicamente una sensazione di sciagu-ra.

Il corpo umano è l'espressione del mondo che ci circonda. Nella sua perfe-zione, è metafora di una moda, di una cultura, di una società. Se l'interezza del corpo viene spezzata, da esso scaturiranno ossessioni, demoni, tabù; ma se la sua armonia viene esaltata sapientemente, eromperanno forze più po-tenti di un soffio vitale.
L'arte che valica e amplifica il confine limitato del corpo è il tatuaggio. Con la simbologia giusta, tatuata nella zona adeguata, alcuni punti vitali muteranno e si espanderanno, sviluppando attitudini speciali.
Non esitate allora, venite a fare un tatuaggio!

Ricevette quel foglio durante una gita scolastica a Venezia, durante la pausa libera tra una visita di un museo e l'altra. Glielo lasciò un tizio che si direbbe più anomalo che strano. Aurelio lo ricordava perfettamente. Alto e i

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   3 commenti     di: Matteo Contrini



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