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Racconti fantastici

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Elyndas/parte 2

L'inizio, o forse la fine.
Il sole inondava la pianura e Elyndas era stesa su di una collinetta. Aveva solamente dieci anni, poco prima stava correndo insieme ai suoi amici, ora loro erano tornati a casa, ormai si stava facendo ora di cena, lei invece era rimasta fuori, non voleva rientrare, non in quel momento così completamente perfetto.
In lontananza vide una sagoma, era una figura indefinita, non si capiva cosa fosse. Vide che pian piano si stava avvicinando, prima lentamente, poi sempre più velocemente. Iniziò a correre. Correva veloce verso casa. Quel momento così perfetto era stato rovinato da una sagoma indefinita.
Sentiva i passi si quella sagoma sempre più vicini, non aveva tempo di girarsi, se l'avesse fatto avrebbe rallentato il passo e la sagoma indefinita l'avrebbe presa. Lo sentiva che quella sagoma stava cercando di prenderla, che stava cercando lei e solo lei.
Un suo amico le intralciò la strada.
"Perché mi sta capitando tutto questo? Quella creatura mi fa paura, voglio fuggire, voglio tornare in casa dalla mamma! Dovevo andare in casa quando si sono allontanati tutti gli altri per rincasare, per cenare. E poi, perché ora Nimai ora mi intralcia la strada? Cosa sta facendo? Non capisce che sono in pericolo?"
Gli occhi di Nimai non erano più di quel colore azzurro così infinitamente bello: erano ora di uno strano rosso acceso, come se fosse diventato albino tutto ad un tratto. La pelle era diventata pallida, non era più abbronzata. Si avvicinava sempre più, non si fermava.
<<Fermati Nimai! Fermati! Lasciami passare, devo tornare a casa, non posso farmi prendere! Aiuto! Aiutami!>> Era questo che Elyndas continuava a gridare. Era ormai in preda al panico, era solo una ragazzina e sentiva gravare su di lei un peso troppo grande, aveva paura, doveva fuggire, fuggire lontano, tornare in casa, e nella notte scappare, scappare veloce.
<<Elyndas, non puoi sfuggire al grande capo della gilda.>> Continuava a ripetere Nimai.
Poi estrasse dal

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   0 commenti     di: Gaia Locatelli


10 euro di vita

Eccomi qui, sfinita, spiegazzata, mezza rotta, ridotta ad uno straccio, quasi alla fine della mia breve vita.
E pensare che tutto era cominciato così bene! Nei miei primi ricordi sono bella, frusciante, perfettamente stirata, con ancora l'odore della tipografia da cui sono uscita e sto viaggiando sopra un grande furgone diretto alle Poste Centrali assieme a tante altre come me.
Quanti discorsi in quel breve tragitto! Quelle più grandi che si vantano del loro valore, vedendosi già nell'alta società, attente a non confondersi con quelle false. Noi più piccole che parliamo insieme per farci coraggio. Ma tutte ansiose di viaggiare e di conoscere il mondo.
Il mio primo contatto col mondo ce l'ho quando la cassiera delle Poste mi tira fuori dalla mazzetta e mi consegna ad una signora anziana. Lei mi ripone con cura nella sua borsetta che sa di pulito e poi esce. Camminando brontola fra se e se, imprecando per la pensione sempre più misera, per le bollette da pagare, per il conto del macellaio, la rata del condominio e molto altro ancora. Incontra un'amica, con cui rifà pari pari tutti i discorsi che mi sono appena sorbita. Poi si dirige verso casa, con la crescente apprensione di essere derubata da qualche scippatore. "Ah, la città non è più quella di una volta!"
Però quando viene a trovarla la sua nipotina con il vestito a fiorellini apre il portafoglio, mi prende e mi consegna a lei. La bambina mi guarda a lungo poi bacia la nonna e corre via, tenendomi appallottolata nella mano. Lei è una bambina giudiziosa e sa che dovrebbe mettermi subito nella scatola del comodino dove tiene i risparmi. Ma è combattuta e continua ad aprire e stringere il pugno, indecisa. Addio stiratura! Alla fine si decide ed entra in una gelateria consegnandomi a un signore col cappellino bianco, che le da un gelato e una manciata di quegli odiosi dischetti di metallo che non valgono niente ma si credono chissà chi. Invece sono solo burini e fracassoni, tiè!
Il gelataio mi di

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Il treno dei sogni

Uno strano treno è giunto stamane nella stazione di Roma S. Pietro, si, proprio strano, sopra non c'era nessuno, neanche sul locomotore, c'era nessuno... poi il Papa in persona si è affacciato da una finestra, ha impartito la sua benedizione ed il treno è ripartito, ha iniziato il suo viaggio verso nord, per essere strano era strano davvero, ogni tanto rallentava, si fermava, si aprivano le porte ed i finestrini ma nessuno saliva... almeno all'apparenza, si, perché la verità è che questo treno sapeva benissimo dove e quando fermarsi e qualcuno, anzi qualcosa, saliva ad ogni sua sosta, salivano i sogni, salivano i sogni delle persone che sognavano anche ad occhi aperti e questo treno lo sapeva e li raccoglieva tutti, gli faceva fare proprio un bel viaggio a questi sogni, tutto il lungomare dell'alto Lazio e poi quello Toscano, poi ancora più su la Liguria fino a Ventimiglia, lì raccolse tantissimi sogni, quelli di persone fuggite da fame e guerre e che non potevano andar via da lì perché la "politica"..."che parola strana, cosa c'entra con i sogni, i sogni sono liberi e non hanno confini, non li conoscono affatto!" Bene, lì entrarono talmente tanti sogni soprattutto quelli dei bambini erano così tanti, che si dovette aggiungere un altro locomotore ed altre vetture poi il treno ripartì passò sotto le Alpi le Fantastiche Dolomiti, poi giunse a Bolzano, qui si riempì ancora di tantissimi altri sogni, le nazioni, la politica... fermavano, ma i sogni partivano lo stesso e gioiosamente riempivano il treno, poi si sollevò di pochi centimetri e passò dentro la laguna veneta, passò sul canal grande, si fermò davanti Piazza S. Marco e li gli occhi dei sogni e le loro bocche rimasero affascinate ancor di più dall'ingegno umano e dalle sue capacità artistiche, poi riprese i binari e scese giù lungo tutto il mare adriatico, passò per L'Emilia le Marche, l'Abruzzo, fece un bel giro in Puglia ed i sogni si accumulavano, il treno diventava sempre più lungo, m

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   4 commenti     di: leopoldo


Getflok lo Sciamano

I refoli ciarlieri ed autunnali del sottobosco maculato di funghi multicolori, sembravano accompagnare i passi di Getflok, lo Sciamano del popolo della Terra di Confine.
Girovagava apparentemente senza méta, ma con lo sguardo attento agli alberi, che iniziavano a spogliarsi dell'abito di foglie. In realtà stava cercando un ramo di tasso adatto per costruire un arco per Tosit, suo grande amico e fratello, invaghito della ragazza più bella del villaggio. Ma, il mugnaio suo padre non voleva sentir ragione e andava ripetendo che avrebbe concesso la mano della sua Gedea solo al miglior cacciatore della valle. ossia, al vincitore della gara che anche quell'anno si sarebbe tenuta nel Campo del Sole d'inverno, il grande circolo sacro circondato dalle sacre pietre dei giganti. Chiunque vi poteva partecipare e questo era motivo di apprensione nel cuore di Tosit, si era confidato con Getflok, chiedendogli aiuto. E lui ora s'aggirava nel bosco alla ricerca di un albero vibrante, il Tasso, l'albero preferito da Janna, la dea della caccia. In quel momento Evos, il dio del vento alzò la voce, quasi un fruscio a coprire il cricchiolìo dei suoi stivali di pelle di daino, sulle foglie croccanti sparse a mò di tappeto.
Getflok capì che quella voce era un segnale del dio Evos e tese la mente per sentirne il messaggio pronto a seguirne i consigli. Dal limitare del bosco dove si trovava gli occhi saettarono verso i lontani alberi di acacia, che crescevano sulle rive tormentate del fiume Tonante. Sì, aveva capito bene e conosceva quel posto anche se si trovava oltre i limiti delle terre Conosciute. Lo Sciamano s'avviò. La voglia di far contento il suo amico-fratello e fargli vincere quella tenzone gli metteva le ali ai piedi.

Getflok era il migliore costruttore di archi da caccia, perché conservava gelosamente tutti i segreti che gli aveva trasmesso suo padre, che a sua volta li aveva appresi anche lui dal padre e così via via, dagli antenati sin dagli inizi del t

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L'invasione del regno di Esmelia

Un giorno Armares ordinò a Parsek di rapinare e distruggere un regno il cui re di nome Merovis appartenente ad una importante dinastia, in passato lo aveva sconfitto e umiliato. Così a capo di una banda di delinquenti e mostri Parsek invase il regno scatenando una feroce guerra e insieme a Plesius sconfisse l'esercito regio e tre cavalieri fatei chiamati Adenar, Berseker e Mithrenal che difendevano la famiglia reale e infine uccise lo stesso re Merovis.

Il cavaliere fateo decaduto Parsek, con la sua banda di mercenari e creature infernali arrivò nel regno di Esmelia, che secondo gli ordini del suo signore Armares doveva distruggere.
Si fermò di fronte al piccolo villaggio di Venner, che precludeva la strada alla città di Esmelia, sapendo che buona parte dell'esercito regio si era asseragliata in quel centro per precludergli il passo. Lord Adenar Mellit infatti, cavaliere fateo di indiscusso valore, si era appostato con dei soldati propio a Venner e intendeva fermare l'avanzata del sicario di Armares. Tale Adenar era il figlio di un cavaliere fateo di nome Sedrenar che 20 prima, con la sua straordinaria abilità nel combattimento e nelle arti magiche aveva permesso al re Merovis di sconfiggere il titano Armares; anche se a costo della vita. In questo grande mago guerriero riposavano le speranze del re di Esmelia, oltre a buona parte delle speranze del glorioso ordine dei cavalieri fatei, creato secoli prima dall'antico Titano Vardames. Il gran maestro dell'ordine Ralk in fatti intendeva nominare Adenar suo successore, nonostante questi avesse espresso dissenso.
Allora Iridan Plesius, cavaliere oscuro maestro di Parsek intimò al suo allievo di fermarsi, perchè intendeva liberargli la strada con il colpo che aveva incenerito un intero villaggio e lo aveva reso famoso e odiato da tutti: la bombarda simka. Salito su una collinetta iniziò a concentrarsi ed a formare una sfera di fuoco fatuo che si ingrandiva sempre più.
Plesius comunque ignorava che anche A

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Il mare ritorna

Ho sognato di andare al mare ed appena arrivato, l'ho visto lentamente ritirarsi e lasciare solo sabbia al suo posto... poi una voce dal tono profondo all'improvviso dice: "basta, non meritate più il piacere delle mie onde, del dolce cullarvi con il mio movimento, immergervi per guardare le mie meraviglie sommerse, avete profanato ed inquinato troppo la mia esistenza, mi ritiro e vi lascio ciò che meritate:sabbia solo un'arida distesa di sabbia!" Incredulità, sgomento e per qualcuno paura sono i sentimenti che assalgono tutti i presenti all'evento, il silenzio viene rotto solo dal pianto di tutti i bambini presenti, allora grido dalla parte dove prima c'era il mare "cosa dobbiamo fare per farti tornare?"Nessuna risposta, solo vento e sabbia, mi avvicino dove prima arrivavano le onde e vedo un oggetto, lo raccolgo e lo mostro a tutti i presenti, è un palloncino colorato ed allora ho un'intuizione sul segnale che il mare ci ha lasciato, i palloncini li usano i bambini per giocare, qui tutti loro stanno piangendo se costruiamo delle mongolfiere dicendo loro che è un gioco e li convinciamo a salirvi sopra quando raggiungeranno la parte opposta potranno scendere e chiedere a mare di tornare! La maggioranza dei presenti mormora commenti negativi, qualcuno avvicina il dito indice alla tempia per farmi capire che sono matto, ma accade una cosa sensazionale, tutti i bambini, nessuno escluso mi circondano e mi chiedono urlando, saltando tirandomi per le braccia, come si costruisce una mongolfiera? Non lo so gli rispondo ma dobbiamo provare a farlo, a quel punto qualche genitore, fratelli e sorelle più grandi si avvicinano e cominciano a prendere sul serio l'idea. Siamo in tanti ognuno di noi può essere utile, cerchiamo e troviamo quello che serve per costruire più mongolfiere possibile e qualcuno che sa governarle per accompagnare i bambini, nel giro di pochi minuti la spiaggia si svuota e tutti partono alla ricerca del necessario per riavere il mare. Non so quanto tem

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   4 commenti     di: leopoldo


Devo svelarvi un segreto inconfessabile

Devo svelarvi un segreto inconfessabile che non riesco più a tenere dentro: ho un'amante.
È una super gnocca mora che tutte le notti immancabilmente viene a trovarmi. Si infila in casa leggiadra e silenziosa a notte fonda, quando mia moglie e mia figlia sono immerse in un sonno profondo. Viene in camera da letto dove io attendo pazientemente che arrivi Morfeo.
Con un soffio suadente mi sussurra all'orecchio: "Ti prometto una notte d'amore e amplessi? Alzati che facciamo all'amore! Non possiamo farlo nel talamo nuziale; abbiamo bisogno di spazio per la nostra passione e fantasia".
Faccio fatica ad alzarmi ma appena vedo il suo corpo stupendo è tutto un risveglio dei sensi. I pochi ormoni rimasti si rimettono in moto vorticosamente come impazziti. Scopro che la zona del mio corpo che sta sotto la cintola è ancora viva, pulsante.
È bellissima, da perdere la testa; avrà sui trent'anni. Al diavolo le convenzioni sociali. In fondo è lei che mi ha sedotto. Se fossi stato io a prendere l'iniziativa sarei passato per un vecchio maiale. Sa anche a mettersi in ghingheri. Noi uomini ci facciamo facilmente istupidire dai ghingheri: ci piacciono ancora il reggicalze e calze a rete, le culottes di pizzo, il reggiseno a balconcino, i tacchi a spillo... Non siamo solo fallici siamo anche un po' cerebrali.
Al mattino pur essendo stremato scopro che ho una resistenza estrema. Lei non si fa prendere dalla passione selvaggia. Tanto meno il sottoscritto che deve saper sparare le poche cartucce rimaste al momento giusto. Abbiamo gli stessi gusti. Abbiamo dei preliminari lunghissimi ma lei ha una pazienza infinita. Freud avrebbe detto che è rimasta allo stadio orale ma non capiva un cazzo.
Facciamo l'amore tutta la notte, in tutte le posizioni, sulla poltrona, sul tappeto, sulla lavatrice.
Certe notti ci gode a sottrarsi al momento giusto dopo avermi eccitato allo spasmo. È una sofferenza atroce. Ma a tutto c'è un rimedio. Ho trovato i miei surrogati: la nutella o in manca

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   0 commenti     di: Renato Galetto



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