(… Ulisse e Calypso sono sul palco, immobili, lo svolgimento della storia è sospeso. Davanti a loro la Narratrice entra in scena con il copione in mano)
Narratrice - Sono passati lunghi anni o brevi istante per una Dea, da quando le sirene hanno rapito Ulisse per lei. (rivolgendosi ora al pubblico) Ohh! come lo stupore e la solitudine si impadroniscono del suo sguardo! Guardate! Come il suo occhio si allunga in una tensione esagerata verso le onde lontane dalla riva. È Ulisse che cerchi, vero? Ricordi? Ricordi Ulisse? Da te rapito, da te strappato al suo viaggio! L'hai reso felice con te, con i tuoi baci, ma lo hai anche trattato come un giocattolo! Ora è partito e tu da sola parli con il mare. (la Narratrice esce di scena, l'azione ricomincia).
Calypso -
Non ti ho mai trovato, … ne …. tanto meno salvato.
Non ti ho mai … conosciuto, ne … mai amato.
Non sei mai esistito
Non mi hai … mai … lasciata!
Ulisse -
Non mi hai mai amato
ne … tanto meno trovato
Non mi hai mai guardato
Ne, mai curato, carezzato, spiato, con occhi amorevoli di sposa.
Hai gioito per il mondo,
ma non per me, …
non hai gioito per orgoglio di me.
Per l'orgoglio che ero tuo, che ero tuo.
Che era grazie a te … che vivevo, che piangevo,
che ridevo, agivo!
Non ha mai sofferto con me, per me, sul corpo di me,
per le mie debolezze, per il buio dei miei pensieri. …
Non sono mai partito,
perché non sono mai arrivato, qui … da te.
Mai arrivato, fino al cuore di te.
Calypso - Sei veramente un naufrago! … lo sei comunque! non importa se ti hanno portato qui le mie Sirene. Sei arrivato qui, coperto di stracci, coperto di insulti. Incrostato di solitudine, di rancore… di ricordi!
Io alle tue promesse dicevo - … no! non ti voglio. Voglio la mia libertà, io!
… adesso voglio, finalmente, essere libera, della mia vita -.
E tu? Poi? infondo … con quale diritto, subito, neanche appena arrivato, sei venuto a dirmi, cosa devo fare?
..
Quando il campanello suonò delicatamente, Paolo dette un'ultima occhiata alla sua fatica e la trovò perfetta. Il tavolo apparecchiato era per due, con in mezzo uno stupendo bouquet di rose rosse, vino bianco nel porta ghiaccio, luci soffuse e nell'aria un delicato aroma. Dalla porta più lontana, leggermente aperta si poteva intravedere un letto: c'erano anche "le lenzuola con il grigio" come consigliava il guru del tradimento. "Si, tutto preciso come un orologio svizzero", pensò Paolo, mentre col telecomando faceva partire la musica. Aveva inserito nel lettore dieci tra i più romantici Cd che aveva scaricato: gli avrebbero dato una mano per tutta la notte. Ecco, finalmente era giunto il momento di far entrare Anna, la caposala di Ortopedia. Paolo era anestesista nello stesso ospedale, a Voghera. Quando la donna entrò, fu profondamente colpita da quello che lui le aveva preparato curando con attenzione ogni minimo particolare. Si sentì orgogliosa di se stessa: aveva davvero messo gli occhi sul migliore!
La serata si avviò meravigliosamente. Sapevano entrambi come sarebbe finita, era già da qualche giorno che lo speravano e ogni loro mossa sembrava studiata per raggiungere quel traguardo. Fu quindi con grande disappunto che udirono suonare campanello. Paolo gesticolando cercò di tranquillizzare Anna e le fece cenno di non far rumore, ma il campanello suonò di nuovo: evidentemente chi stava li fuori, chiunque fosse, voleva entrare. L'anestesista si alzò in silenzio per andare a vedere, ma non era nemmeno arrivato alla porta che si sentì una voce, quella della moglie, che gli intimava in tono perentorio di aprire. Era successo, alla fine dopo tanti altri tradimenti, lo aveva colto in flagrante. Si trovò all'improvviso e con un'insolita intensità ad implorare aiuto e qualcosa incredibilmente avvenne: mentre apriva la porta notò che sul tavolo era comparso un altro posto apparecchiato, come se fossero stati in tre a cena. Quando la moglie Marta fece il su
Giunse infine il momento in cui il supremo Demiurgo, il primario artefice di una delle specie più volubili dell'universo intero, si ritrovò a chiedere a Quelli Che Erano Venuti Prima: come dovrà essere il cuore di un uomo?
Essi risposero: complesso e misterioso, in linea con la natura della Vita stessa. Il cuore non dovrà soltanto curare il suo ospite, nutrire di ossigeno le sue cellule, ma anche rappresentarne l'anima, donargli speranza. Dovrà illuderlo, a volte, pur di spingerlo a proseguire, a oltrepassare l'incertezza. Le potenti emozioni da lui scatenate avranno un legame viscerale con la mente umana, oscurandone a volte ragione e il buon senso. Il cuore dell'uomo sarà perciò impavido e perseverante. Sarà forte come il mare. Baratterà sangue e lacrime. Sarà tenero ma imprevedibile, violento ma fragile. Spesso renderà il suo ospite interdetto, preda del dubbio, a volte colmo di odio e paura, ma lo spazio al suo interno sarà grande, a volte più del necessario, ed esso sarà sempre in cerca di qualcosa con cui riempirlo, di una fonte a cui abbeverarsi.
Il Creatore si ritrovò disorientato. Come possono, si chiese, un corpo e una mente resistere a tutto questo? Essere nutriti e allo stesso tempo fiaccati da un fardello così instabile, passionale, senza regole di sorta?
Capì allora che l'essere umano, creatura priva di vincoli, avida di qualunque tipo di emozioni, non avrebbe mai potuto aspirare a una vita lunga, come una candela le cui estremità vengono velocemente bruciate da una luce troppo brillante per essere descritta.
Il numero civico 82 di Washington Road era un gigantesco cantiere. Un'alta recinzione in lamiera e reticolato tagliava fuori gli occhi indiscreti ed un cancello appeso a cardini improvvisati rappresentava l'unica entrata. Dieci uomini scesero da un'auto scura e da un furgone blindato, tutti vestiti con impeccabili completi neri, gli occhi nascosti da occhiali da sole. Uno di essi avanzò fino al cancello, constatando senza sorpresa alcuna che era stato aperto senza forzare il lucchetto. Succedeva sempre così.
Diede ordine di entrare semplicemente sollevando il mento, un gesto misurato al millimetro e perfezionato lungo gli anni. Gli uomini sapevano già cosa fare, perciò non era necessario spiegarlo a parole; si mossero con precisione assoluta e furono al lavoro nel volgere di pochi istanti. Landon Ford restò accanto a lui, invece, contemplando ciò che lui contemplava. Era il suo vice da sempre, oramai un prolungamento della sua spalla destra. <<Forse dovrebbero decidersi a cambiare copertura>>, rifletté. <<Questa mi pare abbia fatto il suo tempo, signor Kurts.>>
Seth Kurts stava osservando il grande cartello sul quale era rappresentato il progetto di costruzione del nuovo complesso residenziale Trigate. Giudicava che non sarebbe stato affatto male, se il suo destino non lo volesse eternamente incompiuto. <<Non fa parte del nostro lavoro, Ford. La creazione non fa per noi, il nostro compito è cancellare.>>
Già. Loro entravano in gioco sempre e solo quando il progetto falliva. La loro agenzia si era imbattuta per puro caso, decenni prima, in un procedimento di sintesi molecolare capace di stravolgere i piani dell'esistenza in aree controllate, il che consentiva, letteralmente, di vedere la morte in faccia. Si trattava, ma lui non lo sapeva con precisione, di fare un bel po' di baccano alle porte dell'inferno fino a che qualcuno, dall'altra parte, perdeva la pazienza e usciva per prenderli a calci nel sedere. Allora loro intrappolavano le cose c
Tattiche sparse
-l'apparenza inganna?-
Non smetteva di piovere, e la cosa di certo non migliorava l'umore, ma d'altronde che funerale sarebbe stato, senza una pioggia leggera e costante, che copriva lacrime e faceva da sottofondo alle parole del prete.?
Pioveva anche dai miei occhi, con la stessa lentezza e costanza, il volto fermo in quell'espressione rigida che lasciava intendere quanto poco quel che stava accadendo intorno a me fosse importante, fermo a guardare il legno dove lei era rinchiusa.
L'ospedale, la chiusura della bara, la messa, la marcia lenta al cimitero... tutte queste cose le avevo sopportate, ma quando la bara comincia a scendere sottoterra, allora ti accorgi che è davvero arrivato il capolinea per quella persona, e anche per una parte di te.
Non c'è ritorno una volta ricoperta la cassa, anche l'ultimo attimo di vicinanza viene sotterrato e ti ritrovi davvero senza più qualcosa, senza possibilità di riprendere quel che è caduto fin là sotto;fu allora che crollai, in ginocchio come se mi avessero segato i tendini delle gambe con un sol colpo.
Albert, come gli si confà, venne lì e si inginocchiò di fianco a me, senza pronunciare niente e senza guardarmi, o almeno così immagino stesse facendo, dato che in quel momento la mia percezione sensoriale era annullata.
Stette lì fintanto che io, tornato a "sentire", mi girai verso di lui; il suo volto, la sua espressione, era la solita maschera seria, ma fu rassicurante vederla e sentirla familiare, ora che avevo perso quella che era la mia famiglia, ora che lei era stata sepolta assieme a tutto quell' amore che pensavo la rendesse immortale... Patricia... mi sanguina il cuore... mi manchi...
mi alzai, senza che Albert mi aiutasse (seppur straordinariamente gentile per l'occasione, era comunque Albert), non salutai nessuno che non fosse la mia defunta moglie, e uscii dal cimitero lasciandomi alle spalle la mia v
Capitolo I – Avalon, il cimitero dei re
Aprile 1234
Nella semioscurità della stanza, illuminata fiocamente da una torcia appesa alla parete, un'ombra attirò l'attenzione di Nimue, che prese a seguire con gli occhi i movimenti della misteriosa figura. L'uomo, un vecchio di cui non si riusciva a scorgere altro che una lunga chioma argentea che gli ricadeva lungo le spalle, scostò le coperte e si alzò con molto sforzo dal letto in cui giaceva. Con movimenti lenti e affaticati, facendo frusciare la lunga veste blu notte, l'uomo si avvicinò al tavolo di legno e vi si sedette. Afferrò uno dei fogli di pergamena disordinatamente sparpagliati sulla scrivania, intinse una consumata piuma d'oca in una boccetta d'inchiostro e iniziò a scrivere.
A parecchie miglia di distanza, la maga Nimue teneva gli occhi avidamente fissi sulla sua sfera di cristallo, osservando con attenzione maniacale l'immagine del vecchio nella stanza buia e cercando di distinguere le parole che egli imprimeva sul foglio. Non appena ebbe terminato, l'uomo posò la piuma sul tavolo e ripiegò accuratamente la pergamena. Poi, con un gesto apparentemente incomprensibile, soffiò, e l'aria esalata dal vecchio sembrò prendere vita, assumendo le sembianze di una colomba bianca. L'uomo infilò la pergamena nel becco dell'uccello, che un istante dopo spiccò il volo, si diresse verso la finestra aperta e uscì nella notte.
Un sorriso soddisfatto e un lampo maligno balenò nel volto di Nimue, che distolse gli occhi dalla sfera: aveva visto abbastanza. Merlino non si smentiva mai. Anche ora, vecchio e stanco, dopo che il suo protetto Artù era morto e non era rimasto più nulla da difendere, il mago non si era ancora rassegnato alla sconfitta. Ma neppure stavolta sarebbe riuscito a portare a termine la sua opera. Perchè, come sempre, non aveva fatto i conti con lei, l'ambiziosa e astuta Nimue, la Dama del Lago.
Aprile 1255
“Tanti auguri, mio pazzerello cugino! ”
Prima ancora che i
Era una notte invernale strana nelle Terre Desolate, una di quelle che potrebbero cambiare la storia da un momento all'altro dove una decisione sbagliata potrebbe portare un uomo alla morte e un altro alla gloria.
Il vento soffiava forte tra gli alberi spogli che caratterizzavano il paesaggio mentre le cime aguzze dominavano incontrastate l'orizzonte di una terra che sembrava essere stata abbandonata dall'armonia della natura...
Sulla cima di un albero appariva una sagoma cupa di un ragazzo dai capelli neri pallido, uno dei quattro generali dell'Impero: Thanatos.
Si trovava in quel luogo per via di un gruppo di ribelli che avevano osato causare non pochi problemi alla Causa e che si erano rifugiati in quel posto dimenticato da Dio per sfuggire all'Imperatore. Perciò gli era stato assegnato il compito di stanarli e renderli inoffensivi, doveva essere un lavoro da niente tanto che era partito alla testa di solo ottocento uomini ma sfortunatamente i nemici dell'Impero di Equilenia erano più organizzati del previsto senza contare che aveva il sospetto che fossero al corrente della loro presenza e dei loro spostamenti. Tuttavia era riuscito a eliminarli senza perdere troppi uomini; disgraziatamente durante la marcia verso casa arrivò una spiacevole notizia...
Sull'altro versante del monte che stava scrutando era in corso un incontro tra re Gaspar di Erzenia e i rappresentanti della repubblica di Orianea, l'ultimo paese libero del mondo. A quanto pare tramavano qualcosa di grosso contro Equilenia, ma la cosa non era preoccupante in se poiché i due paesi non potevano nulla contro di loro. Ciò che interessava al suo Signore era annettere il regno di Erzenia e quella notte gli era stata fornita una valida scusa per farlo senza indugio.
L'ordine del supremo generale Ares era stato chiaro: <<trattienili fino al mio arrivo>>. Era ovvio che la missione era suicida, non disponeva di molti uomini e secondo le informazioni delle loro spie il codardo re aveva t
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