Alla vista dell'uomo istintivamente mi attaccai al braccio destro di Alex che questa volta non si ritrasse ma mi strinse a se come per proteggermi, era una sensazione veramente piacevole nonostante avvertissi di trovarmi in una situazione piuttosto surreale.
L'anziano iniziò a parlare in tono solenne
"Vanessa, Alex, finalmente siete pronti ed è ora che sappiate il motivo della vostra presenza nella zona di confine".
Le domande mi uscirono senza neanche rendermene conto
"chi sei? come sai i nostri nomi? come siamo arrivati qui, cos'è la zona di confine? perchè..."
Troncò i miei interrogativi
"mi chiamo Bayus, sono il supervisore del regno dei sogni, del regno degli incubi e della zona di confine. Vi seguo da molto tempo, voi siete i prescelti. Ho fermato il tempo per portarvi qui ed istruirvi".
Ero a bocca aperta, scioccata da quanto appena ascoltato; Alex con aria stralunata intervenì
"cosa significa prescelti? istruirci a cosa?
Bayus l'osservò come se si aspettasse quelle domande, alzò il sopracciglio sinistro e riprese le spiegazioni guardandomi intensamente
"Vanessa, tu sarai la guardiana del regno degli incubi e ti occuperai d'inserire esperienze tattili e gustative sia nei sogni che negli incubi - poi si girò verso Alex con occhi scintillanti - a te, invece, è affidato il regno dei sogni e aggiungerai esperienze uditive e olfattive sia nei sogni che negli incubi - con un ampio sorriso proseguì - sarà qui, nella zona di confine, il vostro quartier generale. Da qui prenderete ogni decisione, lavorerete fianco a fianco, siete complementari, indispensabili l'uno all'altra".
Improvvisamente sentii ogni fibra del mio corpo pervasa da misteriosa energia, di fronte a me Alex mi strizzò l'occhiolino a cui ricambiai con un sorriso complice, poi rivolsi l'attenzione a Bayus, una domanda mi assillava ma non feci a tempo ad aprire bocca che lui, intuendo rispose
"lo so, gli incubi possono sembrare crudeli, ma l'umanità ha bisogno anche di quelli, s
Oggi cambia tutto, gocce di pioggia scivolano quiete sui vetri della mia finestra per morire lentamente.
Come me ora, tutto muta in un istante, posso guardarmi intorno, ma niente ricorda il mio passato, è come se fossi nata in questo stesso momento, tutto il resto è buio, vuoto, senza una traccia di vita.
È strano guardarsi allo specchio e non riconoscersi, la pioggia continua a cadere ed io osservo i miei occhi riflessi nella finestra accanto a me, sembra che piangano.
Ma io non sono triste, è solo che non mi conosco, non conosco questa casa, non conosco i miei occhi e non conosco il mio passato. So soltanto una cosa... il mio nome... Nadia.
Questa è una casa grande, piena d'oggetti che non mi appartengono, alcuni li trovo di pessimo gusto, non credo che possano esser mai stati miei. Forse ho perso la memoria che magari lentamente tornerà, ma ho una strana certezza in fondo che mi fa capire che non sarà così. Ho paura di non dover riacquistare nessuna memoria... perché forse non ho mai avuto ricordi da conservare, non sono mai stata, esisto ora, da questo istante. So che è una cosa senza senso, ma in questo posto è tutto così estraneo e lontano da me... mi sento persa.
Sono molto giovane, avrò vent' anni o poco più, ma perché vivo da sola in questa grande casa vuota?
Sono passati tre giorni da quando ho aperto gli occhi e nessuno è entrato in questo posto, il telefono non ha mai squillato ed io non ho ancora avuto il coraggio di uscire da qui. Per andare dove poi? A cercare cosa? Non credo di potermi ritrovare in qualche luogo... non credo di potermi ritrovare, perché sono solo qui... ora. E nella mia testa il rumore del vuoto... ascolto dei cd e guardo libri, mangio quello che c'è ed ho paura di dover uscire a fare la spesa. Con quali soldi poi? Sono disorientata, chiara e sparsa ovunque.
Dopo tre giorni passati così bussano alla porta, io sono ferma, immobile con la fronte appoggiata al vetro gelido della finestra, con la pioggia ne
Quando le acque del grande mare erano azzurre e placide, quando la terra fioriva di alberi e brulicava di vita, scorreva un piccolo ruscello. Turbinava di verde smeraldo e gorgogliava ignaro del suo gravoso ruolo. Molti piccoli animali, piante ed uccelli, lambivano le sue acque fresche e cristalline per trovare ristoro, ombra e riposo. Anch'essi erano all'oscuro del compito assegnato a quelle acque. Il ruscello aveva scavato, con pazienza infinita e solerzia d'artigiano, una piccola valle nella quale si era divertito a creare rivoli e cascatelle spumeggianti. Dalla sorgente, lungo tutto l'interminabile tragitto che lo avrebbe portato al mare, il ruscello era contento di aver creato il suo capolavoro, una piccola accogliente oasi. Solo l'animale a due zampe, quello che chiamano uomo, non aveva apprezzato la sua opera. Era giunto un giorno, usando cavalli, indossando metallo. Giunsero tanti uomini, alcuni sulla sponda destra, altri sulla sponda sinistra. Parlarono a lungo, gridarono, si scagliarono lunghi pezzi di legno che rovinarono le cortecce degli alberi, calpestarono le acque e le tinsero del loro sangue. Eppure il ruscello scorreva tranquillo, eterno ed ignaro del suo significato, un angolo pacifico rilucente di verde muschio ed intricate ninfee. Gli uomini tornarono. Portarono carri di legno, animali dalle lunghe corna, tagliarono alberi e spaccarono pietre. In un lampo, nel tempo di raggiungere il mare, il ruscello vide nascere le loro tane. Una era massiccia e squadrata. Grandi massi tagliati formavano le sue pareti, e piccole feritoie ne costellavano regolarmente la superficie. L'altra era alta e slanciata, come un grande albero. Aveva torri tonde e lisce come i tronchi degli olmi e tetti a punta con alti pennoni che sventolavano di rosso e oro. Spesso da essa provenivano suoni squillanti di trombe. Gli anni passarono, vennero le grandi piogge che sconvolsero le rive della piccola oasi, vennero le lunghe estati calde ed afose, ed essa si trasformò in una v
[continua a leggere...]Lei statuaria, con i piedi nella sabbia;ad ascoltare quel canto monotono, che solo il mare sa esprimere. Capelli biondi color buccia di melone. La pelle legermente abbronzata. I suoi lineamenti di una perfezione esaltante. Un leggero broncio traspariva nel suo sguardo insonnolito. Una tiepida brezza alzava i suoi capelli a piccole ciocche, dispetti di un vento con poco fiato. Il naso all'in su' come i suoi seni. Non ho abbastanza maestria per descrivere il repentino susseguirsi di sensazioni che la venere mi trasmetteva. Un attimo, i nostri sguardi s'incrociarono. Mi sorrise. Il cuore mi batteva cosi forte nella cassa toracica; come se ne volesse andare, Il cervello dette il comando alle gambe di muoversi ma queste stentavano. Mi ricomposi e mi avvicinai. Dopo i convenevoli, che mi fecero riprender fiato, lei mi disse:che ne dici se questa sera ci vediamo il tramonto assieme? La risposta fu ovvia. Nell'andarmene inciampai su sdrai ombrelloni vecchie e bambini. Lei se ne accorse ma sorvolo'. In quel spazio di tempo che mi separava dall incontro, non vi sto' a raccontare quanto amavo la vita, gli animali, gli insetti, i fiori e le spine. Tutto mi era simpatico. Verso sera il sole ritardava ad andarsene. Mi era complice. Non potevo chiedere di piu'. Parlammo a lungo. Fra di noi era un intesa di sempre. Un ultimo spicchio di sole. Il mare si fece silenzioso. Lei prendendomi per mano mi chiese di baciarla. Un tonfo, un dolore lancinante. Mi ritrovai giu' dal letto inebetito. Sentii una voce: Claudio va a lavorare e' tardi.
Nell'anno 3048 la Terra era diventata un pianeta ostile a qualunque forma di vita. Ogni risorsa naturale era stata esaurita: la foreste erano solo un lontano ricordo, le acque di fiumi, laghi e mari erano avvelenate, il cielo era perennemente oscurato da nere nubi generate dall'inquinamento dell'uomo; i giacimenti petroliferi erano prosciugati e ogni altra fonte di energia scomparsa. In breve tempo le piante iniziarono a morire; poi queste furono seguite dagli animali, e poi dagli uomini stessi. La fame e la mancanza di igiene fecero presto germinare malattie che si rivelarono mortali a causa della carenza di medicine. L'umanità era sull'orlo dell'estinzione. In poco più di un anno l'intera popolazione mondiale fu drasticamente ridotta; da più di 7 miliardi si passò a meno di un miliardo di individui.
Sin dai primi anni in cui le risorse terrestri erano cominciate a scarseggiare, i grandi governi del pianeta avevano messo a disposizione le proprie ricchezze per la costruzione di un'enorme astronave; questa avrebbe portato i pochi superstiti di questo immane cataclisma in giro per l'universo, alla ricerca di un nuovo mondo da colonizzare. L'immensa nave spaziale venne chiamata Nova Gaia e partì dalla Terra con a bordo ciò che restava del genere umano. La stessa umanità che era stata la causa della fine del proprio mondo adesso era costretta ad abbandonarlo. La colossale astronave vagò nello spazio per anni. Essa, nel suo lungo cammino, incontò pianeti in grado di fornire cibo e acqua ai suoi abitanti; ma nemmeno uno di questi corpi celesti si rivelò adatto a sostenere la ricostruzione del genere umano. Nova Gaia divenne quindi la nuova casa dell'uomo.
Anno 3074. L'astronave Nova Gaia che aveva salvato il genere umano dall'estinzione transitava nei pressi di un pianeta denominato Xenon 6. Dalla nave partì un convoglio di esploratori per esaminare questo piccolo mondo intorno al quale orbitava un unico satellite naturale. Esso era una immensa landa des
Secondo il testo della commedia, la locandiera appare durante il primo atto, alla scena quinta. Prima del suo ingresso si assiste ad un lungo dialogo tra i protagonisti maschili, tutti ospiti della locanda, i quali si intrattengono tra loro, scambiando opinioni in merito al mondo femminile, argomento certamente trattato con molta disinvoltura nel '700. Goldoni , insomma, ci fa capire con quale qualità di uomini (e con quali pregiudizi) Mirandolina avesse a che fare; e ciò pur essendo lei " donna pericolosa" - secondo la definizione che ne diede lo stesso Carlo - in quanto faceva innamorare di sé i più " orsi " e poi li faceva soffrire come " cani".
Da dietro le quinte assistevo attenta ai dialoghi del Cavaliere , del Marchese e del Conte.
Nel mentre mi preparavo all'ingresso, sentii bisbigliare l'assistente del regista, la quale si doleva che in platea non c'era il pienone tanto atteso. Purtroppo il pubblico, deluso dall'assenza della prima attrice, aveva in parte defezionato. Questa circostanza non mi fece affatto demordere. Sentii dentro di me Mirandolina prepararsi al debutto. Scalpitavo dentro alle mie piccole pianelle.
All'inizio della scena quinta entrai con il garbo richiesto dal commediografo e la mia prima battuta, rivolta ai gentiluomini, fu :
" M'inchino a questi cavalieri. Chi mi domanda di lor signori? "
Mirandolina si trovò immediatamente a proprio agio . Io e lei ( che fosse , a questo punto non capivo più nulla) recitammo all'unisono. La grande stanza della locanda non pareva un artifizio di quinte teatrali , ma l'ambiente caldo ed accogliente di una autentica antica locanda. Mi sembrò persino di annusare odore di buon cibo messo a cuocere.
Mentre si scambiavano le battute tra gli attori, avvertivo che l'italiano goldoniano che mi usciva dalle labbra, per spirito della locandiera, era di timbro e di pronunzia assai diversi non solo dall'italia
Sfrecciava la sua macchina... sfrecciava come se il Diavolo in persona la stesse inseguendo...
I riflessi rossi mandavano bagliori sotto il sole cocente.
Il rombo sotto di lui lo faceva sentire bene, la musica martellante gli sussurrava di schiacciare di più
“PIU’ VELOCE DEL DIAVOLO... YEAH... YEAH”
e lui schiacciava fino in fondo.
Inserì la quarta e il motore fece un balzo in avanti, la lancetta ormai prossima ai cento.
Ramona... quelle vibrazioni gli avrebbero regalato la sua verginità... e una sana bottiglia di vino l’avrebbe aiutato.
Le ruote bruciavano sulla strada fumante.
“Posso accendere il climatizzatore?” La sua voce tradiva la paura... e l’eccitazione. Si teneva la gonna stretta in mezzo alle gambe e tichettava nervosamente le dita contro il poggia braccio.
Chiuse i finestrini e accese il climatizzatore; tutto si fece più piacevole.
“Grazie”
Il segnale del limite di velocità visse una frazione di secondo nella sua mente, poi sparì e fu cestinato. I limiti di velocità li rispetta solo chi non sa guidare e questo non era suo caso.
Aveva finito gli studi e i suoi avevano fatto fede alle loro promesse.
“Cavolo, se ci dovesse beccare la polizia...”
“Non ti preoccupare”
Svuota cestino.
Inserì la quinta, ormai sui centoventi... poche centinaia di metri ancora e sarebbe iniziata la grande scalata, l’odore di freni e frizione avrebbero incominciato a riempirgli le nari... avrebbe preso quella rotonda a grande velocità, la musica si sarebbe frantumata sotto il rumore delle ruote che fischiavano e gli applausi del pubblico, avrebbe stretto mani e posseduto tipe a non finire e... sentì un leggero dolore sul fianco, un pizzico.
Abbassò lo sguardo e vide una vespa o un ape del cazzo che lo stava pungendo.
La vespa svolazzò sopra il suo braccio destro, dove si posò a farsi una passeggiatina e sganciò un altro morso.
“Figlia di puttana!”
“Cos...”
Calò la mano sinistra e spiaccicò l’insetto. Il liq
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