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Racconti fantastici

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La caduta di Babilonia

Me ne andavo quel giorno per le vie del mercato cercando qualche cosa di diverso, il sole rifletteva sui tetti dorati della capitale babilonese e il caldo rendeva ancora più faticosi i vizi e gli ozi di tutte quelle persone,
sui tetti della città viaggiavano già da un paio di giorni le bestie che sfoggiando le loro sette teste urlavano il loro amore a una qualche regina che nessuno di noi conosceva.
La vita continuava, però a scorrere tranquilla, nessuno si curava più delle bestie che sembravano destinate a ornare il cielo (e soltanto il cielo) per molto tempo ancora.
Passarono due notti ancora tra schiamazzi e lussurie che sarebbero terminate al tramontare del terzo sole: All'imbrunire una di quelle bestie toccò il terreno sotto lo sguardo incredulo di due mercanti, un mendicante, una prostituta ed io, (che tornavo a casa dopo la giornata lavorativa) quelle sette teste si muovevano sibilando e contemporaneamente cominciarono a parlare.
<I vostri lussi mi piacciono, l'intera Babilonia è lussuria e tutte le oscenità che qui sono compiute mi deliziano.>
Uno dei due mercanti, raccolto il coraggio, decise di parlare:
<Sig.. signore, io vendo vino, la bevanda della gioia e dell'ozio, la provi, la compri da me, sono il miglior fornitore della città> La voce tremante del mercante piacque al demone che muovendo la mano lentamente fece apparire un sacco d'oro che donò prontamente al venditore stupito che con velocità stupefacente fece rotolare ai piedi della creatura tre grossissime botti di vino profumato.
Le altre bestie notando questa scena dall'alto planarono a terra e compiendo gli stessi movimenti arrivarono a ricevere le tre botti di vino tanto desiderate, ora quei demoni (sette in tutto) si godevano la bevanda bestemmiando e urlando.
Il sole non giunse.. rimasi a osservare quei demoni tutta la notte e una pugnalata al petto mi colpì quando notai che quel giorno il sole non avrebbe illuminato i tetti dorati e i bellissimi drappi di lino della poten

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   1 commenti     di: Andrea Pezzotta


ORLANDO

Corre sempre più velocemente, il mondo.
Il 24 dicembre corre anche tanta gente alla ricerca dell'ultimo regalo, e anch'io, pigramente, devo cercare un regalo per Natale! Per l'unica persona alla quale sono uso fare regali: me stesso.
Vedo il mio regalo seduto proprio di fianco a me, al bancone del bar dove ho deciso di affogare nella birra analcolica quello che resta del pomeriggio.
È bellissima! Per quello che può contare l'opinione di uno cui le donne piacciono tutte, certo…
Direi un metro e settanta, vagamente soprappeso, capelli neri, foltissimi, tagliati a spazzola e occhi scurissimi, che essendo, come universalmente noto, lo specchio dell'anima, definirei da urlo. Ah, dimenticavo di citare i fianchi larghi da fattrice e il seno quinta misura o giù di lì. Insomma proprio il mio tipo! Tra l'altro in ovulazione, il mio fiuto è infallibile.
Mi presento, io e il mio sguardo da Peter Falk:
- Chiedere cosa ci fa tutta sola una bella ragazza come te al bar è tacchinaggio volgare e scontato, vero? Meglio sbattere le ciglia e dirti Mi chiamo Orlando, sei deliziosa, posso offrirti l'aperitivo?
- Grazie per i complimenti e per l'aperitivo, Orlando. Mi chiamo Vera. Però devo deluderti, purtroppo. Sto aspettando visite.
- Mi auguro meno piacevoli della mia, stellina, sai, io sono un tipo geloso.
Così dicendo allargo un sorriso a 31 denti e una capsula davvero irresistibile. Vera mi avvolge con uno sguardo che manifesta quanto meno simpatia. Meglio che niente.

Nel frattempo entrano nel bar tre ragazzoni biondi, alti e grassocci che, con la delicatezza propria di un caterpillar, si piazzano tra me e Vera. La mia reazione, al momento, è un semplice sbuffo di insofferenza.
- Vè, vieni fuori, si parla meglio senza zanzare intorno!
Ad aprire bocca è stato il più alto dei tre, guanti di pelle e codino sbiadito sulla nuca, aura da capo branco. La zanzara sarei io.
Vera torce le labbra disgustata:
- Devo finire di bere, prima! Abbiamo quant

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L’Angelo

Ho visto un Angelo, di quelli che ancor vivono sulla terra. Quelli che ancor soffrono.
Aiutami, mi ha detto.
L’indifferenza che lo circondava era palpabile.
Il suo sguardo vagava sconcertato, pareva quasi chiedersi:
ma è questa la terra, son questi gli uomini? Per questo Egli è morto?
Il mondo intorno a lui correva, seppur non ve ne fosse bisogno.
Aiutami, te ne prego, non posso farcela!
Mi sono fermato.
Non preoccuparti amico, son qui per questo, tu riposati un momento.
Grazie, mi ha sorriso, ma rimango qui con te.
Sì, però riparati, piove dal cielo.
Poi ho aggiunto,
Che fai ancora sulla terra?
Sono in attesa, il mio cammino è ormai al termine. Lo vedi il mio tremore, percepisci la mia angoscia?
Sì, ho risposto.
Tutto questo è per voi, noi Angeli veniamo sulla terra preparati ad affrontare la vostra vita, ma quanto è difficile la realtà. I dolori sono tanti e le pene le carichiamo tutte su di noi, perché vi amiamo. Poi quando siamo noi ad aver bisogno, scappate e ci ignorate. Questi sono i momenti in cui la Sua collera può esplodere.
Continuando nel suo tremore ha aggiunto:
Tu oggi ti sei fermato, ho sentito distintamente tua moglie suggerirti, aiutalo, ed ho percepito la tua volontà di farlo. Ed ora sei qui sotto la pioggia, ad aiutare un Angelo bisognoso. Non c’è premio per questo, nulla, e tu lo sai.
Certo che lo so, ho risposto guardandolo, non mi aspetto nulla. Anzi non pensavo nemmeno tu fossi un Angelo terreno.
I suoi abiti bagnati, il tremore incontenibile, la saliva che gli usciva dalla bocca mescolandosi alla pioggia, ed il suo sguardo dolce, mi convinsero che non mentiva. Era proprio un Angelo, prossimo ad incontrare Dio.
Poi ho finito.
Ecco fatto, ora puoi ripartire.
Grazie, non ce l’avrei mai potuto fare da solo. Ti voglio ringraziare.
No, mi sono scandalizzato, non v’è bisogno.
Allora mi ha allungato la mano e stringendo la mia ha detto:
Grazie amico mio, ci ritroveremo io, te e lei in un'altra vita dov

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   4 commenti     di: cesare righi


Dhampyr

Esisteva due secoli fa in Inghilterra un piccolo villaggio agricolo chiamato Morton. In questo villaggio viveva un ragazzo di nome William O'Connor dagli occhi azzurro-grigi e capelli castani, senza famiglia allevato dal parroco del luogo, il quale oltre a provvederlo del necessario e impartirgli per come poteva un'istruzione, era per lui l'unico legame affettivo. Tutti gli altri compaesani lo sfuggivano e lo temevano, perché sapevano come era venuto al mondo, sapevano che era figlio di un vampiro. Anni prima nel villaggio era vissuto un fabbro di nome Alan McMiller che aveva un unico figlio purtroppo gravemente malato, per pagare delle cure che non poteva permettersi egli era stato costretto a ricorrere ad un usuraio ottenendo in prestito una grande somma di denaro. I medici di quell'epoca però, a causa delle limitate conoscenze, non furono in grado di salvare il bambino il quale purtroppo morì. Lo strozzino però non era un uomo dal cuore tenero e pretese la restituzione del prestito con contorno di interessi, riducendo sul lastrico il fabbro e togliendogli tutto ciò che aveva. Il poveretto provato dal dolore e spogliato di tutti gli averi si impiccò, lasciando una vedova che divenne pazza, e un grande cordoglio in tutti i compaesani dispiaciuti di una sorte tanto ingiusta. Un mese dopo però molte persone cominciarono a vedere il defunto fabbro ogni notte e dei testimoni dissero che egli attaccava sia il bestiame che gli uomini, lasciando le sue vittime dissanguate. Una notte il fabbro dannato penetrò con un sotterfugio in casa di una bellissima ragazza chiamata Susan O'Connor figlia di una povera vedova. Invece che salassarla, ne rimase affascinato, così la prese soggiogandola con i suoi poteri ipnotici. L'indomani la madre di Susan seppe tutto e disperata radunò tutti i paesani esortandoli a liberarsi di quel flagello. Gli abitanti, stremati dagli attacchi del non morto, prima decisero di riesumare il corpo per vedere se davvero il fabbro fosse un

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Storie vere in caramelle:la danza dei colori

NERO


Intanto anche Nero, abbassata la cornetta del telefono e grattandosi, senza accorgersene, la barbetta nera che gli spuntava dal mento, rimase pensieroso. . ritornò in sé quando sentì un miagolio di dolore.
Non si era accorto di aver calpestato Nerina la sua vecchia gatta, che ormai senza più grinta, tendeva ad addormentarsi anche in mezzo alla stanza o in qualsiasi luogo si trovasse.
Questo invito lo aveva un po' lasciato di stucco. Erano passati i periodi in cui tutti lo invitavano, lo volevano, in cui lui si concedeva senza aver paura di consumarsi.
"Un tempo giocavo molto"disse a voce alta, come se qualcuno lo stesse ascoltando," stavo in compagnia del mio amico Bianco, vivevamo insomma in bianco e nero.. ah! che tempi! penso i migliori della mia vita. Lo sapevate che i cani vedono in bianco e nero? Ogni tanto mi è capitato di piangere, avrei desiderato essere amato per cose felici e gioiose, invece mi usavano per i funerali, per le paure, per rappresentare la morte.
Mi fecero entrare anche nei tribunali a vestire i giudici...
Nel medio Evo non mi usavano molto, perché mi nascondevo, ero difficile da trovare.
Qualche riccone però mi rintracciava, mi comprava, mi sbatteva in piccoli angoli delle tele... allora ero veramente prezioso. In pochi potevano comprarmi, perché ero un bel Nero lucido, molto costoso. Certe volte mi ricavavano dal fumo, facendomi fare brutte figure perché come il fumo, sbiadivo in fretta, svanivo. Poi qualcuno ha voluto farmi un bel regalo, mi ha utilizzato per colorare pizzi e sete in nero, che eleganza ragazzi! Ho vestito bellissime donne, anche alcune brutte per la verità! dando loro raffinatezza e charme.
Il mio bel d'affare lo ebbi nel periodo delle riforme, insomma nel XIV secolo, perché bisognava ritornare ai colori sobri, seri, che richiamassero l'umiltà del peccatore. Allora Lutero si vestì di nero, anche Carlo V ed altri re.
Fino al XVIII secolo solo gli aristocratici mi usavano per colo

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   5 commenti     di: antonina


Il ciclo degli elemnti-l'altra dimensione capitolo 1: la stanza buia

Il luogo in cui si trovava era buio, provò a muovere le braccia, ma non vi riuscì, era legato. Si sentiva poco bene, gli faceva male la pancia, come era finito là dentro? Non ne aveva la minima idea, l'unica immagine che ricordava con chiarezza era una dirompente luce celeste che lo avvolgeva, poi il nulla totale!
Qualcuno accese la luce e rivelò dove il ragazzo si trovava. Era seduto sopra una sedia in metallo, una di quelle che si trovano dal dottore. Le mani gli erano state legate dietro la schiena, era nudo e sopra le gambe aveva solo un panno che gli copriva i genitali.
Si guardò attorno, nei limiti del possibile, era una stanza piccola, anonima, con i muri bianchi, il pavimento era ricoperto da mattonelle di un verde ormai reso quasi totalmente bianco delle ingiurie del tempo.
Il ragazzo cominciò a sentire freddo, eppure in quella stanza non vi erano finestre. La paura lo assalì d'un tratto, il dolore allo stomaco aumentò, gli veniva da vomitare, poi sentì un rumore metallico seguito da dei passi.
-Finalmente ti abbiamo catturato!- disse una voce proveniente dalle sue spalle -Abbiamo catturato il fantomatico Miguel!-.
Il nome del ragazzo era Miguel. La persona che aveva parlato gli si mostrò: era alto, moro con gli occhi neri, aveva una profonda cicatrice sopra il ciglio destro e indossava una lunga tunica marrone chiaro che gli copriva i piedi:
-Bene!- disse -Adesso risparmiami tempo e fatica e dimmi dove hai messo il pugnale!-. rispose il primo, Miguel per tutta risposta, gli sputò addosso, colpendolo nell'occhio:
-Bene! Vuoi fare il duro?- e gli allentò un cazzotto in faccia, talmente forte da procurargli un taglio sotto l'occhio sinistro.
Per un attimo l'uomo scomparve, ma ricomparve subito dopo con un carrello in metallo, Miguel vi scrutò dentro:c'era ogni sorta di strumento di tortura possibile e immaginabile:
-Ti ripeto la domanda un'ultima volta, poi... passerò alle maniere forti, dove hai messo il pugnale!?-
-Piuttosto la morte

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   0 commenti     di: mattia costa


La sfera dorata

La voce... e la melodia... che accompagnava la ninna nanna... erano cosi` dolci... ma cosi` dolci... che i nostri protagonisti... non poterono resistere al pesante abbraccio di Sonno... e cosi` infatti... subito si addormentarono. Ma Sonno, che e` sempre coi` stanco... e privo di energia, come al solito, affida subito i suoi ospiti... a chi?
A Sogno, suo fratello! Lui si... che ha sempre tanta energia... e poi Sogno e`.. anche.. un provetto intrattenitore.
Infatti lui, che ama stupire, si mette subito all`opera ed immediatamente e magicamente, come solo lui sa` fare, trasporta i nostri cari amici nelle sue misteriose terre... e.. con i suoi poteri magici... fa` apparire persino dal nulla... una grande... sfera... di luce... dorata.
I nostri amici, che non sapevano... di essersi addormentati... e di essere finiti... nelle mani del mago per eccellenza... si cominciarono a domandare.. prima di tutto dove fossero finiti! Il panorama infatti... dopo tutto sembrava essere cambiato. Non c`era piu` la loro stanzetta verde smeraldo... dalle tendine rosa che piacevano tanto a Susanna... la sorellina mediana.. e poi... che facevano... in piedi... in un... non dove... invece di essere stesi nei loro lettini... E poi cos` era mai... quella strana.. . cosa.. luminosa... che si presentava ai loro occhi... e soprattutto da dove veniva... poiché mai avevano visto una cosa simile... ad occhi aperti. - che in realtà`erano chiusi -
La sfera luminosa... era cosi`bella... che i tre... non potevano fare altro... che guardarla e riguardarla... a bocca aperta... muti... sbalorditi... ammaliati... imbambolati.
Sogno sa` proprio come intrattenere i suoi ospiti... e non perde mai l`occasione per mettersi in bella mostra.. . specialmente... in quel modo.. intrigante... che.. . solo lui sa` sfoggiare.. . aiutando cosi`... anche.. . il fratello Sonno... che ahimè... sembra che non abbia molta fantasia... e quindi non si può` certo... non dire che... Sogno... pur essendo un po` tanto...

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   0 commenti     di: Tullio



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