Marianna viveva sola ormai da molti anni in un appartamento di due stanze scure ed umide nella periferia di una piccola città della Lombardia
La sua unica compagnia era rappresentata da Ettore, un gatto vecchissimo e mezzo cieco che un tempo doveva essere stato nero ed ora aveva assunto un colore sbiadito che lo rendeva spiacevolmente anonimo. Da tempo ormai parlava quasi esclusivamente col gatto e con i santi che pregava tutti i giorni recitando a memoria sempre le stesse preghiere imparate in gioventù. Aveva trasformato una delle sue due stanzette in un piccolo santuario: ceri ed immagini sacre appese dovunque. Dal suo piccolo appartamento usciva un odore di cose vecchie di incenso e di urina. Forse per questo i vicini non la potevano sopportare: dicevano che era una strega e che portava sfortuna. La vecchietta aveva ormai 87 anni ed il suo volto era completamente raggrinzito, avrà raggiunto sì e no i quaranta chili di peso e camminava a fatica, tutta ingobbita recitando litanie ed antiche preghiere in latino arricchite da strane formule imparate molti anni prima al paese natale. La vita, per lei, era diventata un rituale estenuante e sempre uguale. Una sorta di lotta continua che conduceva diuturnamente ed ossessivamente per sconfiggere l'ansia e la paura che l'andavano attanagliando ormai da anni.
I suoi rituali esorcizzavano l'ansia, che come si sa, è una paura senza oggetto, ma poco potevano contro la paura vera e propria che le facevano certi giovinastri del paese che, un po' per gioco, un po' sul serio, avevano cominciato a chiamarla strega ed a farle ogni sorta di dispetto. Si erano sparse delle strane voci: una volta Benassi, il garzone della farmacia, dopo averla vista, era scivolato e si era rotto un polso, le comari dicevano anche che quando passava lei era opportuno rimanere alla larga almeno con i bambini piccoli. Eppure Marianna non aveva mai fatto del male a nessuno. Quand'era più giovane anzi aveva sempre tentato di aiutare chi ne aveva bi
Dal muro trapassa il respiro di Dionisio. Appena poggio la testa sul cuscino lo sento come amplificato nelle mie orecchie, il mio cranio viene colonizzato dai suoi sibili lenti, dal suo inconfondibile ansimare. Non riesco a dormire. Il suo respiro sembra non voler uscire più, rimane incollato al mio cervello, lo stringe nella sua morsa. Mi giro e mi rigiro esausto. Fino a quando il contatto con il letto comincia a darmi fastidio e il suo respiro a invadere tutta la stanza, anche negli angoli si infiltra sleale. Cerco di afferrarlo. Ma è composto d'aria. Inafferrabile etere inspirato dai suoi polmoni e prontamente rigettato. Devo uscire. Stanco di questa fastidiosissima condizione. Uscire. Nemmeno un acino d'uva nella fruttiera.
I suoi occhi appiccicati ai miei. La mia mente appiccicata ai suoi occhi. Le mie parole scritte sulla sua lingua. La sua lingua desiderosa della lingua di Greta. Greta cammina con la testa di Dionisio. Dionisio pensa con i piedi di Greta. Io cammino con la testa di Dionisio e penso con i piedi di Greta.
Sono le tre. Mi alzo. Mi vesto. Cammino. Guardo: tutto e' deserto, le strade, che bello vederle vuote; fra tre ore il traffico le saturerà di suoni, fumi, voci, esseri con due gambe ed esseri con quattro ruote, fiati. L'aria è fresca. Pronto ad affrontarlo con la mia pazienza. Lo legherò prima o poi. Troverò il modo.
Lo conobbi lo scorso mese tramite l'inserzione di un giornale locale, un semplice messaggio "affitto appartamento da dividere, buone condizioni" un messaggio fra miriadi di messaggi. Io cercavo proprio un'abitazione per l'inverno.
<Salve, sono venuto a vedere la casa; ho telefonato ieri>
<Prego, prego entra. Scusa il disordine... stavo proprio cominciando a sistemare. Prego... prego... scusa se mi ripeto... ma è una mia abitudine... ho paura... paura che gli altri non capiscano... questo è il corridoio... stretto ma comodo il corridoio... comodo, no?>
Mi limitavo a ridacchiare sottovoce e a guardarlo este
Bianco ovunque. Bianchi cieli. Bianca la terra. Bianco il nulla che mi circonda. Solo un orizzonte bianco ed io che mi interrogo. Ero nel mio studio, credo un paio di giorni fa, anche se qui il tempo non ha un vero significato fisico, almeno non lo ha come lo intendiamo noi. Stavo esaminando un manoscritto indiano del primo secolo a. c., un testo che non avrebbe dovuto neanche esistere. Conteneva infatti strani disegni raffiguranti circuiti elettrici, motori a scoppio, bobine e quello che a prima vista sembrava un modem. Non si trattava di uno scherzo di qualche collega del dipartimento di Storia dell'Arte. Avevo effettuato io stesso le analisi al carbonio. La datazione era esatta. Non era espressamente spiegato a cosa servissero tutti quei macchinari ma qualcosa avevo intuito.
In lontananza scorgo una figura: finalmente qualcuno. Mi affanno per raggiungere lo sconosciuto, ma nuovamente appena lo guardo in volto, la delusione mi assale: non è altro che un riflesso di me stesso. Devo essere passato già di qua. Il tempo qui nelle regioni del bianco, non scorre come da noi. Ormai l'ho capito. È infatti possibile, e probabile, se come me non si ha una guida del posto, imbattersi in riflessi, poco meno che fantasmi, del passato. Da quando sono qui mi sono incontrato almeno dieci volte.
Tornando al manoscritto, non posso spiegare la mia emozione nel constatare che si trattava del progetto di un macchinario unico e fantascientifico. Ero alle stelle. Completamente ubriaco per le possibilità che mi si aprivano. La macchina avrebbe completato il mio percorso e mi avrebbe consentito di abbattere il muro di vecchiume e preconcetti che alberga nella comunità scientifica universitaria. Tutti pronti a gridare al miracolo e nessuno che si voglia sporcare le mani. Avrei oltrepassato i limiti del pensiero per giungere lì dove è nata l'idea stessa di universo. È inutile aggiungere che fui preso per pazzo. Un ciarlatano. Buono per una favola o per la puntata di lancio di
Che palle! NON NE POSSO PIU'!!!!!!
Anche la lavatrice si doveva rompere!
Ma guarda tu che sfiga!
Basta, lavatrici, frigoriferi, asili, pannolini... BASTAAAAAA!
E prepara la cena e disfa la cena. E scrivi la lettera e prepara il caffè al capo, e prenota i biglietti. E la metro che non arriva, e il posteggio... E... E... E...
BASTA!!!!!
Nel silenzio, interrotto solo dal profondo respiro della donna, una voce:
- Ehi...
- Chi è?
- Sono il diavolo
- Seee, e io sono la fata dai capelli turchini...
- No, no!!! Io sono il diavolo e tu sei tu!
- Dimostramelo!
- Che vuoi che faccia? Scompaio e ricompaio? Ti accendo la cucina a gas con lo sguardo? Vuoi che la lavatrice funzioni? Ecco, guarda funziona... Adesso mi credi. No aspetta, ecco... Scompaio... E... voilà... Ricompaio. Adesso mi credi?
- Okei, sei il diavolo che vuoi? Ma pensa te... Sei venuto a prendermi la mia anima in cambio della lavatrice? Un po' poco, non ti pare? La mia vita vale solo un bucato?
- No, sono venuto per un'altra cosa.
- Sono tutta orecchi e anche un pezzetto di narice, se vuoi.
- Che schifo!!!
- Preferisci la coratella?
- Dotata di humor... Interessante. Sono venuto a farti una proposta. Io sono vecchio e sinceramente mi sono rotto i coglioni. Ho fatto scoppiare guerre, pestilenze, morte, ho inventato il sesso, la droga, le armi. E adesso mi sono stufato. Mi sono comprato una bella isoletta su Antares IV, un bel bungalow. E lì voglio godermi la mia vecchiaia, ho 7000 anni di contributi, e devo dire che la mia pensione non è malaccio. E poi anche il posto che ho scelto è veramente bello. Il suo sole verde, il cielo rosa, il mare rosso...
- Che cazzo di colori!
- Lo so, ma il mio socio si diverte così.
- Il tuo socio?
- Sì, Dio... È il mio socio! Io mi occupo della parte commerciale, compro, corrompo, vendo, istigo. Lui invece fa l'architetto, l'arredatore, si insomma... D'altronde, se ha studiato da geometra... cazzo deve fare?. E poi, sì diverte così! Per lui arreda
Alfio, Fiocco e Gail, un grosso falò nella radura più nascosta del bosco, il gran Roppo… all’ordine del giorno, anzi, della notte; la protezione di Leira; l’accigliato Roppo andava su e giù, lo sguardo fisso al terreno, cercando una soluzione al grave rischio della piccola Fata…ad un tratto, il vecchio Gail nella sua veste tradizionale, una lunga tunica grigia dalle ampie maniche e dal cappuccio profondo, esordì dicendo:”- Ascoltatemi, la vita di Leira è in pericolo perché la sua natura ibrida non viene accettata dal Gran Consiglio, non viene accettata in quanto singolare…però, se riuscissimo a dimostrare che esistono altri ibridi? Frutto dell’unione di un Mago ed una Terrestre ad esempio, oppure altri casi di unione di Fate e Terrestri? Chi ci dice che non ce ne siano? Come facciamo ad esserne certi? Se è successo ad Ashtar perché non può essere successo ad altri? Dovremmo cercare, fra i membri del Gran Consiglio, qualcuno disposto ad aiutarci in questa ricerca…e così, se dimostrassimo che gli ibridi esistono già e non sono un pericolo per il nostro mondo, il Consiglio potrebbe recedere dal suo giudizio…”
“Già” rispose Alfio, graffiando il terreno con gli scalpitanti zoccoli e soffiando aria dalle froge, “chi mai, del Gran Consiglio sarebbe disposto a perdere il suo prezioso tempo per noialtri? ”
“La vedo veramente brutta” sentenziò Fiocco, l’elfo; e per la paura si fece ancora più piccolo e quasi trasparente.
“Un membro del Gran Consiglio che possa aiutarci? Un membro del Gran Consiglio che ci sia amico? Un membro del Gran Consiglio disposto a tradire l’Ordine per fare giustizia? ” Si domandava ad alta voce Roppo, continuando a girare intorno al fuoco…quando, all’improvviso esclamò:” Reynah!!! Si, si, Reynah potrebbe aiutarci, Reynah risponde ai requisiti necessari a disubbidire all’Ordine, Reynah, la mia piccola dolce adorata allieva, oh fato, oh destino, è vero, Gail, hai ragione, solo con u
Il tempo non prometteva nulla di buono e la mamma pregò Mirko di non uscire in moto quella sera.
Un gran bel giovanotto Mirko, appena ventenne, alto, di corporatura media, portava i capelli lunghi ed aveva degli occhi verdi bellissimi. Si era iscritto in Economia e Commercio e ne frequentava il secondo anno con ottimi risultati. Di famiglia agiata, il padre un affermato avvocato e la mamma una professoressa di matematica. Nonostante le possibilità non mancassero aveva sempre, nel tempo libero, cercato di espletare qualche lavoro per essere indipendente. Alcune sere faceva il cameriere per una pizzeria della zona e durante il periodo estivo amava fare l'animatore nei villaggi turistici. Era riuscito ad acquistare quella moto, di seconda mano, interamente con i suoi risparmi e tranne qualche giorno di pioggia o freddo intenso la utilizzava sempre.
" Mirko aspetta che torni papà e ti fai prestare l'auto" gli disse sua madre ma non riuscì a convincerlo, era già tardi ed in pizzeria lo aspettavano. La mamma si rassegnò e gli chiese se cortesemente avrebbe potuto consegnare alla sorella sposata, che abitava sulla stessa strada che doveva percorrere, uno zaino pieno di peluches. Erano alcuni orsetti e scimmiette dell'adorata nipotina che la sera prima aveva dimenticato dalla nonna.
Fu tentato a dirle di no, era una seccatura portarsi appresso quello zaino piuttosto ingombrante, non aveva un portapacchi, ma poi lo prese dicendole di stare tranquilla che lo avrebbe consegnato prima di arrivare in pizzeria.
Ci passava spesso dalla sorella, era di alcuni anni più grande e aveva una bambina di due anni che lo adorava ed anche lui era innamorato di quella bimba.
Mise lo zainetto in spalla, diede un bacio sulla guancia alla mamma ed imitandone la voce disse: " ti raccomando stai attento" poi ridendo la sollevò, facendosela girare intorno, la posò e le ridiede un bacio.
Scese la piccola rampa della villetta, aprì il garage e prese la moto, indossò i
Anno 2064.
Sulla terra si era già dato il via all'operazione "smacchiamento", e potevate star sicuri che i pochi negri che rimanevano erano a "norma di legge", valeva dire morti. Uno pensa che con il passare degli anni, dei secoli, con l'evolversi della tecnologia, si evolvesse anche la società, macchè il razzismo era una di quelle cose che anziché andare a spegnersi si era quintuplicato, ora il razzismo era una disciplina.
"Non c'è peggior alieno di un negro a spasso nell'universo" diceva sempre suo padre, e come volete che crescesse il capitano Crook Benjamin, era diventato il walker texas ranger dell'universo, ma potevate star sicuri che al suo fianco non ci sarebbe stato quel simpatico negretto che aveva Chuck Norris.
A lui questa storia gli era proprio congeniale, prendi un negro lo ammazzi, ne prendi un altro gli fai fare una fine anche peggiore, e continui così finchè non ti danno la medaglia.
Il capitano Crook era un punto di riferimento, un baluardo per tutta l'operazione.
Si era cercato di eseguire l'operazione in sordina, per quanto possibile. Si era dato ordine a tutte le astronavi che avessero almeno un negro a bordo di tornare, ma quei porci col cavolo che l'avevano fatto.
Incredibile come circolassero velocemente le notizie nell'universo.
E quindi ora non restava altro che inviare gli smacchiatori in giro per l'universo a cercare le astronavi rimaste fuori.
Non che fosse un'operazione facile. Un'operazione facile c'era stata a dire il vero:
- Navetta Cpx42, navetta Cpx42 mi sentite? -
Nessuna risposta.
- Navetta Cpx42 mi sentite? Qui chiama la Frontiers51, mettetevi in contatto con noi, rispondete, rispondete -
Dentro la navetta.
- Che facciamo comandante? -
Nessuna risposta.
- Comandante? - Il comandante guardò il suo secondo, era sudato e parecchio agitato.
- Comand... ? - Ma il comandante non gli dava neanche più retta si girò a guardare il suo ufficiale delle comunicazioni, che era parecchio più alterato di lui, anc
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